L'evento

Relazioni ed emozioni, la sfida della scuola «nonostante l’intelligenza artificiale»

Ne parliamo con Daniele Bruzzone, ordinario di pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, tra gli ospiti del Festival del pensare contemporaneo di Piacenza. Interverrà ad un incontro organizzato in collaborazione con Fondazione Golinelli il 21 settembre

di Alessio Nisi

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La meraviglia? Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale. La sfida? La scuola chiamata a ridefinire il proprio ruolo nel futuro, quello che inevitabilmente si lascerà indietro, quello che recupererà a fatica, quello che resterà sui banchi. Un processo che da una parte potrebbe favorire la personalizzazione dei percorsi di apprendimento degli studenti, facilitare l’inclusione degli alunni con Dsa o disturbi dello spettro autistico e consentire di contrastare l’abbandono scolastico monitorandone gli indicatori. Dall’altro rischi e controindicazioni «che ancora non conosciamo», sottolinea Daniele Bruzzone, ordinario di pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Bruzzone è gli ospiti del Festival del pensare contemporaneo a Piacenza, in programma dal 19 al 23 settembre. Interviene in Scuola alle prese con l’intelligenza artificiale, incontro organizzato in collaborazione con Fondazione Golinelli, in programma il 21 settembre alle 11.30 all’Auditorium Fondazione Piacenza e Vigevano.

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Daniele Bruzzone, ordinario di pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed esperto di filosofia dell’educazione

Professore, che cos’è per lei la meraviglia?

La definirei un’emozione generativa: la meraviglia apre a nuovi orizzonti, dischiude possibilità. Proviamo meraviglia dinanzi a qualcosa che ci si manifesta e reclama la nostra attenzione. Per questo gli antichi la consideravano il principio della conoscenza: dove c’è meraviglia e stupore c’è curiosità, desiderio di comprendere, concentrazione, dedizione; ma se la meraviglia latita, prevalgono l’abitudine, la ripetizione del già detto e del già saputo, con i loro corollari: superficialità, noia e demotivazione.

La conoscenza ci aiuta a non arrendersi di fronte allo spavento.

La conoscenza è di sicuro un antidoto contro la paura, soprattutto la paura dell’ignoto e dell’imprevisto. Non perché conoscere equivalga a possedere tutte le risposte, ma perché ci permette di porci le domande giuste. Oggi viviamo nel tempo dell’incertezza e della precarietà: occorre dotarsi di strumenti per “navigare” il mare dell’incertezza e non c’è legno più solido del sapere per costruire la propria “barca”. 

La formula dei dialoghi del Festival, secondo il curatore Alessandro Fusacchia, spinge al confronto su un tema con l’aiuto di personalità provenienti da campi diversi. «Uscire dalla bolla», ha detto, «produce risultati interessanti».

Piace anche a me la formula del dialogo, specie tra “diversi”: credo che le migliori intuizioni e le soluzioni più feconde vengano sempre dalla contaminazione dei saperi e dall’intreccio degli sguardi. Insieme si pensa in modo più profondo e più potente. 

Entriamo nel merito del panel in cui interverrà: parliamo di intelligenza artificiale nel suo rapporto con apprendimento, formazione ed educazione. Che prospettiva porterà sul palco di Piacenza?

Mi piacerebbe dire qualcosa sulla scuola ai tempi dell’intelligenza artificiale e sulla scuola “nonostante” l’intelligenza artificiale. La mia è una prospettiva pedagogica, quindi mi chiedo quali siano le competenze che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ci chiederà di coltivare e d’altra parte quali siano le competenze che, affidandoci all’intelligenza artificiale, rischiamo di perdere.

Perché, vede, le macchine tendono sempre a sostituirci: dobbiamo decidere in che cosa riteniamo utile farci sostituire e che cosa, invece, vogliamo tenere per noi.

Se rinunceremo ad esercitare l’immaginazione perché l’intelligenza artificiale sembra farlo meglio di noi, diventeremo meno creativi. Se delegheremo gli algoritmi a scegliere per noi, diventeremo meno responsabili, se smetteremo di leggere o di scrivere o di pensare solo perché l’intelligenza artificiale dispone di banche dati virtualmente inesauribili, diventeremo meno consapevoli di noi stessi, degli altri e del mondo.

Penso che la scuola debba praticare anche quella che qualcuno molti anni fa chiamava “funzione controciclica”: quella, cioè, di investire su ciò che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perduto

Daniele Bruzzone – ordinario di pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Intelligenza artificiale, le sfide e le opportunità a scuola. Dove la meraviglia e dove lo spavento? Quali strumenti per dominare la paura?

Rispetto all’intelligenza artificiale io non appartengo né al partito degli “apocalittici”, per natura pessimisti, né a quello degli “integrati”, entusiasti senza se e senza ma. È molto probabile che, come dice l’Agenzia per l’Italia Digitale, l’intelligenza artificiale favorirà la personalizzazione dei percorsi di apprendimento degli studenti, faciliterà l’inclusione degli alunni con Dsa o disturbi dello spettro autistico, consentirà di contrastare l’abbandono scolastico monitorandone gli indicatori, eccetera.

È anche vero che la sua presenza pervasiva potrà presentare dei rischi e delle controindicazioni che oggi, forse, non riusciamo ancora a prefigurarci.

Ma, come sempre, la differenza la faremo noi, in base alla nostra capacità o incapacità di formarci e di formare all’utilizzo di qualcosa senza permettere che ci esautori. È un po’ come la questione del divieto degli smartphone ai minori di 14 anni: la coscienza delle persone non si istituisce per legge (magari fosse così facile!), ma con l’educazione. 

Secondo lei, l’intelligenza artificiale (nel suo rapporto con le competenze) è la prima sfida del contemporaneo, o ce ne sono altre?

Se parliamo della scuola e dell’educazione, credo che le emergenze di cui dovremmo parlare sono ben altre: la scarsità e il carico di lavoro dei dirigenti scolastici, l’assenza di un coordinamento pedagogico, il fatto che oggi gli istituti siano spesso costretti a reclutare docenti senza abilitazione e perfino senza titolo e che ciò nonostante all’inizio dell’anno scolastico l’orario sia sistematicamente incompleto, il disagio più o meno latente dei ragazzi a cui si aggiunge quello di molti insegnanti poco riconosciuti e poco retribuiti.

Al di là delle malattie croniche del sistema, penso che la sfida dell’intelligenza artificiale sia un’ottima occasione per chiederci se la scuola ha ancora senso e a quali condizioni

Daniele Bruzzone

Alcuni pensano che l’intelligenza artificiale finirà per renderla obsoleta. Dipende: se pensiamo che insegnare significhi trasmettere delle nozioni, potrebbero perfino avere ragione.

Se insegnare vuol dire entrare in relazione, testimoniare una passione, creare un’atmosfera che accenda la voglia di imparare, di coltivare se stessi, di rendere migliore il mondo in cui abitiamo, allora penso che nessuno ci toglierà la fatica e la bellezza del nostro lavoro

Daniele Bruzzone

Perché l’intelligenza artificiale non prova emozioni (anche se la stiamo “allenando” a simularle) e non entra davvero in relazione con nessuno, neppure quando ci risponde con una voce apparentemente umana. 

In apertura foto di Possessed Photography per Unsplash. Nel testo foto di ufficio stampa Festival del pensare contemporaneo

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