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Referendum, la sfida è sul quorum
Vigilia inquieta: giallo sul voto all'estero, incerta la Lega.
Referendum, giornate cruciali, sia per l’informazione sui quesiti, sia per il tema politico, della partecipazione al voto e delle conseguenze. I giornali faticano a separare le notizie sui referendum dal quadro politico generale. Ecco come l’argomento viene affrontato oggi.
- In rassegna stampa anche:
- LIBIA
- EGITTO
- LAVORO/ECOLOGIA
- INQUINAMENTO
- WELFARE
Tre pagine piene su REPUBBLICA di oggi sul tema referendum. Il quotidiano romano a pag 6 fin dal titolo punta sulla contrapposizione Fini-Bossi. Mentre il primo infatti dice di ammirare Napolitano e che quindi andrà a votare, Bossi sceglie di disertare le urne. Oltre al senatur hanno annunciato che non andranno ai seggi i ministri Brunetta, Frattini e Rotondi. Intanto si rivede Grillo: «Chi ha incarichi pubblici e invita a non votare». “Shede estere, è caos. Deciderà la Cassazione”, è il titolo del taglio basso di pag 6. La domanda è: cosa ne sarà dei voti sul nucleare espressi sul vecchio quesito? La risposta è arrivata ieri con l’intervento del ministro Elio Vito, incaricato da Maroni. In sintesi: non c’è tempo materiale per inviare nuove schede all’estero e lo scrutinio delle schede in arrivo dall’estero dipende dall’ufficio della Corte di appello di Roma. Poi le carte passeranno all’ufficio centrale per il referendum della Cassazione. Che quindi avrà l’ultima parola. A pag 7 Luana Milella anticipa la “vendetta” del Pdl in caso di abrograzione del legittimo impedimento nel pezzo “Prescrizione breve subito in Senato se passa il sì al quesito sulla giustizia”. A rischio 15mila processi. Infine a pag. 9 REPUBBLICA passa in rassegna le iniziative pro sì (“Volata per il Sì tra digiuni e blitz nudisti”, in foto il neosindaco di Napoli De Magistris ieri alla catena umana realizzata da Wwf e Greenpeace). A San Pietro si ritrovano i religiosi pro acqua con padre Zanotelli e 250 fra preti e suore. Mentre domani in piazza Pd e Idv cedono il palco ai comitati. Infine REPUBBLICA mette in rilievo l’addio della Svizzera all’atomo: “Le energie alternative sono meno care”, col ministro dell’ambiente che però dichiara che «senza Fukushima non avremmo cambiato strategia».
Sulla prima del CORRIERE DELLA SERA nessun titolo di cronaca sui referendum, in compenso c’è l’editoriale di Massimo Mucchetti: “Demagogia sull’acqua”. Scrive il giornalista economico: “I due referendum sull’acqua affrontano in modo sbagliato e demagogico due problemi veri, aperti dal decreto Ronchi sulla privatizzazione dei servizi idrici convertito in legge dal governo Berlusconi con voto di fiducia, contrari Pd, Idv e Udc, e da un altro decreto del 2006. La propaganda referendaria denuncia la privatizzazione dell’acqua. Ma è una forzatura. Il decreto Ronchi, l’abbiamo scritto nel 2008 e lo ribadiamo oggi, non tocca la proprietà delle risorse idriche. L’acqua è un bene pubblico e tale resta. Il decreto mette in gioco il servizio e conferma la proprietà pubblica di acquedotti, fogne e depuratori, ancorché con qualche lacuna: i regolamenti d’attuazione, infatti, non chiariscono a quali condizioni le migliorie apportate dai gestori passino al concedente pubblico al termine della concessione e nulla dicono sulle infrastrutture già devolute alle municipalizzate e poi confluite addirittura in società quotate come A2A”. Conclusione del ragionamento: è meglio votare no su entrambi i quesiti. In ogni caso par di capire che Mucchetti andrà a votare. L’editoriale si trascina a pagina 10, l’unica dedicata dal CORRIERE al referendum, a parte lo speciale di quattro pagine dedicato oggi proprio ai quesiti sull’acqua, da pagina 13 a pagina 17. “Referendum, il