Cultura

Requiem? Un concentrato di poesia che fa volare

Recensione del libro "Requiem" di Patrizia Valduga (di Antonino Piazza).

di Redazione

Più confuso è, più vero è. Più oscuro è, più chiaro è. Nella terra balbetta l?esistenza incarnita, la chiarezza si addice all?astrazione. La luce si vede dal buio. Ha detto “Anima” come ha detto “Dio”. Chi? L?ha detto lei, Patrizia Valduga, in questi “poveri versi di preghiera” contenuti in Requiem (Einaudi, 9 euro). Non lo dico io, sia chiaro. “Ah Signore pietà, Cristo pietà/ che vivo inutilmente e inutilmente”. Ma cos?è la poesia se non un canto dell?anima per l?anima, nell?interminabile monologare che è la vita, quando è vita vera? “Io non so dare un nome/ a questa nebbia che mi fuma intorno/ e che mi nasce dentro e non so come/ e mi impedisce la luce del giorno,/ e senza nome vivo nel tuo nome,/ nella tua luce che non fa più giorno/ dal millenovecentonovantuno,/ dal due dicembre, al sole di Belluno”. Una raccolta di ottave che liberano un bisogno di vita (“la giovinezza che mi è stata tolta/ me la sarei goduta corpo e mente”), un bisogno di un rapporto autentico con la realtà (“vecchia e malata e sempre adolescente/ matta d?un sogno che non vuol dir niente”), un bisogno di poter dire: vedi, anch?io ho vissuto. La richiesta di coraggio di vivere, di attraversare la nebbia, il mistero del Padre nostro. Il bisogno di vivere, prima che di dire. Se no, si scade nella maniera, e la parola si perde, o mente. Il bisogno di liberazione dei propri pensieri, e spiegare le ali al vento. Il vento dell?amore, l?amore della vita. Antonino Piazza


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