Welfare
Regioni, battete un colpo
cooperazione sociale Prosegue il dibattito per il rinnovo del contratto. L'intervento del Cnca
di Redazione
Per la prima volta nella storia di questo settore è stato proclamato (il 4 aprile scorso) uno sciopero nazionale. Alcune considerazioni a bocce ferme oggi ci sembrano necessarie.
Non è, ovviamente, in discussione il diritto al rinnovo del contratto per queste persone che, anche a costo di rinunce economiche a volte consistenti, hanno scelto di lavorare nel sociale svolgendo, quindi, quella che viene definita una funzione pubblica perché garantisce l’esercizio dei diritti primari a fasce di cittadine e cittadini altrimenti costretti alla marginalità sociale e all’abbandono.
La prima delle questioni che va posta è quella di chiarire quali imprese possano essere definite cooperative e, ancor più, quali possano vantarsi del titolo di “sociali”. Questo mondo è stato negli ultimi anni inquinato da chi, con una cultura esclusivamente orientata al profitto, ha costruito imprese sulla carta definite come “cooperative”, ma che dello spirito e della pratica cooperativistica non hanno nulla.
Seconda questione non marginale: il socio-lavoratore è imprenditore di se stesso e rivendica il diritto-dovere di poter decidere le sorti della sua impresa, ma ogni socio può legittimamente aspirare ad entrare nel gruppo della dirigenza della sua impresa, pur rimanendone contemporaneamente anche dipendente. È una contraddizione che non è mai stata chiarita con una normativa che riconosca la figura giuridica del socio di impresa cooperativa come “altro” dal dipendente di impresa cosiddetta “padronale”.
Terzo incomodo alla trattativa per il rinnovo del contratto: le cooperative sociali sia di tipo A (servizi alla persona) che di tipo B (servizi per l’inserimento lavorativo) vedono condizionata la loro sopravvivenza economica dal livello di rapporti che esse hanno con il soggetto pubblico, con le istituzioni che pagano le prestazioni per le persone accolte e che decidono le forme di assegnazione dei servizi e le modalità del loro pagamento.
Ora, come si sa, avviene che le modalità di assegnazione dei servizi gestiti dalle cooperative si basino sul sistema del massimo ribasso e con la sola valutazione del prezzo senza altre valutazioni di tipo qualitativo e, oramai, con diritto di partecipazione aperto a tutte le imprese, anche a quelle che non svolgono la funzione pubblica delle cooperative sociali. Ma la stessa determinazione delle cosiddette rette d’inserimento nelle strutture residenziali e/o semiresidenziali non tiene conto dei vincoli imposti dai sistemi di autorizzazione al funzionamento e di accreditamento, che vincolano le imprese cooperative a cogenti vincoli nel rapporti operatori assunti-utenti accolti. Rette di 35-40 euro al giorno non permettono alle cooperative non solo di garantire i soci-lavoratori, ma nemmeno la qualità del servizio.
E, per finire, i pagamenti delle prestazioni avvengono con ritardi di oltre un anno e senza che la cooperativa possa chiedere almeno il riconoscimento degli interessi di legge, mettendo a rischio la stessa sopravvivenza dell’impresa cooperativa sociale. Per tutte queste ragioni crediamo che al tavolo della trattativa dovrebbe essere chiamato anche il mondo delle istituzioni regionali come terza parte in causa.
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