giallo del voto all’estero. I lumbard: Bossi non andrà alle urne” è il titolo che apre pagina 10. Scrive Maria Antonietta Calabrò: “Gli italiani residenti all’estero infatti per legge potevano votare fino a una settimana fa, giovedì scorso, il 2 giugno. Ma questo vuol dire— e lo ha confermato ieri in aula alla Camera il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito — che nessuno degli italiani all’estero ha votato per il «nuovo» quesito nucleare, quello che è stato «riscritto» dalla Cassazione e trasferito sulla nuova legge omnibus. Quindi sul raggiungimento del quorum (ed in particolare sul quesito riguardante il nucleare) ormai pende il rebus del voto estero, sul quale — ha spiegato Vito — «ogni decisione è riservata agli uffici competenti per legge» . L’ultima parola sarà anche in questo caso dell’Ufficio centrale della Cassazione. Per questo l’Idv, il partito di Di Pietro, ha già preparato un ricorso affinché venga considerato un «quorum ridotto» sul nucleare, che non tenga conto cioè del numero degli italiani all’estero. La questione, comunque, si porrà solo dopo il 13 giugno e, probabilmente, solo se i voti degli italiani all’estero saranno determinanti per il quorum”.
IL GIORNALE non tace lo scontro sui referendum e titola “La Lega lascia le mani libere, ma Bossi non andrà a votare”. Bracalini scrive di un ambiguità di fondo. Se la Lega dovrebbe dire apertamente la sua sarebbe un sì ai quesiti. Ma questo accenderebbe una nuova miccia. Come al solito nelle Lega sono i veneti a essere più chiari e da Luca Zaia arriveranno due sì ai referendum sottolineando che lui «non ha mai fatto mistero della sua posizione». Al presidente Giorgio Napolitano risponde Magdi Cristiano Allam «Qualcuno ricordi a Napolitano che non votare è un diritto. Il presidente in vista della consultazione ha affermato che andare alle urne è un dover. Non è così: evitare il voto è una scelta legittimata anche dalla Costituzione». E invita Napolitano «a chiarire che chi non vota non va sanzionato ma esprime idee legittime». IL GIORNALE rivela un video su youtube di Bersani, era il 2008, quando l’ex ministro per lo Sviluppo economico, affermava di essere a favore dell’apertura ai privati della gestione del servizio idrico.
IL MANIFESTO sceglie un’apertura dedicata ai referendum con un titolo che è quasi un auspicio “Il quorum oltre l’ostacolo”. «Tra schede sbagliate o mai arrivate, a tre giorni dal referendum il voto degli italiani all’estero è un rebus che il governo non chiarisce. Di Pietro fa ricorso in Cassazione: “Vanno esclusi dal conteggio”. Mobilitazioni in tutta Italia per i 4 Sì, ma per la chiusura i comitati si tengono alla larga dalla piazza Pd-Idv» riassume il sommario che rinvia alle pagine 2 e 3 che si aprono con il titolo “L’incognita del voto all’estero”. Nell’articolo di Luca Fazio si legge, tra le altre considerazioni: «(…) Il trucchetto del governo potrebbe rivelarsi addirittura un boomerang. I reiterati tentativi di affossare il referendum sul nucleare hanno prodotto il paradosso che gli italiani all’estero per la prima volta potrebbero non essere conteggiati: un grosso autogol. Si sa, infatti, che si tratta di un bacino elettorale tradizionalmente astensionista – alle ultime politiche, per esempio, ha votato solo il 39,5% degli aventi diritto. Ed è lo stesso Antonio Di Pietro a denunciare il fatto che per questi referendum hanno votato pochissime persone, al massimo qualche decina di migliaia, solo quei pochissimi che sono stati raggiunti da una informazione che è stata scarsa anche sul territorio nazionale (…)». In un box si segnala il “Divorzio dei comitati da Idv e Pd «Nessuna iniziativa unitaria»”: «E alla fine la spaccatura è arrivata. Non ci sarà nessuna manifestazione unitaria domani