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Reddito di cittadinanza e povertà: il Governo dice una cosa, ma i dati ne dicono un’altra
La strenua difesa del reddito di cittadinanza continua ad essere svolta rivendicando la bontà dei sostegni alle famiglie povere. Ma i numeri messi a disposizione smentiscono questa tesi e soprattutto evidenziano l’esclusione dai benefici di buona parte delle famiglie e delle persone più esposte alle condizioni di povertà
I dati comunicati dall’Inps nel mese di dicembre 2019 relativi al primo anno di gestazione del Reddito di cittadinanza (di seguito r.d.c.) relativi alle domande accolte e al numero dei beneficiari del sussidio, sono molto scarni e consentono a malapena di valutare gli aspetti gestionali e finanziari del provvedimento. Ma consentono comunque di fare una prima valutazione dell’efficacia del provvedimento per la finalità di ridurre la quota di popolazione nella condizione di povertà assoluta.
Erano stati commentati con molta enfasi dal Presidente del Consiglio nella conferenza di fine anno, che, riprendendo una precedente uscita del Presidente dell’Inps, ha affermato che grazie ai sussidi erogati è stato ridotto del 60% il numero delle persone povere stimate dall’Istat nell’ambito della indagine 2018 sulle condizioni di reddito delle famiglie regolarmente residenti in Italia.
Comparazione e difformità
La comparazione è risultata subito inappropriata, non solo per la scarsità delle informazioni fornite, ma soprattutto perché l’intervento varato dal legislatore, per via dei criteri stabiliti per selezionare i potenziali beneficiari sulla base dei redditi e dei patrimoni e per valutare l’entità dei sussidi da erogare in relazione alle caratteristiche dei nuclei familiari, si discostano notevolmente dai parametri utilizzati dall’Istituto di statistica per stimare le famiglie e le persone in condizioni di povertà assoluta.
Su queste difformità abbiamo concentrato la nostra analisi, per quantificare e valutare il rapporto esistente tra i soggetti beneficiari del r.d.c., sulla base delle informazioni fornite dall’Inps, e le stime a suo tempo effettuate dall’istituto di statistica nazionale ,1,8 mln di famiglie e 5mln di persone coinvolte, declinate per cittadinanza di origine, carichi familiari e distribuzione territoriale.
Il modello adottato dal legislatore per selezionare i beneficiari del rd.c., introduce due significative innovazioni rispetto al precedente reddito di inclusione, per i requisiti utilizzati per la selezione dei beneficiari, e altrettante per la quantificazione dei sussidi da erogare per ogni nucleo familiare.
Sul primo versante il vincolo di possedere almeno 10 anni di residenza in Italia, e di dover certificare i redditi e i patrimoni posseduti nei paesi di origine, ha prodotto l’esclusione della gran parte dei nuclei famigliari composti da persone straniere. Famiglie che, nell’indagine Istat, rappresentavano il 29% dei nuclei in condizione di povertà assoluta e più del 30% delle persone coinvolte.
Nell’indagine Istat la condizione di povertà assoluta veniva stimata prendendo in considerazione, oltre alle condizioni di reddito e dei carichi familiari, l’insediamento territoriale delle famiglie, differenziando gli impatti in relazione alla residenza: nelle aree metropolitane rispetto ai comuni di minore densità di popolazione, tra centri e periferie, tra nord, centro e sud Italia. Un criterio di valutazione che, come noto, non è stato preso in considerazione dal legislatore che ha preferito uniformare per tutto il territorio nazionale i criteri di selezione per i potenziali beneficiari e per la quantificazione dei sussidi da erogare.
L'obbligo di possedere almeno 10 anni di residenza in Italia, e di dover certificare i redditi e i patrimoni posseduti nei paesi di origine, ha prodotto l’esclusione della gran parte dei nuclei famigliari composti da persone straniere. Famiglie che, nell’indagine Istat, rappresentavano il 29% dei nuclei in condizione di povertà assoluta e più del 30% delle persone coinvolte
La metodologia adottata per stimare l’integrazione del reddito inoltre, diversamente da quanto previsto per il reddito di inclusione, ha introdotto una una soglia limite per l’incremento del sussidio sulla base dei carichi familiari, penalizzando in questo modo le famiglie numerose.
Guardiamo ai beneficiari
Quali effetti hanno prodotto queste discriminanti sulla platea dei beneficiari? Il comunicato dell’Inps evidenzia che alla data del 6 dicembre 2019 , erano state ricevute 1,623 mln di domande di partecipazione al r.d.c. tra le quali: 1,066mln sono state accolte e 445ml rigettate o respinte, per un numero beneficiari effettivo di 2,451mln persone. Per un importo medio erogato di 484 euro mensili, risultante dai 522 euro erogati ai 891ml nuclei familiari beneficiari del r.d.c, e dai 219 euro erogati per quelli beneficiari della pensione di cittadinanza.
