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Repubblica Centrafricana, un Paese affamato da tre anni di guerra civile

Sono i bambini le principali vittime di un conflitto interno che si trascina dal 2013 e che vede contrapposti cristiani a musulmani, per motivazioni religiose ma soprattutto politiche.

di Gianluca De Martino

Un Paese stremato e affamato da tre anni di guerra civile. Questo è la Repubblica Centrafricana, terza tappa di un viaggio attraverso le crisi dimenticate che ha già toccato Etiopia e Sud Sudan. Sono i bambini le principali vittime di un conflitto interno che si trascina dal 2013 e che vede contrapposti cristiani a musulmani, per motivazioni religiose ma soprattutto politiche. Oltre un milione vive in condizioni di bisogno, senza cibo, acqua, educazione, cure mediche. L’alternativa è spesso imbracciare un kalashnikov ed entrare nel sempre più crescente esercito di bimbi soldati, che secondo le stime dell’Unicef ha raggiunto le 10mila unità nel 2014.

«Ero armata con una pistola. In quel momento nulla mi toccava perché avevo assunto droghe. Non ero lucida. Anche se avessi avuto paura, non avrei potuto lasciare il gruppo»: così Isma, una quattordicenne arruolata tra i tanti giovanissimi soldati della Repubblica Centrafricana. La sua testimonianza è stata raccolta dall’Unicef all’interno del rapporto “Ending the recruitment and use of children in armed conflict”, in cui disegna una mappa dei territori che sfruttano bambini e adolescenti in una situazione di guerra. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia si è attivato per il rilascio dei minori: nel 2014 ne sono stati liberati 2.800, comprese 646 di sesso femminile. Un accordo risalente al maggio 2015 ha consentito il rilascio di altri 600 bambini, utilizzati non solo nei combattimenti ma anche per soddisfare sessualmente le truppe.

Un’infanzia violata è una ulteriore conseguenza della guerra, che ha mietuto vittime soprattutto tra il 2013 e il 2014: oltre 5700 nel biennio.

Uno scenario di instabilità dovrà affrontare Faustin Archange Touadéra, neo presidente della Repubblica Centrafricana, eletto al ballottaggio con il 62,7% dei voti contro lo sfidante Georges Dologuele. Nel suo primo discorso Touadéra, già primo ministro di François Bozizé, il presidente golpista a sua volta spodestato nel 2013, ha rivolto un appello a deporre le armi e a favorire l’unità della Repubblica Centrafricana. Un’unità inseguita da tre anni, minata da una lotta tra musulmani e cristiani, rispettivamente minoranza e maggioranza religiosa, e di una crisi umanitaria tra le più gravi in Africa. Touadéra succede a Catherine Samba-Panza, la prima donna presidente, di religione cristiana ma considerata “di garanzia” anche dallo schieramento opposto.

Tre anni di lotte interne hanno stroncato la produzione agricola e provocato oltre ai morti anche un milione di sfollati. Le elezioni presidenziali dovrebbero segnare un passo verso la stabilità auspicata anche da Papa Francesco in occasione dell’apertura della Porta Santa a Bangui, la capitale.

La nuova escalation, la terza guerra civile nel Paese, è cominciata nel dicembre del 2012 con il golpe ai danni del presidente Bozizé ad opera delle forze ribelli “Seleka”. Quest’ultima è una coalizione di gruppi musulmani, animati non solo da motivazioni religiose ma anche da scopi politici ed economici, quali lo sfruttamento delle risorse tra cui oro e diamanti: riappropriarsi del potere che precedentemente Bozizé aveva ottenuto a sua volta con un golpe e con il sostegno di forze esterne al Paese. A Seleka si sono contrapposte le milizie cristiane anti-Balaka. Dal 2014 è in corso la missione Onu “Minusca”, con il compito di favorire il disarmo dei gruppi in lotta.

Circa due milioni e mezzo di persone, su un totale di quattro milioni e 600mila abitanti, necessitano di assistenza umanitaria in Repubblica Centrafricana. Oltre due milioni sono privi di cure sanitarie adeguate, la protezione sociale è negata a 1,1 milioni di bambini, l’educazione a 775mila. Il World Food Program ha fornito cibo a quasi mezzo milione di persone nel 2015. “Dobbiamo aiutare i più vulnerabili, essi hanno bisogno di assistenza alimentare d’emergenza per sopravvivere. Non dobbiamo però dimenticare le altre persone nel paese, aiutandole affinché possano ricominciare a ricostruire”, ha affermato Guy Adoua, vice direttore del Wfp nella Repubblica Centrafricana, secondo cui “non si tratta di un’emergenza come le altre. La gente non ha più nulla.Tre anni di crisi hanno stremato la popolazione. Le famiglie sono state molto spesso obbligate a vendere ciò che possedevano, a non mandare i figli a scuola, in alcuni casi a mendicare”, ha aggiunto Adoua.

Una crisi senza precedenti, l’hanno definita Fao e Wfp in un report pubblicato a marzo sulla sicurezza alimentare in Repubblica Centrafricana. Il Prodotto interno lordo è cresciuto dell’1,3 per cento nel 2014, ma si avvertono ancora le ripercussioni di un crollo del 36,7 per cento nel 2013. Le principali ripercussioni le ha subìte l’agricoltura: la produzione di cereali è diminuita del 4 per centro tra il 2014 e il 2015; le coltivazioni in generale, stimate per il 2015 in 838.671 tonnellate, sono invece in aumento del 10 per cento rispetto all’anno precedente. Preoccupa per i terzo anno consecutivo il crollo della produzione di cereali, del 70 per cento inferiore alla media prima della crisi del 2012. Non è ancora tornato ai livelli di tre anni fa nemmeno il dato sugli allevamenti, soprattutto bovini, diminuiti tra il 46 e il 57 per cento rispetto a quel periodo. Stesso discorso per la pesca, meno 40 per cento, che paga l’insicurezza dei corsi d’acqua, la distruzione o il deterioramento delle attrezzature e lo sfruttamento eccessivo dello stock ittico in alcune aree.

Sono quasi un milione i cittadini della Repubblica Centrafricana in fuga da fame e guerra. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha censito circa 455mila rifugiati centrafricani, scappi in Congo, Camerun o Chad dall’inizio della nuova guerra civile. Dal dicembre 2013 si è registrata una costante crescita del numero di rifugiati, da 235mila ai 455mila di marzo 2016. Gli sfollati interni sono al momento 435mila, dopo aver raggiunto il picco di 825mila a gennaio 2014.

La guerra, tuttavia, condiziona anche il sistema di aiuti umanitari. Tra le vittime del conflitto interno ci sono 19 operatori che avevano raggiunto la Repubblica Centrafricana per portare sostegno alla popolazione, assicurare cibo, acqua, igiene ed educazione a quelle migliaia di bambini nel cui futuro sembrano esserci solo proiettili e sangue.

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