a piazza del Popolo per la chiusura della campagna referendaria. Comitati, Pd e Idv non sono riusciti infatti a trovare un accordo che soddisfacesse tutti e alla fine i comitati hanno deciso di disertare la manifestazione indetta da Di Pietro e Bersani. “Non ci stiamo a farci mettere il cappello dai politici”, accusano il comitato contro il nucleare e quello “2 Sì per l’acqua”». E sul voto leghista un articolo a piè di pagina 2 “Bossi boicotta il voto e spiazza il suo popolo” si osserva: «Tutti pecoroni nelle fila del cosiddetto popolo leghista? Staremo a vedere. Perché è vero che conta solo lui, che decide solo lui, che è bravo solo lui, però questa volta Umberto Bossi si è prodotto in un doppio salto mortale che potrebbe disorientare il suo elettorato di riferimento. (…)» Nell’articolo si ricorda la definizione “attraenti” che Bossi aveva dato di alcuni quesiti, in particolare quelli sull’acqua pubblica, si sottolinea anche come Bossi questa volta sia «Fuori sintonia con il suo “mitico” popolo, che non ha mai fatto mistero di una certa vocazione ambientalista legata al territorio, e con i pezzi da novanta del suo partito che continuano ad esprimersi a favore del referendum nonostante il suo nemmeno troppo velato invito a disertare le urne». A pagina tre un articolo segnala come dopo 25 anni l’acqua di Parigi sia tornata pubblica. «La Francia, paese d’origine delle grandi multinazionali dell’acqua Veolia e Suez, ha già una lunga esperienza di battaglia tra acqua privata e acqua pubblica. Una storia che può essere istruttiva alla vigilia dei referendum italiani. (…) Dal 2004, 300 comuni francesi dove l’acqua era gestita dai privati sono tornati alle municipalizzate. Tra queste città, c’è anche Parigi: il sindaco socialista Bertrand Delanoë ha affidato a un operatore pubblico la gestione del servizio idrico nella capitale, dalla produzione alla distribuzione, che dall’84 era stata delegata a due privati (…). Il risultato è un prezzo del metro cubo d’acqua meno caro che altrove (2,93 euro), con sprechi molto ridotti (il 96,5% dell’acqua potabile che circola nella rete è consumata dagli abitanti e non si perde per strada, le società private che hanno gestito fino a più di un anno fa la distribuzione si attribuiscono questa performance)».
Il referendum, su IL SOLE 24 ORE, trova spazio a pagina 16, con una guida al quesito sul legittimo impedimento (“Ridotti effetti giuridici dopo il verdetto della Consulta”) e a pagina 17, dove accanto al pezzo di cronaca viene fatto un focus sull’acqua: “I quesiti referendari sull’acqua congelano gli investimenti nelle regioni”: «Lombardia, Toscana, Lazio: tre regioni nelle quali i quesiti referendari sulla gestione dell’acqua hanno di fatto “congelato” gli investimenti programmati e necessari per l’ammodernamento delle reti. Tutto sospeso almeno fino ai risultati della consultazione di domenica e lunedì». Il commento è pagina 12 e ribadisce la posizione del SOLE (quindi quella Confindustriale), contraria al sì al referendum: «Ad essere appese alla consultazione referendaria sono anche le sorti di alcune poste economiche non certo trascurabili sia sul fronte del nucleare che dell’acqua. In quest’ultimo caso per effetto del referendum solo in Lombardia, Toscana e Lazio risultano già congelati oltre 6,5 miliardi di investimenti da tempo programmati per l’ammodernamento della rete idrica. E, dopo anni di stop and go, l’ennesima sospensione non può essere certo considerata la medicina migliore per far fronte all’arretratezza del sistema idrico. Basti pensare che la Regione Lombardia è dall’ormai lontano 2003 che tenta di dare vita a una legge organica per il settore. Con una vittoria dei sì passerebbe automaticamente dal congelamento alla totale evaporazione degli