Welfare

Reddito di Cittadinanza: Basta chiamarlo la misura dei pigri

Ad oggi beneficiano del RdC 1.479.809 nuclei familiari. È considerato da molti una misura assistenzialistica che alimenta pigrizia e una misura dannosa perché riduce l’offerta di lavoro e ostacola l’attività produttiva delle imprese. Le tesi non reggono: ma veramente pensiamo che la disoccupazione è figlia di uno scarso impegno dei disoccupati? Inoltre il sistema Italia, anche per la colpevole incapacità della politica, si è troppo abituato a costruire le proprie fortune – che sono fortune di pochi – sui bassi salari, sul lavoro nero e irregolare e sullo sfruttamento di risorse esauribili

di Marco Musella

Un nome impegnativo, “Reddito di cittadinanza” (RdC), per una misura di civiltà che, al di là dei limiti individuati da tanti, ha avuto un ruolo fondamentale per la tenuta del Paese, soprattutto durante la fase drammatica della pandemia. Oggi, con una inflazione a due cifre, poi, i problemi dei poveri permangono e si sono aggravati.

Il nome, si diceva, è impegnativo perché dichiara la convinzione che senza reddito non c’è cittadinanza; che il reddito è un diritto di chi appartiene ad una comunità. E se – per una delle mille ragioni che non possiamo indagare in questa sede, ma che una vastissima letteratura ha scandagliato nel dettaglio – una persona non riesce a procurarselo – è lo Stato che deve provvedere: perché cittadinanza sia, infatti, un reddito minimo deve essere comunque garantito a tutela della dignità umana.

Oggi (dati 2022) beneficiano del RdC 1.479.809 nuclei familiari così suddivisi: Al Nord i percettori sono poco più di 310.000, al Centro poco più di 235mila al Sud 934,5 mila circa. Se confrontiamo la distribuzione percentuale tra le aree con quella relativa alla disoccupazione e alla povertà assoluta (riferite al 2021), notiamo che la distribuzione è sostanzialmente analoga a quella dei disoccupati, ma molto diversa da quella riferita alla povertà assoluta: il 60,7% di RdC nel 2021 va al Sud, il 43,9% di assolutamente poveri si trovano nel 2021 al Sud. Ci sono tante spiegazioni possibili, ma anche quella di chi sostiene che vi è conferma dell’efficacia del provvedimento nel ridurre la povertà assoluta al sud.

La legge 4/2019 è stata il provvedimento del legislatore di gran lunga più discusso nel dibattito politico recente. Mettendo da parte le critiche che riguardano il fatto che essa ha incentivato opportunismo e corruzione (a ben vedere queste critiche possono essere rivolte ad ogni provvedimento di legge che introduce provvidenze economiche a beneficio di qualcuno), ci soffermeremo in ciò che segue su due questioni, collegate tra loro, che a chi scrive sembrano le più ricorrenti: il RdC è una misura assistenzialistica che alimenta pigrizia e il RdC è una misura dannosa perché riduce l’offerta di lavoro e ostacola l’attività produttiva delle imprese. Per questa via non combatte la povertà, ma ne aumenta la consistenza.


È noto che molti maestri del pensiero, schiere di economisti, sociologi e politologi, sostengono con dovizia di argomentazioni e con molta veemenza queste tesi; qui si proverà a dichiararne la non fondatezza con contro-argomentazioni brevi, ma speriamo efficaci. L’idea che la disoccupazione è dovuta alla pigrizia di donne e uomini che, a ben vedere, non hanno voglia di faticare è molto diffusa. “Nessun pasto è gratis”, titolo di un pamphlet di Milton Friedman, padre del neoliberismo è il modo moderno di tradurre l’idea che Dio cacciando l’uomo dal paradiso terrestre lo ha condannato a “guadagnarsi il pane con il sudore della propria fronte”; e cercare di andar contro questa condanna, dando a qualcuno gratis i pasti, significa consegnare la società alla sua stessa distruzione. Occorrerebbe molto più spazio per smontare queste idee, anche perché il loro (errato dal mio punto di vista) radicamento nel mito delle origini, gli dà radici profonde. Qui mi limiterò a fare una (due) domanda: ma veramente pensiamo che la disoccupazione (unica causa della povertà, secondo tanti! E anche su questo ci sarebbe tanto da dire) è figlia di uno scarso impegno dei disoccupati? O la crisi del sistema capitalistico, nella sua capacità di creare lavoro, ha raggiunto livelli così elevati (e su questa strada procederemo ancor più spediti nel futuro) che va ripensata radicalmente l’organizzazione sociale, il rapporto lavoro-formazione-consumo-tempo libero secondo una prospettiva orientata dall’urgenza di affrancarci dalla schiavitù del lavoro alienante? Dobbiamo aver chiaro che viviamo in un sistema che, anche a causa delle dissennate politiche di austerity degli ultimi anni, tende a generare disoccupazione anche quando riesce a sperimentare fasi di crescita economica ed espansione produttiva; un sistema che non è in grado nel breve (ma quanto breve?) periodo di darsi un assetto diverso con distribuzione diversa del lavoro che c’è e con politiche che modifichino gli assetti produttivi per favorire settori come servizi sociali, cultura e beni comuni. La pigrizia centra davvero poco e non si possono abbandonare le persone espulse oggi dalle logiche di un sistema che non riesce ad autoriformarsi come fossero “scarti”; sto usando volutamente le parole di Papa Francesco.

Quanto alla seconda critica vien fatto di osservare che il sistema Italia, anche per la colpevole incapacità della politica, si è troppo abituato a costruire le proprie fortune – che sono fortune di pochi – sui bassi salari, sul lavoro nero e irregolare, sullo sfruttamento di risorse esauribili. Si è alimentata una imprenditoria che, anziché ricercare nuovi metodi produttivi, realizzare innovazione di processo e di prodotto, usa i bassi salari per fare profitti. Per farla breve anche in questo caso, se il RdC ha innalzato di qualche decina di euro il “salario di riserva” (quel salario al di sotto del quale non si è disposti a lavorare) non solo non deve essere considerato un dramma per lo sviluppo e la crescita, ma uno stimolo a crescere in modo più intelligente e sostenibile.

Va tutto bene allora? No, nessuno dice questo. Se, però, si vuol mettere mano ad una riforma del RdC, lo si faccia a partire dalle 10 indicazioni del Comitato scientifico per la valutazione e non da presupposti ideologici basati su teorie sbagliate e su una lettura preconcetta degli effetti di questa misura di contrasto alla povertà. Proprio per dire ai decisori pubblici verso cosa orientare i cambiamenti abbiamo organizzato l’8 novembre a Napoli, a Santa Maria La Nova, nella sala del Consiglio della Città Metropolitana, un momento di riflessione pubblica!

Martedì 8 novembre ore 11/13 sala Consiliare (Sala Consiliare Città Metropolitana Complesso Monumentale Santa Maria la Nova), è in programma un incontro per discutere sulla sperimentazione del Reddito di Cittadinanza che ha evidenziato da un lato la necessità del Paese di dotarsi di una misura universale di sostegno alla povertà e dall'altro l'urgenza di modifiche all'attuale misura. Ma cosa è possibile fare oggi, a distanza di tre anni dall'avvio della sperimentazione?

Intervengono: Sergio D'Angelo; Marco Musella; Rosaria Lumino; Ciro Fiola; Rosaria Licciardi; Lorenzo Zoppoli; Costanza Boccardi Modera: Monica Buonanno

*Marco Musella, presidente di Iris Network

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.