Così lontana, così vicina. Questa è la Repubblica centrafricana. Un paese grande due volte l’Italia situato nel cuore dell’Africa di cui poco, anzi pochissimo si sa nel nostro paese. Del resto, a quale media verrebbe in mente di evocare un territorio che dista a migliaia di chilometri dalle frontiere europee? “E pur esiste”, mi vien da dire parafrasando Galileo Galilei. Non solo. La Repubblica centrafricana sarebbe un paese strategico dell’Africa, al crocevia fra Ovest ed Est, tra Nord e Sud. Questo paradigma geopolitico non è sfuggito alle istituzioni europee che riuniranno il 17 novembre a Bruxelles i principali donatori internazionali con l’obiettivo di aiutare un paese cerniera che, nel male e nel bene, è lo specchio dell’Africa. Come molti paesi francofoni, la RCA ha intrapreso la strada della democrazia negli anni novanta, e nonostante diverse alternanze al potere, a volte frutti di colpi di stato, si trova tutt’ora in una situazione democratica di estrema fragilità. Per questo l’UE ha deciso di appoggiare il Presidente neo-eletto, Faustin-Archange Touadéra, nel suo difficile tentativo di riportare la pace e la sicurezza in un paese martoriato dalla violenza, dalla corruzione e dall’odio identitario.
Come in Burundi o Repubblica democratica del Congo (RDC), le vittime sono sempre loro: i cittadini, di cui la stragrande maggioranza rimane intrappolata da scontri e interessi che mantengono l’ex colonia francese nei bassi fondi delle classifiche onusiane sullo sviluppo umano.
Purtroppo, la miseria sociale e l’insicurezza che condizionano il ritorno ad una pace duratura è il risultato di un approccio fallimentare della Comunità internazionale. Sebbene la RCA sia un terreno minato in cui intervenire, la Francia, l’ONU e l’Unione Africana hanno dispiegato forze cospicue sul territorio centrafricano, cercando di garantire quanto meno la sicurezza dei cittadini, speso soli ed indifesi. Cosi, 12.700 caschi blu della Missione multidimensionale di stabilizzazione delle Nazioni Unite (Minusca) sono stati dispiegati nel 2014, poi altri 2.000 soldati dell’operazione militare francese Sangaris. Circa 15.000 soldati ed ingenti mezzi militari sono stati impiegati nel paese, assicurando il buon andamento della transizione politica, conclusasi con l’elezione dell’attuale presidente Touadera. Nonostante tale presenza militare, non si è mai pervenuti finora ad avere la calma oltre ai limiti periferici della capitale Bangui.
Da tre anni, il paese è in preda a scontri violentissimi che oppongono le milizie cristiane anti-Balaka, fedeli all’ex Presidente Jean-François Bozizé, rovesciato nel 2013, e gli ex-ribelli della Seleka, a maggioranza musulmana. Il trionfo di Touadéra alle presidenziali nel marzo scorso aveva portato un vento di speranza che oggi rischia di essere spazzato via con la partenza dei soldati francesi, gli unici in grado di poter tenere a bada i movimenti ribelli centrafricani.
Nel giugno 2015, l’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE di cui sono Vice Presidente si era espresso a favore di “elezioni presidenziali e legislative libere, leali e trasparenti”. Purtroppo la volatilità del panorama politico in RCA ha spinto la Comunità internazionale ad organizzare processi elettorali in tempi troppo stretti per essere davvero credibili agli occhi della popolazione centrafricana. Molto più fatale invece è stato il mancato disarmo degli anti-Seleka, che oggi controllano le zone diamantifere nel nord del paese, e dei Balaka, che pochi giorni fa hanno addirittura minacciato di volersi ritirare dal programma nazionale di disarmo e di reintegrazione dei loro ribelli nell’esercito regolare. Le visite ripetute del Presidente François Hollande o di alti rappresentanti delle Nazioni Unite non sono quindi bastate a calmare acque molto agitate. Anzi, le violazioni gravissime di cui sono accusati i caschi blu e i soldati francesi – tra cui stupri e traffici di oro e diamanti – hanno fragilizzato un processo di pace già precario di per sè.
Nonostante tutto, la Comunità internazionale non deve e non può abbandonare i centrafricani che di certo non hanno mai dimenticato le parole espresse da Papa Francesco durante il suo straordinario soggiorno ufficiale compiuto in Repubblica centrafricana nel dicembre 2015. “Nessuna violenza in nome di Dio”, esclamò il Santo Padre nel corso della sua visita alla moschea principale di Bangui. Fu un appello accolto con fervore dalla grande maggioranza dei centrafricani che oggi, più che mai, chiedono di poter vivere in pace. Una pace a cui l’Italia dimostra di voler contribuire attraverso la visita recente del Vice Ministro degli Esteri, Mario Giro, che ha inaugurato la nuova sede dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), e l’impegno costante delle nostre ONG. Ma non basta. L’Europa e tutti gli altri attori della Comunità internazionale, a cominciare dall’Unione Africana, devono fare ognuno la propria parte.
La Conferenza internazionale dei donatori per la RCA in programma a Bruxelles costituisce un’occasione unica per mandare un segnale forte ai cittadini centrafricani e alla loro classe politica. Questo segnale non potrà limitarsi all’annuncio di promesse finanziarie che spesso non vengono mantenute, sarà necessario assumere impegni seri per disarmare tutti gli attori che minacciano la sicurezza e l’integrità territoriale del paese. Al Parlamento europeo, il Gruppo dei Socialisti e Democratici al quale appartengo, vigilerà affinché i donatori presentino un piano d’azione serio, coerente e convincente.
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