investimenti programmati. Si chiuderebbe cioè il rubinetto delle risorse già destinate all’ottimizzazione dell’approvvigionamento idrico: un paradosso che forse in questo momento il Paese non potrebbe permettersi» Segnalo poi un’analisi di Roberto d’Alimonte sullo strumento “referendum”: “Venti anni fa la svolta della preferenza unica”. D’Alimonte ricorda i referendum sulla preferenza unica e sul sistema elettorale del 1991 e del 1993: «Questi due referendum, soprattutto il secondo, cambiarono radicalmente le regole della competizione politica. Ma, come si è detto, non era l’interesse per le questioni elettorali la vera motivazione del voto. Era la voglia di nuovo. Oggi si respira per certi aspetti una aria simile. Qua e là se ne sono visti chiari segnali nelle recenti elezioni amministrative, soprattutto nei grandi centri e ancor più a Milano e Napoli. Per questo i referendum del 12 e 13 giugno hanno acquistato una rilevanza che va al di là delle questioni in discussione. Come nel ’91 e nel ’93 gli elettori potrebbero cogliere quest’occasione per esprimere la stessa voglia di cambiamento. Ma l’atmosfera non è la stessa di quegli anni. La voglia di cambiare c’è ma c’è anche tanto scetticismo. Allora era facile stabilire un nesso diretto tra voto referendario e cambiamento. Oggi non è proprio così. Preferenze multiple e sistema proporzionale venivano considerati come simboli del “vecchio” di cui ci si doveva liberare. Acqua e nucleare possono avere la stessa funzione come catalizzatori del cambiamento? Qualche dubbio è legittimo. Ma dopo quanto è successo a Milano e Napoli è meglio non sbilanciarsi. Potrebbero esserci delle sorprese dietro l’angolo. Per questo i partiti di governo sono diventati molto più cauti e quelli di opposizione più arditi».
«Con o senza il voto, l’acqua resterà pubblica. Come sancito dal codice civile”. Cesare Maffi, nel suo commento a pag 3 di ITALIA OGGI, si scaglia nei confronti dei sostenitori dei referendum «che sono riusciti a imporre una patente menzogna, perché hanno fatto prevalere, nell’intera pubblicistica, la comprensione dei due referendum nell’unica dizione, fortunatissima propagandisticamente, dell’acqua pubblica». Secondo Maffi infatti, «le norme di cui si propone l’abrogazione non intendono minimamente portare all’acqua privata. Nessuno ha mai proposto di cancellare l’art. 822 del codice civile, che resta pienamente in vigore e che così individua il demanio pubblico, per quel che riguarda le acque:appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acqua definite pubbliche dalle leggi in materia».
AVVENIRE parla dei referendum solo a pagina 9 in un articolo dedicato al “rompicapo” del voto all’estero. Con l’obiettivo quorum in cima alle preoccupazioni dei sostenitori, la vicenda degli italiani all’estero che hanno votato sul vecchio quesito in materia di nucleare rivisitato dalla Cassazione diventa scottante. Il Viminale esclude la possibilità di ripsedire oltre confine le nuove schede grigie, con i quesiti aggiornati, ma sulla validità delle scelte fatte sulla prima formulazione deciderà la Corte d’appello. Colorito come sempre il commento del leader Idv Di Pietro: «Gli italiani all’estero non hanno potuto esprimersi sul quesito sul nucleare così come riformulato il 6 giugno, ma possono fare la differenza per il raggiungimento del quorum. E non vorremmo che finizzero cornuti e mazziati». Bossi non andrà alle urne, dicono i suoi, anche se la Lega h lasciato libertà di scelta. Fini invece ha dichiarato che andrà a votare perché “è bene partecipare”. Un taglio basso parla dei tanti sì del mondo cattolico per il referendum sull’acqua: diocesi, associazioni e stampa riflettono sui quesiti proposti: le risorse idriche sono «un bene comune che tale deve restare».
