Mondo
Regina Catrambone: “I muri non sono altro che un’illusione di sicurezza”
La riflessione della fondatrice del MOAS, l'organizzazione impegnata da tre anni nel Mediterraneo, per la ricerca e il salvataggio delle persone che rischiano la vita in mare, nel tentativo di raggiungere l'Europa. "Parlando con le persone salvate durante le missioni, ho scoperto l'Africa e assaporato il dolce sapore dei piatti tipici che mi venivano descritti dai sopravvissuti. Non sono mai stata a Damasco, ma i suoi vicoli mi sono stati descritti molte volte..."
In Europa e nel mondo proliferano i muri in una folle corsa a delimitare il proprio spazio vitale escludendo l'altro. Muri, barricate, frontiere, filo spinato si moltiplicano ovunque con la loro effimera illusione di sicurezza.
Come se bastasse mettere dei mattoni uno sull'altro e impedire la vista di una realtà scomoda, per poterla eludere, ignorare e dimenticare. L'approccio attuale al fenomeno migratorio con il suo enorme carico di sofferenza umana è dettato dall'egoismo e dalla cecità e ci si illude di poter risolvere l'attuale crisi umanitaria barricandosi nel proprio piccolo orto e tradendo tutto ciò che aveva ispirato il sogno europeo.
Tuttavia, la storia ci ha già insegnato – o almeno avrebbe dovuto farlo – che i muri sono solo ingannevoli e finiscono per intrappolare nel loro perimetro le stesse persone che li costruiscono.
L'Unione Europea è nata da un progetto e ideali condivisi e camminando per le strade delle capitali europee si ascoltano idiomi diversi, si incontrano culture e persone di origini molteplici: un caleidoscopio che costituisce la nostra stessa identità.
Quello stesso caleidoscopio lo troviamo anche sulle imbarcazioni che salviamo dalle acque del mare dove si incontrano persone che vengono dal Corno d'Africa, dal Medio Oriente con paesi d'origine, religioni e lingue diverse, ma accomunati da un viaggio verso la salvezza in situazioni disperate.
La bellezza della diversità si scopre camminando nelle nostre città e osservando con misericordia chi arriva dopo viaggi infernali.
Siamo costruttori di muri, anche invisibili, anche internamente
Antonio Tabucchi
Parlando con le persone salvate durante le missioni MOAS, ho scoperto l'Africa e assaporato il dolce sapore dei piatti tipici che mi venivano descritti dai sopravvissuti. Non sono mai stata a Damasco, ma i suoi vicoli mi sono stati descritti molte volte. Non ho visto Aleppo, ma donne e uomini tratti in salvo hanno riprodotto per me le sue strade e la sua bellezza attraverso la memoria e il ricordo uniti alla nostalgia per la propria terra natìa.
Mentre ascolto quei racconti, immagino insieme a loro di poter un giorno visitare quei luoghi attualmente devastati dai conflitti, quando finalmente tornerà la pace. L'inestimabile valore dei racconti che mi vengono regalati dopo i salvataggi mitiga parzialmente il dolore di non poter mai più rivedere quelle meravigliose città nel loro aspetto prima della guerra e rinnova la nostra speranza comune di un futuro di pace in cui i soli muri che costruiremo saranno quelli degli edifici dove le persone potranno tornare ad abitare.
Seduti a parlare a bordo della Phoenix, infine, immaginiamo insieme muri che uniscono e proteggono al posto di muri che separano e feriscono.
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