Welfare

Responsabilità sociale. Dove non decollano.L’operaio in stallo

Le relazioni industriali stanno vivendo una fase difficile. Il problema non è la conflittualità. E' la sfida mancata di un maggior coinvolgimento di tutte le parti nelle decisioni aziendali

di Francesco Agresti

Doveva essere l?anno delle aziende socialmente responsabili, è stato invece quello della conflittualità sui luoghi di lavoro. Da gennaio a settembre 2003, secondo i dati resi noti alla fine di ottobre dall?Istat, le ore di lavoro perse per vertenze causate da motivi che hanno origine dal rapporto di lavoro, sono state oltre 3,9 milioni con un incremento, rispetto allo stesso periodo dell?anno precedente, del 58,7%. La responsabilità sociale è un semplice maquillage o reale volontà di dare vita a nuove relazioni con tutti i portatori di interessi coinvolti nell?attività d?impresa, lavoratori inclusi? Analizzando i risultati di un sondaggio realizzato da Swg rimangono pochi dubbi: al 33% degli operai non piace per niente il lavoro che svolge in fabbrica e solo il 10% pensa di avere buone prospettive per il futuro. è vero che altri indicatori volgono al positivo: meno infortuni sul lavoro, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, nonostante l?apertura di molti cantieri. E buon andamento dell?occupazione, nonostante i cattivi fondamentali di un?economia vicina alla crescita zero. Eppure il clima che si respira è quello di un ritorno al passato nei rapporti tra aziende e personale dipendente. In particolare sono inquietanti i tagli operati nel campo della formazione, primi investimenti a cedere davanti a una situazione di crisi. Proprio per questo le Acli, con Luigi Bobba, hanno lanciato in grande stile una campagna per riaffermare l?imprenscindibilità della formazione continua e ?personale? per non perdere tutte le sfide della modernità. Un club ristretto Il tema della responsabilità sociale in Italia è ancora prerogativa di un ristretto club di imprese molte delle quali sono attratte dalla possibilità di migliorare la posizione del marchio sul mercato. La cartina di tornasole della responsabilità sociale di un?impresa è il rapporto che questa ha con i proprio dipendenti, uno sforzo che chiede notevoli investimenti e ha un ritorno di immagine quasi mai immediato. Nelle relazioni industriali in Italia ci sono casi di eccellenza che dimostrano che adottare un atteggiamento socialmente responsabile con i dipendenti offre dei vantaggi economici alle imprese. «Il miglioramento delle condizioni di lavoro», spiega Roberto Di Gennaro, responsabile qualità della Maina, azienda che si aggiudicata quest?anno il premio SA8000 Responsible Workplace Award, «ha portato all?azienda vantaggi tangibili: gli infortuni sul lavoro sono diminuiti del 23%, l?assenteismo del 2% e la produttività è in crescita». Il modello di gestione delle relazioni industriali del gruppo Merloni ha attirato l?attenzione perfino dei sindacati nipponici venuti in visita a Fabriano, per vedere da vicino come è possibile far partecipare i lavoratori alla gestione di un grande gruppo industriale. «Non abbiamo particolari segreti», spiega Angelo Stango, responsabile delle relazioni industriali della Merloni, «improntiamo tutto sul dialogo e la ricerca del consenso depurando le proposte da posizioni ideologiche o politiche. I lavoratori sono coinvolti in tutte le decisioni che riguardano l?attività dell?impresa: dalla progettazione all?esecuzione». Buoni risultati si ottengono anche nei servizi come dimostra un?indagine condotta dalle Acli sui centri di assistenza fiscale. «Abbiamo monitorato per tre anni i Caaf-Acli», racconta Marco Livia, direttore dell? Iref, «misurando il grado di soddisfazione dei clienti a seguito della realizzazione di programmi di formazione degli operatori», il 92% degli utenti intervistati si è detto soddisfatto del servizio offerto. Conviene ai lavoratori che hanno così un ruolo attivo nella gestione dell?impresa, conviene alle imprese che diventato più produttive, allora perché non inserire la responsabilità sociale nella contrattazione collettiva? Il caso dei bancari In questi giorni si sta aprendo la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale del settore creditizio, un accordo che interessa 300mila lavoratori. Nella proposta dei sindacati si fa esplicito riferimento alla responsabilità sociale. «Abbiamo voluto introdurre il tema nella contrattazione», dice Lamberto Santini, segretario confederale della Uil e direttore del servizio Democrazia economica, «perché stiamo constatando, con preoccupazione, che c?è una tendenza a utilizzare la responsabilità sociale come strumento di marketing». L?Abi non ha ancora avviato l?esame della proposta dei sindacati, ma il direttore generale, Giuseppe Zadra spiega che «la responsabilità sociale d?impresa è condivisibile purché sia inserita in un?ottica volontaria. Spetta alle singole banche e ai loro azionisti di maggioranza decidere se essere o no multistakeholder e spetta sempre all?azienda scegliere anche con quali stakeholder stabilire rapporti di consultazione e di corporate governance». E se la responsabilità sociale diventasse un nuovo fronte di rivendicazione dei lavoratori? Il confronto tra le parti è appena iniziato.


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