Non profit
Restituire lo scettro ai cittadini
La sfida delle Giornate di Bertinoro secondo Stefano Zamagni
Sono loro a dover decidere sulla qualità dei servizi alla persona. Sono loro il “marcatore di qualità” del non profit R estituire lo scettro ai cittadini. È quasi brandendo questo slogan che Stefano Zamagni si affaccia alle Giornate di Bertinoro. La sua preoccupazione è far capire quale sia la vera sfida che il terzo settore ha davanti a sé. La sfida da cui dipendono tutte le altre, compresa quella della leadership. Il nome sintetico che la riassume è: “marcatore di qualità”. «Nel profit», spiega Zamagni, «è il mercato a rivestire questa funzione. Nel non profit invece siamo ancora al palo. Eppure è palese a tutti che queste organizzazioni producono esternalità positive a vantaggio di tutti. Ma non esiste nessun misuratore che certifichi quante siano e quanto valgano queste esternalità». Proviamo a fare un esempio concreto… «Facile. Le organizzazioni non profit sono delle palestre di democrazia, un valore che è sempre sulla bocca di tutti, senza che nessuno si preoccupi a mettere in campo dei meccanismi di educazione alla democrazia. Il non profit è proprio questo, perché la sua governance è una governance partecipata, è democrazia quotidiana, diversamente da quella verticale e manageriale del profit».
Un altro valore aggiunto del non profit sta nel capitale sociale che Robert Putman ha definito «bridging»: ovvero il capitale sociale caratterizzato dall’inclusività, e dalla capacità di riunire individui molto diversi tra loro. Creando così ponti tra diversi gruppi sociali. Infine, terza parola chiave, il non profit porta un’implementazione del welfare nel senso della sussidiarietà circolare: l’ente pubblico è chiamato a una convergenza di responsabilità per il perseguimento congiunto di fini di utilità pubblica.
«Il problema», incalza Zamagni, «è che tutto questo valore aggiunto oggi non è misurato da nessuno, con il risultato che abbiamo visto in occasione della sentenza della Corte europea contro Regione Toscana e Misericordie. Se non c’è una certificazione, una “social clause” inserita nel capitolato d’asta, è gioco facile sospettare che gli altri soggetti profit siano discriminati».
Ovviamente lo status quo piace a molti: alla pubblica amministrazione che non deve mettere a bilancio il full cost, questo valore aggiunto. Ma anche a molto terzo settore che nel rapporto con la politica e la pubblica amministrazione ha trovato una forma di rendita. Ma è al cittadino che tutto questo non va bene. Perché non ha voce in capitolo e non ha una libertà di scelta sulla base della qualità del servizio. «Se invece restituissimo ai cittadini lo scettro, facendo giocare domanda e offerta attraverso lo strumento dei voucher… La gente decide: e questo deve essere il “marcatore della qualità” dei servizi alla persona che vengono forniti». Un “marcatore” che apre anche la strada a chi cerca nuovi capitali per rafforzare la propria impresa. «E qui si vede il valore di una leadership: cioè saper produrre valore aggiunto sociale».
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