Welfare
Reporter di guerra, raccontateci tutto
La stampa può condizionare o cambiare i destini di un conflitto. E le notizie manipolate sono a volte più pericolose delle bombe. Ma cè anche chi,in nome del colpo esclusivo,mette a rischio vite
Per parlare di diritto internazionale umanitario e giornalisti inviati in situazioni di conflitto, i vertici della Croce rossa italiana hanno mobilitato generali, diplomatici, presidenti di organizzazioni umanitarie e, naturalmente, giornalisti famosi. Perché spiegare il ruolo che i mezzi di comunicazione hanno o possono avere sia nell?evoluzione che nel favorire la fine di un conflitto, se non nello scongiurarlo, è argomento difficile. La manipolazione delle notizie è stata sempre un?arma efficace più delle bombe e ampiamente usata, come dimostrato anche di recente nelle crisi dei Grandi laghi africani e della ex-Jugoslavia. Paesi non democratici – si dirà -uguale stampa non democratica, che si fa inevitabilmente beffe del diritto internazionale umanitario. Vero. Ma c’è anche chi pensa che pure in Italia i mass media si occupino malvolentieri di diritto internazionale umanitario per eccessiva superficialità, trattandolo alla stregua di un argomento “noioso”.
«Il livello di attenzione della stampa italiana verso il diritto internazionale umanitario), sostiene Fabrizio D?Amico, specialista del diritto dei conflitti armati applicabile alla condizione del corrispondente di guerra e del giornalista, «è ancora oggi troppo scarso. In genere, la copertura mediatica riguarda solo i massacri. Non si trova mai una testata che evidenzi anche la violazione di una qualche convenzione internazionale. Sarebbe invece opportuno un approfondimento maggiore sui temi legati al diritto internazionale umanitario, in modo da produrre un giornalismo che punti meno sull?impatto emotivo scatenato da una scena cruenta e utilizzi più la ragione». La stampa può realmente far molto in attesa del diritto internazionale umanitario, supportando l?azione delle organizzazioni umanitarie. Alcuni segnali positivi ci sono già stati proprio di recente: la messa al bando delle mine antiuomo il sostegno fornito dai mass media all?istituzione di una Corte penale internazionale che giudichi i crimini di guerra.
Il seminario della Croce Rossa ha inoltre evidenziato la necessità del giornalista di avere una adeguata percezione del sistema di regole che presiedono al diritto internazionale umanitario. In primo luogo, il giornalista deve saper riconoscere il linguaggio della protezione umanitaria, ossia i suoi simboli ma non, come è pure avvenuto, per abusarne. «Affinché il simbolo della Croce Rossa protegga in guerra chi lo indossa», afferma il professor Paolo Benvenuti, componente della Commissione diritto umanitario, «deve essere rispettato. Ma ci sono stati giornalisti che, in cerca di scoop, se ne sono fregiati per i loro scopi, ignorando il danno arrecato agli operatori umanitari la cui vita dipende davvero esclusivamente da quel simbolo». Il professor Benvenuti ha ragioni da vendere: «Durante la guerra del Golfo», ricorda, «su un settimanale italiano di grande diffusione, venne pubblicato un articolo di un giornalista che per quattro pagine si vantava di aver beffato Saddam travestito da medico». Aveva realizzato un servizio abusando delle insegne della Mezzaluna rossa (la Croce rossa dei Paesi islamici, ndr), utilizzando un?ambulanza per andare in Iraq. Va chiaramente detto che costui ha sbagliato di grosso, poiché con il suo comportamento irresponsabile ha offerto ad una delle parti in conflitto la possibilità sospettare di ogni ambulanza e di infischiarsi del valore di protezione di una simbologia internazionalmente riconosciuta».
Il seminario, svoltosi nella sede centrale della Croce Rossa italiana, è stato patrocinato dall?Associazione stampa romana, dal Gruppo giornalisti uffici stampa e dall?Associazione stampa medica italiana. Agli incontri hanno partecipato anche gli studenti della scuola di specializzazione in giornalismo e comunicazione d?impresa Luiss e della Scuola dì specializzazione della comunicazione dell?Università di Roma “Tor Vergata”.
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