Welfare
Rebibbia, mio atroce manicomio
Toni Negri, il più famoso dei "cattivi maestri", ha annotato giorno per giorno la sua detenzione nel penitenziario romano, un'esperienza lacerante.
Quando Toni Negri è rientrato in Italia nell’estate del 1997 tradotto dalla Polizia nel carcere di Rebibbia, non si aspettava certo di trovare i “mattarelli”, seminfermi mentali mescolati a detenuti comuni. Il carcere che si ricordava lui era quello di massima sicurezza, dove non c’erano matti, ma politici deliranti. E invece a Rebibbia ha trovato in un sol luogo tutte le contraddizioni di un sistema penitenziario afflitto dalla rigidità della custodia, l’impotenza del tribunale di sorveglianza, la mancanza di lavoro. In una frase, come ci dice, «l’incontro con detenuti senza un barlume di speranza. Nel nostro sistema giudiziario c’è una sorta di perfidia giuridica che non concede loro la seminfermità totale», attacca, «e quindi nega loro anche la possibilità di essere prosciolti per in capacità di intendere e di volere perché i “mattarelli” che stanno in carcere a Rebibbia hanno commesso reati, anche gravissimi, contro le istituzioni, ma in realtà nessuno di loro dovrebbe stare in carcere perché sono malati».
Toni Negri, sin dai primi mesi a Rebibbia, ha iniziato subito a lavorare con loro grazie al “Progetto Ulisse”, promosso dal circolo Acli di Rebibbia Penale. L’obiettivo? Poter garantire loro il diritto di cura, «prima non veniva neanche lo psichiatra», afferma. Per impedire che ogni volta che davano fuori di matto ritornassero nell’inferno degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari dove venivano abbrutiti con gli bombe di psicofarmaci, e soprattutto per tirarli fuori dal carcere. Per costruire un rifugio esterno al carcere dove questi detenuti malati possano ritrovare una dignità. Dal luglio del 1998, da quando ha ottenuto la semilibertà, il professore della rivoluzione e della ribellione violenta e di massa, già parlamentare e poi esule in Francia, è impegnato ad organizzare corsi di yoga, teatro, narrativa, pittura, ma soprattutto per dar vita a percorsi capaci di coinvolgerli, risvegliarli alla vita. Qualche mese fa li ha portati fuori per la prima volta per recitare sul palcoscenico un’opera teatrale e adesso è passato alla fase due: costruire una casa esterna dove possano andare a vivere con i detenuti semiliberi. «Per farli uscire dal carcere e allo stesso tempo per trovar loro un lavoro, visto che le cooperative e il sistema del non profit dentro il carcere non ha funzionato», dice.
Oggi, Toni Negri lavora alla cooperativa “don Luigi di Liegro” che il professore ricorda come persona eccezionale che ha anche avuto grande parte nel suo cambiamento. Dalla militanza politica dell’autonomia operaia alla militanza sociale, «sì, ma non perché sono bravo o gentile, ma perché cercare di cambiare le cose sta nella mia natura, è scritto nel mio Dna», ride. Un aiuto a capire di più cosa sia cambiato in lui può venire dalla riedizione che di un libro che già negli anni settanta lo rese famoso, “Spinosa”, ripubblicato da “Deriveapprodi” con una post-fazione scritta in carcere. In questo breve saggio Negri si scaglia ancora contro «le filosofie superficiali che fanno del mondo la scena di forme danzanti con umbratile leggerezza e che appaiono come una sorta di apologia della rassegnazione, un disimpegno che si adagia al bordo del cinismo»; il professore attacca ancora «la concezione trionfale del potere e della sua arroganza». Ma parla di un mondo da «ricostruire». Come? «Con l’amore, l’unica passione che crea l’esistenza comune e capace di distruggere il mondo del potere». Fin qui la filosofia. Oggi, oltre a cercare posti di lavoro per detenuti, realizza ricerche. L’ultima, sul post-fordismo in carcere commissionata dal Censis, si conclude con una sconsolata e amara constatazione del fatto che, se dietro le sbarre non riprende in fretta lo spirito della riforma Gozzini, la situazione potrebbe scappare di mano. Ne dà testimonianza appassionata in un diario, di cui vi proponiamo ampi stralci.
19/7/97 – C’è un lavorante, mezzo matto, che interpella i suoi commilitoni con un “negro, servo…”, gli dà da mangiare, è un “portavitto”; altre volte attraversa il passeggio gridando a tutti, indistintamente “negri, servi…” – grida secche, intempestive. È completamente assurda questa pantomima ma – lo riconosco volentieri – rende al nostro lebbrosario un po’ più di verità.
26/7/97 – Ho un vicino di cella: è un ragazzo di una grassezza enorme, esorbitante. È aggressivo, molto aggressivo quando mi chiede delle sigarette, in continuazione in ogni momento della giornata. Mi dicono che abbia ucciso un vecchietto che lo derideva. Ormai ho capito di essere completamente circondato da seminfermi mentali. Qui li chiamano “mattarelli”. Vincenzo, elegante portamento, chiuso in se stesso (devono averlo caricato di chimica) mi dicono abbia ucciso un prete; Giacomo invece ha ucciso uno stretto parente. Vittorio ha ucciso la moglie con una martellata. Antonio ha ucciso un poliziotto durante una rapina, ma probabilmente altri. Carlo ha stuprato e ucciso due donne. Ecc. ecc.