Pagina 10 e commento di Massimo Gramellini su LA STAMPA per coprire la questione referendum: «Non sopporto gli astenuti biforcuti – scrive Gramellini nella sua rubrica “Buongiorno” – Quelli interessati ai referendum. Interessatissimi. Ma che proprio per questo, dopo aver cercato di vanificarli spingendoli alla soglia dell’estate, si asterranno al puro scopo di farli fallire. Per giustificarsi, costoro tirano in ballo la volontà dei Padri Costituenti. Ma chiunque vada a rileggersi i lavori preparatori della Costituzione scoprirà che il quorum del 50% degli aventi diritto al voto fu inserito come clausola di autodifesa contro i referendum di scarsa presa popolare, non come trappola per consentire ai contrari di truccarsi da disinteressati. Questa gherminella viene usata solo in Italia. Ed è anche per infliggere una lezione a certi azzeccagarbugli da strapazzo che domenica e lunedì non andrò al mare». A pagina 10, invece la doppia intervista ad Antonio Di Pietro (Idv) e Gaetano Quagliarello (Pdl) sul tema del “Legittimo impedimento” (scheda verde, vota sì che vuole abrogare la norma, no, chi la vuole mantenere). Sentiamo il primo: «In un Paese normale è meglio sapere prima si è governati da un mascalzone, non dopo che ha terminato il suo incarico e si è fatto gli affari suoi. Questo presidente del Consiglio, invece, fa di tutto per non rispondere ai giudici. E invece, come ci ricorda l’articolo 3 della Costituzione, la legge è uguale per tutti». Ed ecco Quagliariello: «Questi referendum hanno tutti un impianto politico strumentale. Un certo tasso di strumentalità è legittimo, ma sul Legittimo impedimento lo è in modo sommo. E’ stato presentato solo per fare un dispetto a Berlusconi. Per questo noi ci sottraiamo. Non diciamo libertà di voto, ma libertà se andare o no. Vorrei ricordare che le scelte sono sempre tre: approvazione del quesito, respingimento, non voto». Francesca Schianchi, infine, offre una panoramica dal punto di vista del governo, su chi andrà a votare e chi no nel suo “Referendum, mezzo governo al mare”: «Da quel che mi risulta Bossi non andrà a votare», fa sapere il capogruppo alla Camera della Lega, Marco Reguzzoni, nonostante nei giorni scorsi il leader del Carroccio avesse definito «attraenti» i quesiti sull’ acqua. Nella Lega, come nel Pdl, la parola d’ordine è libertà di scelta. Come il Senatùr, si asterranno vari esponenti del governo: da Gianfranco Rotondi a Renato Brunetta, da Giancarlo Galan a Carlo Giovanardi. E una dichiarazione di non voto arriva anche dall’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni: «Non voto mai a nessun referendum per principio, perché quello abrogativo lo trovo una follia».
E inoltre sui giornali di oggi:
LIBIA
AVVENIRE – Apertura con il titolo “Libia, fuoco senza fine” e oltre al Primo Piano delle pagine 4 e 5 sui raid Nato che si intensificano e il contrattacco di Gheddafi dedica alla guerra libica due editoriali. Il primo, “Gravi dubbi”, è firmato da Giulio Albanese che si chiede: «Ma per quanto feroce possa essere l’attuale dittatore, valeva davvero la pena fare la guerra? A parte le mediazioni dell’Unione Africana e del governo di Mosca che stanno facendo di tutto per offrire a Gheddafi un esilio dorato, bisogna ammettere che se nel deserto libico non ci fosse l’oro nero, non vi sarebbe stato tutto questo dispiegamento di forze alleate. Si ha quasi l’impressione che la decisione di bombardare la Libia sia stata presa dalle grandi multinazionali petrolifere e non dagli Stati sovrani fautori della democrazia… Ancora una volta le cancellerie si dimostrano inconcludenti, anche perché la rivolta libica è un po’ diversa da quella dei vicini di casa egiziani e tunisini. In Libia è in atto una guerra civile tra Tripolitania e Cirenaica che, comunque vadano a finire le cose, lascerà i suoi strascichi per lunghi anni. E come spesso accade in guerra non si riesce a capire come effettivamente stiano andando le cose». E conclude: «oggi, a pagare il prezzo più alto è la povera gente. Sì quella che fugge, disposta a passare il mare con ogni tipo d’imbarcazione per salvare la pelle. E che noi chiamiamo impropriamente “clandestina”, ignorando l’ammonizione della lettera agli Ebrei: «Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli». Nel secondo editoriale, “Giusta via”, Vittorio E. Parsi spiega come “uscire dalla strana