Welfare
Refettorio Ambrosiano, il piatto da esportazione di Bottura
Ogni sera in un ex teatro abbandonato di Milano, nel quartiere Greco, 90 ospiti si siedono a tavola e cenano immersi nella bellezza. È la mensa che il grande chef ha realizzato insieme alla Cartitas Ambrosiana. L'intervista a Massimo Bottura pubblicata sul numero di Vita in distribuzione
di Anna Spena
Il cibo può essere un volano di coesione sociale formidabile. Ne è convinto Massimo Bottura, uno degli chef più quotati al mondo, ideatore insieme alla Caritas locale del Refettorio Ambrosiano, una delle eredità più “gustose” di Expo 2015. Nonché una delle 12 esperienze esemplari di comunità del cibo che presentiamo sul numero di Vita di luglio e agosto intitolato non a casa “Food Social Club. Ma torniamo a Bottura e alla sua idea di Refettorio (appena esportata, fra l’altro a Londra).
Come nasce la relazione ed il progetto con il refettorio ambrosiano?
Ad oggi abbiamo a che fare con numeri allarmanti: un terzo del cibo prodotto ogni anno viene buttato via; quasi 800 milioni di persone sono malnutrite. All’Expo Milano 2015 è stato chiesto di offrire idee innovative per nutrire il pianeta. In quel momento ci siamo quindi posti una domanda: possono lo spreco alimentare e la fame essere due facce della stessa medaglia? La risposta si è concretizzata proprio lì, a Milano, ma non sotto i riflettori della Mostra Universale, bensì in un vecchio teatro abbandonato messo a disposizione dalla diocesi, in uno dei quartieri più periferici e trascurati della città. Artisti e designer sono intervenuti per ristrutturare il teatro Greco, arricchendolo di opere d’arte e di tavoli comuni, intorno ai quali più persone potessero sedersi e condividere il pasto, proprio come nei refettori monastici. Sin dalla fase progettuale, abbiamo fortemente voluto che il Refettorio si nutrisse di contaminazioni di arte, design e bellezza, così da renderlo un luogo d’accoglienza, d’inclusione e d’ispirazione non solo per gli ospiti, ma per la comunità intera. Ho lanciato una chiamata ai miei amici chef, che non hanno esitato un attimo a raggiungerci da ogni parte del mondo per cucinare per i nostri ospiti. Hanno deciso di condividere esperienza, conoscenze e professionalità per sottolineare il valore reale del cibo, il potenziale di una mela ammaccata, di una banana scura, di una pagnotta vecchia di due o tre giorni. Durante i sei mesi di Expo, abbiamo recuperato al Refettorio Ambrosiano quasi 15 tonnellate di surplus alimentare del supermercato del futuro di Expo, e accolto 90 persone al giorno. Caritas Ambrosiana ci è stata accanto in ogni fase, e ha avuto la lungimiranza di capire l’enorme potenziale che il progetto avrebbe potuto avere anche oltre la fine di Expo. Ancora oggi, la Caritas apre le porte del Refettorio cinque giorni alla settimana e accoglie i bisognosi della zona. Per me è molto significativo che, mentre con Food for Soul inauguravamo il Refettorio Felix a Londra, lo scorso 5 Giugno, il Refettorio Ambrosiano compiva due anni di vita. Segno evidente che questi progetti nascono per restare, per essere un punto di riferimento per tutta la comunità.
Quando ha capito che il modello del refettorio poteva essere replicato?
