Economia

Rete, affare di donne

Intervista a Livia Consolo La presidente di Cgm racconta come i saperi femminili abbiano contribuito alla crescita del consorzio.

di Giampaolo Cerri

C’è un luogo in Italia dove il lavoro femminile è tutelato e valorizzato. Dove essere donna e madre non è incompatibile con la carriera e con l’assunzione di responsabilità. Dove prendersi uno o più anni sabbatici per curare i figli e la famiglia non equivale a essere tagliate fuori per sempre da ogni posizione dirigenziale. C’è un posto, in questo Paese, dove l’altra metà del cielo si vede riconosciute le proprie chances manageriali, e le pari opportunità non sono un vecchio arnese di propaganda, ma sono misurabili in termini di ruoli, funzioni e progressioni di stipendio. Non si tratta di una pubblica amministrazione in vena di rivoluzioni strutturali, né di qualche multinazionale desiderosa di cromare la propria governance, ma di un consorzio di imprese sociali. Il più grande d’Italia: il Consorzio Cgm, con 71 consorzi associati, oltre mille cooperative e migliaia di soci lavoratori e dipendenti. Qui, 30 posti su 100 in consigli di amministrazione, collegi sindacali, collegi di revisione della base sociale (con le rappresentanze dei soci e degli utenti) spettano alle donne. Lo ha deciso, un mese fa, il board di Cgm, coronando un lungo impegno della donna che lo presiede da più di sei anni: Livia Consolo. Una pressione culturale A questa bresciana cinquantenne, manager della cooperazione sociale da 25, si deve, oltre a una crescita esponenziale del consorzio stesso (erano solo 14 le realtà associate nel ’96), la costruzione più avanzata in campo del riconoscimento dei diritti femminili. Una politica cui danno corpo molti altri particolari. Come una tutela della maternità e della cura familiare che va ben oltre gli obblighi di legge. Senza bisogno di delibere di cda, «ma solo per la pressione culturale di altre donne» sottolinea, al Cgm chi aveva sospeso l’attività per gli oneri di mamma e moglie, rientra con le stesse identiche possibilità di carriera che aveva lasciato: «Due delle tre candidate al prossimo consiglio di amministrazione», dice fiera, «avevano sospeso l’attività anni orsono. Oggi ritornano, agli stessi livelli di carriera: questo stand-by non le ha penalizzate». Un’attenzione al femminile che si declina fino nella costituzione di baby-parking volanti, in occasione dei raduni e meeting formativi riservate alle dirigenti. D’altra parte, «se crescita c’è stata», dice la presidente, «lo si deve anche ai saperi femminili, soprattutto a livello di coordinamento». Quella capacità, tutta femminile di pensare e di costruire progetti di rete, fondamentale per chi fa impresa sociale, ha saputo spingere in avanti il grande rassemblement di coop sociali: «L’attenzione delle donne per il dettaglio è il segreto della progettazione di rete». Perché la rete, spiega la Consolo, «si costruisce a partire da tanti aspetti che possono apparire di dettaglio e che riguardano la relazione tra persone ma anche la cura delle piccole cose che si fanno nel territorio». Caratteristica che si sposa perfettamente con le qualità femminili, ma che diventa un handicap per il ruolo di dirigente: «Molto spesso, noi donne facciamo fatica a estraniarci da questa visione quando passiamo alla responsabilità tipica dei livelli superiori e dobbiamo ragionare con le masse critiche e con i grandi numeri», ammette. Tappe bruciate Lei con la macroeconomia non ha avuto alcuna difficoltà in questi sei anni: a maggio lascerà la presidenza, e non per vincoli statutari «ma perché c’è una giovane dirigenza che è cresciuta e alla quale è giusto dare spazio». Ai vertici della cooperazione sociale italiana, Livia Consolo era arrivata dopo un lunga e prococe esperienza, giocata fra passione civile e voglia di costruire. E bruciando le tappe. Giovanissima mamma, («mi sono laureata in lettere antiche portando le mie due figlie alle campagne di scavo»), ha inaugurato l’impegno civile nelle file della sinistra storica, nell’Udi-Unione donne italiane l’ambito pre politico femminile del Pci. Siamo nel ’75 e la militanza copre subito lo scarto fra ideologia e realtà, dando vita a una cooperativa che aiuta gli anziani non autosufficienti nel centro storico di Brescia: la Nuova dimensione. «Nell’80 ottenemmo dal Comune una convenzione che fece storia», ricorda. Un’esperienza pilota anche perché affida servizi