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Restituiteci quella colonna infame

La vera storia della stele di Axum, rubata dai soldati italiani agli etiopi che ora la rivogliono in patria

di Barbara Fabiani

Ivecchi di Axum raccontano che da bambini erano convinti di avere visto con i loro occhi i diavoli». Tarekegne Taka, presidente dell?Associazione per l?amicizia tra Italia e Etiopia, ride trovando la cosa molto buffa. «Dei ?diavoli bianchi? che entrarono nella città sacra e facendo un rumore infernale rubarono una delle steli che giacevano a terra». Così apparve agli occhi dei piccoli etiopi la razzia della stele di Axum, 64 anni fa.
Ma i bambini crescono e i significati delle cose cambiano. «Posta qui a Roma, per gli etiopi la stele è diventata il simbolo di un?umiliazione, che continua con la promessa mai mantenuta della sua restituzione», spiega Taka, riferendosi chiaramente alla ferita del colonialismo. Ma il significato di questi 24 metri di roccia silicata scava anche più indietro nel passato. Sull?altopiano di Tigri dai tempi della bibbia sorge quella che era la capitale dell?impero axumita, quando cioè l?etiopia era un unico regno dal corno d?Africa allo Yemen, sull?altra sponda del Mar Rosso. Ad Axum si fermò e visse Makeda, la leggendaria regina di Saba, di ritorno da Israele dove aveva incontrato il re Salomone, lì vi partorì il loro figlio Menelik dal quale sono discesi tutti i negus etiopi fino ad Haliè Selassie, il 225esimo. Le cronache etiopi del terzo secolo riferiscono che Menelik, diventato adulto, portò ad Axum l?arca dell?alleanza che aveva rubato al padre con l?aiuto di un gruppo di ebrei ribelli, i felascià. Grazie agli straordinari poteri dell?arca (che oggi sarebbe custodita nella locale chiesa di Santa Maria di Sion) gli ebrei etiopi avrebbero sollevato i giganteschi obelischi che punteggiano la città, oggi sacra anche per il cristianesimo copto. Uno di essi, ma risalente al terzo secolo d. C., oggi svetta davanti alla sede della Fao a Roma, portato nel 1937 quando l?edificio si chiamava Ministero delle Colonie.
Di base quadrata e decorata da tutti i lati, la stele (che forse come le altre ad Axum indicava un?antica necropoli) rappresenta un palazzo. Ha un portone (si vede chiaramente la maniglia per entrare) e sale per undici piani con finestre, separati da soffitti di travi che spuntano dalle mura. Sormontata da una specie di mezzaluna, forse ricordo dei antichi culti precristiani.
Della sua storia i passanti non sanno nulla, e la stele è snobbata anche dalle guide turistiche: «Se ne sta lì, sperduta come un orfano o un ostaggio», dice Taka. È invece un monumento ben presente nell?affetto dei 20mila etiopi residenti in Italia, 5mila dei quali a Roma, che quando si sposano si fanno fotografare sui gradini del suo basamento, irrinunciabile ricordo del giorno delle nozze. In Italia, della stele ci si ricorda solo quando periodicamente si riapre la polemica sulla sua restituzione (prevista dall?articolo 37 del trattato di pace con l?Etiopia del 1947, e garantita l?ultima volta dal presidente Scalfaro nel 1997), ma ad Addis Abeba nessuno ha dimenticato. Il giornalista Andrea Semplici, autore di molti articoli su Etiopia ed Eritrea, ricorda un adesivo con scritto ?back the obelisk? praticamente su tutte le automobili che circolano nella capitale etiope.
A chi argomenta che di steli ad Axum ce ne sono circa 300, che prima dell?intervento degli italiani giacevano tutte a terra spezzate, che anche Napoleone ha trafugato migliaia di nostre opere, Tarekegne Taka risponde che non è con questi paramenti che si interpretano i significati della cultura altrui. Alla fine emerge il cuore pulsante della questione: «La stele è stata un dono personale del Ministro delle Colonie Lessona a Benito Mussolini per celebrare il quindicesimo anniversario della marcia su Roma. Ma in realtà dietro quel dono c?era la volontà di cancellare con una preda di guerra il ricordo della sconfitta italiana di Adua, che ossessionava il duce e l?Italia». La vittoria delle truppe del ras Immirù sugli invasori nella Battaglia di Adua del 1896 (in cui morirono 8mila italiani) è per tutti gli africani, non soltanto per gli etiopi, il simbolo per eccellenza della resistenza al colonialismo. Altro emblema dell?Africa che non vogliamo riconoscere né ricordare. «Dopo la guerra, tutta la nostra produzione culturale, sia letteraria che cinematografica, non ha più sfiorato l?argomento colonialismo», dice Armando Gnisci, uno dei maggiori studiosi di letteratura africana e comparata in Italia. «Una vera e propria rimozione a livello di inconscio collettivo, durata sessant?anni. Persino Gillo Pontecorvo, che con la Battaglia di Algeri nel 1965 è stato l?unico a rompere il tabù, ha raccontato il colonialismo dei francesi e non il nostro», conclude Gnisci, che sta scrivendo un libro sulle due maggiori rimozioni culturali della nostra storia: il colonialismo, appunto, e l?emigrazione italiana mettendole in relazione con il nostro odierno atteggiamento verso l?immigrazione a casa nostra. Forse le polemiche intorno alla stele di Axum nascono dal fatto che essa è come una leva che alza il buio in cui gli italiani hanno nascosto ciò di cui non vogliono discutere.
Info: Ass. Amicizia Italia Etiopia, o Ass. Comunità Etiopiche in Italia, rif. Tarekegne Taka (segr. gen. e presidente), via Barberini 86, 00187 Roma.
Tel. 06 42885488, fax 06 42820348

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