guerra” e scrive: «È ancora lontana dalla sua conclusione la campagna di Libia intrapresa dalla Nato in esecuzione della Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu… Può sembrare incredibile che dopo 10.000 missioni, e oltre 1.800 obiettivi militari colpiti, l’alleanza che raccoglie le economie tecnologicamente più avanzate del pianeta non sia ancora riuscita ad aver ragione della volontà di resistere del Colonnello. Ma il paradosso è solo apparente, se si considera la limitatezza dei mezzi a disposizione per imporre una no-fly zone “muscolare” su un area molto estesa, oltretutto nella sostanziale assenza di truppe di appoggio sul terreno… Credo tuttavia che possa risultare chiaro a tutti che se le truppe del Colonnello non fossero state bersagliate continuamente negli ultimi due mesi e mezzo, oggi staremmo inutilmente commemorando le migliaia di vittime di Misurate e Bengasi, e fronteggeremmo ondate di profughi davvero bibliche, ben più grandi di quelle che in questi giorni si stanno abbattendo sulle nostre coste. In Libia la comunità internazionale ha potuto intervenire per la semplice ragione che la rilevanza strategica del Paese è semplicemente nulla. Il crollo del regime di Gheddafi, persino nell’ipotesi di una divisione della Libia in due diverse entità statuali (ufficialmente finora negata), non avrebbe nessuna conseguenza sugli equilibri del Maghreb. Una situazione ben diversa da quella che caratterizza altri Paesi nei quali la repressione delle rivolte interne avviene con devastante brutalità, come la Siria o lo Yemen, e che rende così difficile qualunque intervento internazionale, non necessariamente di carattere militare. E il petrolio? Semplicemente non c’entra nulla. Combattere una guerra è il modo peggiore per accaparrarsi il controllo delle risorse petrolifere di un Paese: salvo che non si pensi di annetterlo, come tentò di fare Saddam Hussein con il Kuwait nel 1990. Per capirlo è sufficiente guardare a chi sono finite le concessioni per i più ricchi campi petroliferi iracheni: a compagnie russe, malesi, norvegesi, anglo-olandesi, francesi e persino angolane; non americane».
EGITTO
CORRIERE DELLA SERA – “Il dialogo difficile tra musulmani e copti per salvare la rivoluzione (e le minigonne)”: pagina 23 dedicata al viaggio in Egitto di Sergio Romano. Scrive l’ambasciatore nei panni di inviato: “Fra coloro che si sono maggiormente prodigati per la pacificazione degli animi, in questi ultimi tempi, vi è Ahmed El Tayeb, Grande Imam dell’Università di Al Azhar. Lo avevo conosciuto qualche anno fa, quando era rettore dell’Università e vestiva un abito scuro di taglio occidentale. Ora veste un lunga tunica nera e ha il capo coperto da un berretto bianco non diverso da quello di un qualsiasi imam sunnita nell’esercizio delle sue funzioni. Ma è la principale autorità religiosa della più autorevole istituzione accademica dell’Islam, una carica che conferisce alle sue posizioni un prestigio pari a quello del grande Ayatollah iraniano nel mondo sciita. Anche El Tayeb, nei giorni di piazza Tahrir, è stato bersaglio di qualche contestazione dai giovani che gli rimproveravano, tra l’altro, di essere stato nominato, come i suoi predecessori, dal presidente Mubarak. Ma non sembra che quei colpi di spillo abbiano deturpato la sua immagine. È certamente conservatore, ma troppo intelligente per ignorare che negli scontri fra religioni il numero degli sconfitti è sempre superiore a quello dei vincitori. La sua risposta al clima sovraeccitato degli scorsi mesi è una iniziativa ecumenica. Mi dice di avere costituito con papa Shenuda e altri esponenti religiosi una «Casa della famiglia» , in cui si lavora a creare le condizioni per una migliore convivenza fra musulmani e cristiani. Sono state istituite commissioni per eliminare dai manuali e dai programmi scolastici tutto ciò che può incitare all’odio interreligioso. Vengono programmate trasmissioni televisive in cui i rappresentanti delle diverse fedi religiose confrontano le loro letture dei testi sacri. Gli chiedo se la sua politica si scontri con la resistenza dell’oltranzismo islamico, della Fratellanza musulmana, dei gruppi salafiti che sono usciti dall’ombra e si stanno organizzando. Mi risponde prudentemente ed ecumenicamente che con la Fratellanza è possibile dialogare e che anche tra i salafiti vi sono i buoni e i cattivi”.