sociali importanti a due realtà di cooperazione appartenti a mondi distanti: la Legacoop, cui aderisce Nuova dimensione, e Confcooperative, la centrale della cooperative cattoliche cui fa riferimento un’esperienza gemella, la San Giuseppe, che opera nell’omonimo quartiere bresciano sempre nell’assistenza agli anziani. «Fra noi cooperatori le ideologie caddero molto prima che altrove», ricorda la Consolo. «Di fronte ai bisogni si era portati a privilegiare ciò che univa a ciò che divideva». Sono gli anni in cui l’associazionismo femminile cresce a ritmi serrati in Lombardia, un fenomeno che una ricerca dell’epoca fotografa con un titolo significativo: L’audacia insolente. «Cresce», osserva, «perché si pone all’incrocio di una classe operaia sempre più consapevole di sé e di un cattolicesimo popolare, molto solido e con una chiara vocazione al sociale». Ma nonostante la crescita, l’altra metà del cielo rimane ancora al palo nei gangli della cooperazione. «I soliti vecchi stereotipi del maschilismo nostrano», dice, «con cui abbiamo dovuto fare i conti giorno per giorno». Niente però che possa dissuadere questa giovane donna bresciana dal lavorare con determinazione per Legacoop in Lombardia e, nel contempo, dal fare politica nell’istituzione locale, eletta in consiglio comunale nel 1985 come indipendente nel Pci. «Giravo la regione per spiegare ai cooperatori cosa fosse “questa roba del sociale”», racconta. Semina cooperative fra Sondrio e Pavia. Fino a gettare le basi per la nascita di un vero consorzio regionale di cooperazione. E i tempi si fanno maturi per una legge nazionale di settore. Come dirigente di Legacoop, Livia Consolo partecipa agli incontri con i parlamentari e tiene a battesimo la legge 381. «È il momento migliore per il movimento cooperativo», ricorda, «tant’è vero che le due centrali danno vita al Consorzio Gino Mattarelli e si impegnano a creare realtà consortili laddove ancora non esistono». E la Consolo assume la vicepresidente del futuro colosso della cooperazione sociale. La stagione dell’unità dura poco. In seno alla Legacoop, il dibattito si fa serrato: «La cooperazione dell’area Tosco-emiliana, piuttosto arroccata sulla rendita di posizione delle trattative private con gli enti pubblici, faticava ad accettare il modello integrato che stavamo costruendo, dove anche il volontariato e le esperienze di base avevano voce e rappresentanza». Presto Legacoop si ritira da Cgm, ma Livia Consolo decide di rimanere. Segue, qualche anno dopo, l’addio all’altro spezzone della sua formazione: la sinistra, che nel frattempo ha assunto le insegne del Pds. «Da tempo trovavo insostenibile una certa liturgia della politica e soffrivo l’incapacità a raccordarsi con le istanze della società civile», spiega. Stagione di crescita Nel ’96, arriva la presidenza di Cgm. Stagione appassionanante e complessa. I consorzi crescono, uno dietro l’altro. «Abbiamo diretto i nostri sforzi a far nascere la cooperazione nell’Italia del Sud», dice. Sforzo che si scontra spesso con una cooperazione ammalata di vecchia politica, nostalgica di vecchie regole consociative con i poteri locali. La vita comincia a “ballare” fra Brescia, Roma e le centinaia di città, piccole o grandi, dove nascevano o dovevano sorgere cooperative e consorzi. Nel contempo, un’attenzione stabile alla creazione di nuove figure dirigenziali femminili. «Dove ho sperimentato anche la sconfitta», racconta, «quando una giovane dirigente siciliana su cui avevo puntato molto, fu costretta a lasciare per forti dissidi insorti con la base regionale del movimento». Rimpianto che si allarga ai «tanti, bravi cooperanti, spesso donne, che non ce l’hanno fatta a reggere le difficoltà economiche e che hanno dovuto lasciare». Impossibile immaginarla disoccupata: continuerà a lavorare in Asterix, il consorzio nazionale che si occupa di formazione per molte realtà sociali (fra cui Acli e Arci): «Il Terzo settore deve capire che oggi la formazione dei quadri e l’informatizzazione sono strategiche», dice. Probabilmente si dedicherà di più alla coop che ha fatto nascere, 25 anni fa, e con la quale non ha mai tagliato: «In Cgm, continuare a tenere i contatti con gli ambiti in cui siamo nati», svela, «è sempre stato un modo per tenere i piedi per terra». Chissà che la nuova dimensione di Livia Consolo non torni a essere quella con cui aveva iniziato.


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