Volontariato

Regina Postmoderna

Così Sofia Coppola sottrae Maria Antonietta alla storia: Corpi, forme e colori al centro di una rappresentazione in cui domina l’artificio

di Maurizio Regosa

Marie Antoniette di Sofia Coppola, Usa 2006 con Kirsten Dunst Dei film in costume si dice che debbano rispettare la verità della Storia. Niente di più esatto e di più irrilevante per Marie Antoinette apprezzabile opera terza della più promettente figlia d?arte, Sofia Coppola. La quale, scrivendo la sceneggiatura (dal romanzo di Antonia Frazer), ha scelto di rispettare gli eventi ma di ?sottrarli alla storia? per dir così… Nel senso che ha deciso di immergere la vicenda della sposa bambina di origine austriaca mandata a morte dalla Rivoluzione, in una condizione tipicamente post moderna, quella in cui è difficile raccontare perché le cose, i fatti, le emozioni hanno soltanto un nesso blando o non lo hanno più affatto. Così al posto della storia la Coppola, che la macchina da presa la conosce evidentemente fin dalla culla, che sa molto bene come costruire una scena e sostenere l?attenzione dello spettatore, ha messo i corpi, le forme, i colori. Ha scelto cioè di enfatizzare l?artificio, messa in scena sublime che racconta e dice della discontinuità, per descrivere un?epoca in cui si potevano leggere le riflessioni di Rousseau seduti su di un prato, illudendosi che la natura fosse lì a portata di mano. Ed è appunto in questo modo che la Coppola riesce a far emergere la condizione post moderna della regina: giustapponendo anche con aggressività i contrasti, utilizzando una colonna sonora rock su immagini del tempo illustre che fu, inserendo dettagli moderni come le scarpe da ginnastica fra le altre tutte pizzi e trine (una citazione di Caravaggio di Derek Jarman?). E ancora: lavorando con i tempi del racconto che si succedono rapidamente e sullo spazio, accostando il primissimo piano con il totale, fingendo così che una sorta di continuità sia possibile, nonostante tutto. Un mezzo oltretutto per farci condividere l?esperienza principale della protagonista, cioè l?essere alla deriva, il sentirsi estranei, in qualche modo alienati (dal proprio passato e dalla propria memoria: come suggerisce la svestizione, cioè l?abbandono dei vestiti austriaci prima di essere presentata al futuro sposo francese). Condizione di grande attualità su cui la regista insiste in maniera particolare (forse un po? eccessiva), alla ricerca com?è di quelle ?invarianti? che hanno attraversato i secoli: il difficile rapporto con l?altro sesso, l?inadeguatezza divorante, il ricorso a giochi e divertimenti anche innocenti, la desolazione di chi non si sente benvoluta, la solitudine di una quattordicenne un po? viziata che ha indossato degli abiti da donna e non si riconosce più.


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