Sul totale dei nuclei famigliari beneficiari, quelli composti da cittadini di origine straniera risultano avere una incidenza del 10% rispetto al 30% potenziale stimato dall’Istat. L’esclusione operata per molta parte delle famiglie straniere ha generato due ulteriori significativi scostamenti rispetto alle rilevazioni dell’Istat: il dimezzamento dei livelli di partecipazione territoriale del nord Italia, dal 38% al 20%, per effetto del forte insediamento degli immigrati in quelle regioni, con un incremento speculare della incidenza delle prestazioni erogate verso i percettori dei sussidi nel mezzogiorno dal 48% al 66% sul totale delle domande accolte, e una forte riduzione del livello dei nuclei percettori con minori carico, 368ml rispetto agli 890ml , e del numero dei minori tutelati. Nel mentre i nuclei familiari composti da una sola persona che hanno ottenuto il riconoscimento del r.d.c. rappresentano il 39% del totale.
Il grado di potenziale copertura del provvedimento per i nuclei familiari italiani risulterebbe del 73% ( 911 ml rispetto alla stima potenziale di 1,250 mln ). Per lo specifico delle famiglie l’incidenza si riduce a circa il 20% dei nuclei potenzialmente cinvolgibili ( 96ml su 567 ml ).
Preme rilevare che nell’indagine Istat 2018 la popolazione più esposta per intensità di povertà, cioè i più poveri tra i poveri, risultano essere le famiglie composte da stranieri e quelle con minori a carico. Per lo specifico delle famiglie straniere il grado di coinvolgimento nella condizione di povertà assoluta risulta essere di 4 volte superiore a quello delle famiglie italiane
La strenua difesa del reddito di cittadinanza continua ad essere svolta rivendicando la bontà dei sostegni alle famiglie povere. Ma i numeri messi a disposizione smentiscono questa tesi e soprattutto evidenziano l’esclusione dai benefici di buona parte delle famiglie e delle persone più esposte alle condizioni di povertà
La scelta di dare attuazione al reddito di cittadinanza in assenza della messa a regime della strumentazione idonea a verificare la congruità dei requisiti dei richiedenti, ha sostanzialmente obbligato l’Istituto erogatore a verificare i requisiti dei richiedenti sulla base delle autocertificazioni degli interessati. Con i rischi, ampiamente confermati nelle indagini campione della guardia di finanza, di aver autorizzato una rilevante mole di sussidi a soggetti privi di requisiti, di dover sovraccaricare le attività ispettive a valle delle erogazioni con il conseguente aumento dei contenziosi.
Non bastasse questo, il numero delle domande respinte risulta già molto molto elevata, quasi 1/3 tra quelle esaminate, con punte che arrivano al 40% e oltre nelle regioni del mezzogiorno, laddove l’incidenza del lavoro sommerso sul prodotto interno assume valori più rilevanti.
Nel complesso l’Insieme delle domande presentate, tenendo conto degli effetti della esclusione di buona parte delle famiglie straniere, supera abbondantemente la stima dei nuclei familiari in condizione di povertà assoluta effettuata dall’Istat.
Quali conclusioni trarre?
Il r.d.c. all’italiana è stato criticato dalla maggioranza degli esperti, soprattutto per la pretesa di utilizzare uno strumento finalizzato a contrastare la povertà assoluta e il disagio sociale, per rimediare alla debolezza delle politiche del Welfare in particolare quelle rivolte al sostegno delle famiglie e alle politiche attive per il lavoro. E per la scelta di privilegiare la politica dei sussidi che nelle esperienze consolidate tende a disincentivare la ricerca del lavoro e appare controproducente per contrastare le diverse cause della povertà, a partire dalle forme di dipendenza e dall’abbandono scolastico. Rilievi che, tra l’altro, hanno trovato abbondanti conferme nella attuazione concreta del provvedimento.
Tuttavia la strenua difesa del r.d.c. continua ad essere svolta dai proponenti, e non solo da loro, rivendicando comunque la bontà dei sostegni alle famiglie povere, in attesa di perfezionare i servizi rivolti alla inclusione e alle politiche per il lavoro. Ma i numeri messi a disposizione smentiscono questa tesi e soprattutto evidenziano l’esclusione dai benefici di buona parte delle famiglie e delle persone più esposte alle condizioni di povertà.
Questo non significa affatto che tutti i beneficiari del r.d.c. non siano in condizioni di indigenza. Significa che l’intervento, nonostante la mole di risorse messe a disposizione o forse proprio per questa ragione, sta distorcendo l’obiettivo di contrastare le forme della povertà assoluta e sollecita la formazione di comportamenti opportunistici che rischiano seriamente di condizionare anche il proseguo dell’intervento, e di renderlo sostanzialmente irriformabile.
Preme del resto sottolineare che la penalizzazione di una parte significativa delle persone in condizioni di povertà, le famiglie numerose e gli stranieri, non è il frutto di distrazioni ma sono, come noto, la conseguenza di scelte deliberate dai proponenti.
L'autore
Natale Forlani è stato segretario confederale della Cisl e ad di Italia Lavoro (Agenzia strumentale del Ministero del Lavoro, della quale ha assunto anche la carica di presidente nel 2009). Già direttore generale dell’Immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, è stato estensore, insieme a Marco Biagi ed altri autori, del Libro Bianco sul Lavoro.
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