Subito dopo il Refettorio Ambrosiano ho ricevuto tantissime chiamate da molti degli chef che avevano cucinato a Milano. Tutti volevano aprire un Refettorio nella propria città o nel proprio paese, ancora entusiasti e carichi dell’energia che il progetto aveva lasciato loro. La prima occasione è arrivata con le Olimpiadi di Rio 2016, quando David Hertz, chef e fondatore di Gastromotiva, ha voluto condividere questo sogno fino in fondo e farlo diventare realtà in Brasile. Il Sindaco di Rio ci ha donato un lotto completamente vuoto nel quartiere di Lapa, il cuore pulsante della città. In meno di 50 giorni, abbiamo messo in piedi il Refettorio Gastromotiva. Gli attori coinvolti erano completamente diversi rispetto a quelli di Milano: un’altra associazione partner, un’altra tipologia di povertà, altri artisti e designer a mettere in piedi la struttura. Ma proprio lì abbiamo notato che gli stessi valori su cui è sorto il Refettorio Ambrosiano. Ogni progetto resta comunque unico, perché realizzato sulle necessità della comunità che andiamo a coinvolgere: il servizio serale alla mensa dell’Antoniano di Bologna sarà diverso da quello della mensa Ghirlandina di Modena; il Refettorio di Milano sarà diverso da quello di Rio, di Londra e di qualsiasi altra città in cui ne apriremo uno. Ma i valori su cui si fondano restano sempre gli stessi, quelli della bellezza e dell’inclusione sociale, del recupero e della comunità, erano esattamente gli stessi di Milano. Per questo motivo io e mia moglie Lara abbiamo deciso di fondare Food for Soul. Perché non abbiamo bisogno di più mense per poveri, ma abbiamo bisogno di più luoghi in cui le persone possano riunirsi intorno alla stessa tavola, condividere un pasto e sentirti parte di qualcosa.
Pasti per chi non può permetterseli, ma soprattutto attenzione e cura dei luoghi in cui vengono serviti. Che relazione c'è oggi tra il cibo e la bellezza?
A questo proposito, rimando sempre al pensiero di Ludwig Wittgenstein, per cui etica ed estetica sono una cosa sola. Il bello non può essere bello senza il buono; viceversa, il buono non può essere tale senza la bellezza. Parliamo sempre più di esperienza culinaria. L’ispirazione per un piatto può arrivare da ogni dove: da un brano jazz, da un’opera d’arte, o anche da una passeggiata. Allo stesso modo, l’ispirazione che può scaturire da quel piatto non deriva soltanto dal gusto, ma da un piacere estetico totalizzante. La cura quasi ossessiva del dettaglio, che sia degli spazi o dell’impiattamento, è essenziale per la riuscita dell’esperienza nei Refettori, per ricostruire un senso di dignità intorno alla tavola accessibile a tutti.
I Refettori non sono pop up destinati a esaurirsi nell’arco di un evento, ma luoghi stabili e sostenibili
Che cosa significa, per lei, "Food for Soul"?
Esattamente quello che è: cibo per l’anima. Il nostro scopo non è solo sfamare la gente, né aprire mense comunitarie in serie. Invitiamo i nostri ospiti, così come i volontari, gli chef, chiunque possa essere convolto in un progetto, a una visione olistica del nutrimento: che sia per il corpo, ma anche per l’anima. Per questo dico sempre che Food for Soul non è un progetto di beneficenza, ma un progetto culturale. I Refettori non sono pop up destinati a esaurirsi nell’arco di un evento, ma luoghi stabili e sostenibili, progettati per durare su lungo termine, che possano istituirsi come punto di riferimento per l’intera comunità.
Avete appena inaugurato il refettorio Felix a Londra, avete già in mente altri progetti?
Abbiamo in cantiere molti altri progetti, in Italia come in Europa come nel mondo. I prossimi Refettori potrebbero sorgere a Montréal, a Berlino, a Torino e anche negli Stati Uniti. Ad aprile abbiamo ricevuto il sostegno del Rockefeller Foundation per rendere più sostenibile il nostro lavoro e per aprire nuovi Refettori in America. Qui le opzioni sono numerosissime, quasi quanto i miei sogni: potremmo aprire nel Bronx, o a New Orleans, o a Detroit…. Ma io credo fortemente nel potere dei sogni. Al Refettorio Ambrosiano ho imparato che se puoi sognarlo, allora puoi anche farlo.
Foto di Emanuele Colombo, Paolo Saglia e Caritas Ambrosiana
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