Welfare

Responsabilità sanitaria, il ddl difende i medici che sbagliano o no?

Il Senato ha approvato una normativa che modifica la responsabilità civile e penale dei medici e taglia la prescrizione degli eventuali reati, con l'obiettivo di ridurre i contenziosi e limitare l'inutile medicina difensiva. Il relatore: «Raggiunto un buon equilibrio, i pazienti sono sempre tutelati». Il Tribunale del malato: «Sarà quasi impossibile difendersi». Chi ha ragione?

di Gabriella Meroni

Una legge che colma un vuoto legislativo di 20 anni e consentirà risparmi, tempi certi e giustizia per i cittadini. No, una beffa che tutela solo ospedali e medici che sbagliano, ingrassa le assicurazioni e disorienta i malati. È bagarre sulla legge in materia di responsabilità sanitaria licenziata ieri dalla Camera, e che ora passa all'esame del Senato. Che ci fosse bisogno di regolamentare la materia, finora affidata alla sola giurisprudenza, è l'unico punto su cui sono tutti d'accordo. Il modo, invece, divide. Ma vediamo innanzitutto le principali novità della legge.

La norma modifica il Codice penale inserendo l'articolo 590-ter, secondo il quale il medico che provoca per imperizia la morte o la lesione personale del paziente risponde dei reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose solo in caso di colpa grave. Colpa grave esclusa, però, quando vengono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste da specifiche linee guida in materia che, dice sempre la legge, dovranno essere emesse dall'ISS. Quanto alla responsabilità civile, si introduce per la prima volta un doppio binario: responsabilità contrattuale a carico delle strutture sanitarie, pubbliche e private, ed extracontrattuale per il medico. Ciò significa il ribaltamento dell'onere della prova a carico del paziente nei confronti del medico e la riduzione della prescrizione da 10 a 5 anni, mentre resta tutto come prima nei confronti dell'ospedale, che deve dimostrare di non aver errato e per cui la prescrizione resta a 10 anni. Quanto alla rivalsa nei confronti del medico, questa potrà avvenire solo per dolo e colpa grave, e non potrà superare una somma pari al triplo della retribuzione lorda annua. L'articolo 10 prevede l'obbligo per tutte le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private di essere provviste di una copertura assicurativa, e si ribadisce l’obbligatorietà dell’assicurazione per tutti i liberi professionisti.
«Con questa legge abbiamo colmato un vuoto legislativo enorme, oltre ad aver ovviato a tre problemi», osserva il relatore del provvedimento, il deputato del Pd Federico Gelli, medico ma anche presidente di un importante Centro servizi del volontariato (Cesvot). «Primo, l'enorme mole di cause: 300mila contenziosi in sanità aperti. Secondo, l'affermarsi della medicina difensiva, una stortura che ha portato molti medici a prescrizioni e comportamenti inappropriati al solo scopo di tutelarsi, una bazzeccola da 10 miliardi di euro di costi sanitari in più. Infine, eravamo l'unico paese non in linea con il quadro di responsabilità civili e penali stabilito in Europa».

«Il ribaltamento dell'onere della prova a carico del cittadino è inaccettabile», ribatte Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato-Cittadinanzattiva. «Sarà infatti molto complicato, se non impossibile, provare nei dettagli cosa il personale ha sbagliato o cosa ha omesso, sulla base di una cartella clinica spesso incompleta, incomprensibile, scritta da chi potrebbe aver provocato il danno e suscettibile di alterazioni. Prima era sufficiente dimostrare di aver subito il danno».

Il ministro della Sanità Lorenzin, da parte sua, definendo la norma «un risultato storico», sembra aver dato fiato alle preoccupazioni delle associazioni, sottolineando che «cambia la responsabilità del medico sia da un punto di vista penale, perché non sarà più responsabile neppure per colpa grave se rispetta le linee guida, che civile, prevedendosi la natura extracontrattuale della responsabilità dei medici non liberi professionisti con conseguente inversione dell’onere della prova e dimezzamento del termine di prescrizione». «Nulla cambia nei confronti dell'ospedale», chiarisce Gelli, «in capo al quale resta l'onere della prova e per cui i tempi della prescrizione rimangono inalterati. Se invece un paziente ritiene di essere stato danneggiato da quel singolo professionista, deve dimostrarlo. Non si tratta di uno squilibrio ma anzi di un riequilibrio. E poi l'ospedale è sicuramente un soggetto più forte anche dal punto di vista economico, si rischia meno l'insolvenza in caso di condanna».

La legge inoltre, sottolinea il relatore, istituisce un Fondo di garanzia proprio per tutelare chi ha avuto il riconoscimento di un danno ma non riesce a ottenere il risarcimento per motivi quali il fallimento della struttura o i massimali insufficienti. «Il Fondo di garanzia non copre nemmeno la cosiddetta "alea terapeutica" come nel caso di infezioni ospedaliere», ribatte Aceti, «oltre che non prevedere alcuna garanzia nei casi di strutture sanitarie con fondi per l'auto-assicurazione scoperti». Contro il provvedimento hanno votato anche i deputati del Movimento 5 Stelle, che in una nota osservano come la norma «determinerà l'abbassamento dei premi assicurativi di cliniche private e strutture pubbliche, aumenterà i profitti delle società assicuratrici, non ridurrà i casi di malasanità ma soltanto i risarcimenti nei confronti dei pazienti danneggiati».

Di certo c'è solo, finora, che oggi in Italia si contano 20 denunce ogni 10 mila dimissioni dagli ospedali – secondo primo rapporto annuale Agenas sui sinistri in sanità, che analizza i dati della quasi totalità delle Regioni e Province autonome -, e che nell’80% dei casi la giustizia ha dato ragione al paziente. Il percorso per arrivare a un risarcimento però è lungo. Il tempo impiegato mediamente per aprire una causa è di 872,53 giorni e sono necessari 542,45 giorni per chiuderla. In tutto oltre 1.400 giorni, poco meno di 4 anni. Mentre ammonta a più di 52 mila euro il costo medio dei risarcimenti: più del 65% riguarda lesioni personali, il 12,88% decessi.

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