LAVORO/ECOLOGIA
REPUBBLICA – “Colletti verdi”. R2 dedica il suo approfondimento quotidiano sui “mestieri che risanano la terra: nuove figure professionali e infinite opportunità, così l’economia dell’ambiente unisce business ed ecologia”. Secondo le previsioni di Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto club «nei prossimi cinque anni, in Italia, la green economy darà oltre un milione di posti di lavoro».
INQUINAMENTO
LA STAMPA – Titolo “Feltrinelli e la discarica abusiva Crociata per salvare il Monferrato”. Nel cuore di una collina nel Monferrato su cui è adagiata Villadeati, 400 abitanti tre strade e una panetteria come unico negozio, da dodici anni sanguina una ferita. In una fabbrica abbandonata – scheletri di cemento, vetrate in pezzi e mostri di ruggine – giacciono più di tremila metri cubi di rifiuti pericolosi, per lo più scarti di fonderie. Orrendi cumuli marroni arrivati da chissà dove nel 1989, in poche notti. Messi uno sull’altro, riempirebbero dieci appartamenti di cento metri quadri. Un grattacielo di rifiuti. Gli unici a combattere da oltre 10 anni per la onifica dell’area sono l’editore Feltrinelli, che qui ha una villa-castello, e il sindaco della cittadina. Ma ancora nulla.
WELFARE
IL MANIFESTO – Richiamo in prima pagina per il rapporto sui diritti sociali “Welfare tagliato del 78%. Ma il governo Berlusconi trova i fondi per Cie e Cpt a cui destina 1 miliardo”, l’articolo apre pagina 7 con il titolo “Europa, addio caro vecchio welfare”. «Ultimo in ordine di apparizione ma non certo per nitidezza di analisi, anche il “Rapporto sui diritti globali 2011” certifica, numero dopo numero, la macelleria sociale portata avanti dal governo Berlusconi nei suoi tre anni di quotidiano, certosino lavoro ai fianchi di quanto restava del welfare italiano. Al tempo stesso, alzando lo sguardo alla dimensione europea che del welfare è stata portabandiera nei primi trent’anni del secondo dopoguerra, la nona edizione del Rapporto ribadisce la sproporzione record tra la finanza globale e l’economia reale. Con quel che ne consegue in tema di ricadute, anche e soprattutto sociali. (…) Fra le conseguenze, annota il Rapporto curato da Sergio Segio e pubblicato dalla Ediesse, casa editrice della Cgil, il fatto che nella partita ci siano due canoni arbitrali, a vantaggio degli stati più grandi. Quelli troppo grandi per fallire, come gli Usa che viaggiano con un debito pubblico oltre i 20mila miliardi di dollari. «Superiore, nel rapporto con il pil, a quello dell’Italia. E il deficit è più alto di quello della Grecia. Ma nessuno ha ovviamente chiesto agli Stati Uniti di rientrare». In questo già patologico contesto globale, il Rapporto promosso dal sindacato di Corso Italia insieme ad Arci, Antigone, ActionAid, Legambiente e Gruppo Abele segnala poi che, nella dimensione europea, la crisi sta spingendo le varie nazioni del continente ad archiviare i loro, pur variegati, modelli di welfare (…)».
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