Resistere è tutto

di Marco Dotti

«Non cedere all’urto o alla spinta di altri corpi»: significa solo questo, “resistere”? Non fosse per la troppa retorica, non fosse per l’infelice uscita – molti anni fa – di un magistrato col suo patetico “resistere, resistere, resistere”, forse guarderemmo con meno diffidenza questa parola.

Resistere, restare, certo,ma le cose non sono così semplici. Chi resiste, non lo fa per difendere l’esistente, casomai si tratta per lui di riaffermarlo. Al di là delle buone o delle cattive ragioni, è questo il messaggio di fondo di tante esperienze, dai comitati cittadini e di quartiere al movimento No Tav, che allo stato attuale rimangono gli unici, ancorché pallidi tentativi di ridisegnare la scena di un agire politico altrimenti ridotto al suo grado zero.

È un’esigenza vitale, questa affermazione. Affermazione che è volontà di incidere una traccia, di dirsi parte attiva nella piccola parte che attivamente ci compete di un destino che molti vorrebbero comune, e altri – ahinoi – sempre più lontano, quanto a esisti e forme, da scelte condivise e partecipate. Nel resistere, nel dire di no è la nostra parte attiva a entrare in gioco. Per questo il Tommaseo può spingersi a affermare  che« in restare è sottintesa un po’ l’idea di avanzare».

C’è chi parla di “post-democrazia” e chi, dopo aver investito in retorica, bombe e fuochi pirotecnici per insegnare agli altri “la libertà”, si è ritrovato in casa una libertà ostile e priva di sostanza, una democrazia che è pura forma e una giustizia che non sa porsi, ma deve imporsi nella forma triste di una legalità a maglie sempre troppo strette o sempre troppo larghe, a seconda che si tratti di delitti dei deboli o dei potenti.

Dopo l’orgia, ci siamo risvegliati tutti più soli, per questo diffidiamo delle grandi parole, Ma, come scriveva Rilke, proprio perché  il nostro «non è più il tempo delle grandi parole, resistere  è diventato tutto».

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