20/8/97 – M. pesa ormai solo 32 kg. Forse sta morendo. Anche questa sera c’è stato un allarme. La sirena ha suonato. E arrivato il medico, pressione 30/40 fino a 50/60. Non morirà ancora. Cadendo si è spaccato la testa. Basta un cerotto, tanto il sangue non esce più nemmeno dalla ferita. Lui non riesce più a mangiare e comunque non vuole più farlo se non gli è concessa la sospensione della pena, se non può uscire quindi. E pazzia questa?
23/8/97 – In questo braccio di seminfermi mentali sono uno dei pochi a non esserlo. Mi guardo intorno osservando, cercando di capire, guardando come vivono. Atteggiamenti mansueti,sguardi feroci. Vedo la chimica farmaceutica farli tremare oppure immobilizzarli, comunque roderli. Come poter sopportare questa miseria? Qui si diventa matti.
29/8/97 – Si susseguono ormai le riunioni per il “Progetto Ulisse”. Si cominciano a costituire le squadre per pulire le celle dei seminfermi ed a scrivere i primi testi per impostare l’assistenza ai “mattarelli” da parte dei detenuti “normali”.
6/9/97 – Questa sera, nell’imbrunire, i matti del reparto erano tutti riuniti sul ponte che collega gli opposti ballatoi del reparto. Vincenzo era immobile, catalettico, guardava lontano, nella sua impressionante magrezza. L’obeso portava incessantemente il suo ventre qua e là, e con le due dita della mano destra sostenute dal pollice, tese verso ogni passante, ripeteva “sigaretta?” e riportava le due dita alla bocca. Vittorio si era disteso quasi nudo accanto a Vincenzo. Antonio attraversava continuamente il passeggio con grande cautela ripetendo sulle labbra la sua poesia: “pareti muro manicomio / nuda natura I natura matta”.
7/9/97 – Questa mattina il seminfermo che è arrivato da pochi giorni si è tagliato. Non ha detto nulla, nessuno se ne è accorto. La guardia, quando ha aperto la cella, lo ha visto in un bagno di sangue. O. si è tagliato perché vuole tornare in manicomio, vuole essere riempito di chimica fino a non vedere più il mondo attorno a sé. Lo hanno preso e portato in infermeria, poi nelle celle di isolamento. Diversamente da quello che avveniva nelle mie altre carcerazioni, adesso le guardie arrivano, quando i detenuti si tagliano, tutte con i guanti di gomma. Che terribile modernizzazione!
9/9/97 – Passo davanti alla cella del vecchietto seminfermo. Riconosco gli acuti della Callas che canta Verdi; la musica è forte. La tenda tirata sulla porta non è perfettamente chiusa, attraverso lo spiraglio vedo che il letto è vuoto. Nella tenda vedo l’ombra di G. che danza. Non ci credo. Mi faccio coraggio e tiro la tenda. Lui continua a danzare, il volto rapito. Non ha nulla a che fare, il suo movimento, con quello della musica, semmai quel Verdi avesse permesso dei movimenti coerenti. Il volto del mattarello è felice. Ore 12 del mattino, una TV che trasmette Callas-Verdi, il movimento di un corpo, gioia, speranza?
15/9/97 – Vincenzo è stato trasferito di nuovo questa mattina all’O.P.G. Mi dicono gli psicologi che nessuno sapeva più cosa farne. Rifiutava le brodaglie chimiche e passava gran parte del suo tempo a guardare dei punti fissi. I suoi occhi cominciavano a vacillare tra una totale incertezza ed una maniacale fissità. Povero Vincenzo! Fra i matti del reparto era l’unico amato dai detenuti normali. Anche io lo amavo, cercavo di rivolgergli la parola. Gli davo volentieri delle sigarette,mio della post-modernità lo coccolavo persino, povero ometto disperato…Adesso lo hanno rimesso in manicomio. E il luogo dal quale è uscito cronicamente folle. Il manicomio criminale è la vera discarica della società, il luogo dove gli esclusi divengono dei rifiuti. Ormai non ti legano più. Prima c’erano i manicomi dell’elettricità, dei letti di contenzione e di altri ammennicoli. Poi le droghe, i bomboni, le pasticche, le punture, i calici di merda. Ti legano così. Fra elettricità e chimica si è sviluppato il manicomio della post-modernità.
9/10/97 – Ricevo da Giulio, che gli O.P.G. li conosce bene, questa nota sugli attrezzi ed altro che si usano in quei luoghi. E un catalogo archeologico, traversato esso stesso da schizzi di follia. Lo trascrivo, così com’è, ivi compresi gli evidenti errori grammaticali.
Reparto agitati: dove vengono rinchiuse persone con un alto indice di pericolosità psichica.
Cella imbottita: dove vengono rinchiusi i ricoverati con alta tendenza al suicidio.
Letto di contenzione: dove vengono continuamente legati ammalati con disturbi psichici.
Fasce:vengono utilizzate per legare i ricoverati che mostrano aggressività.
Fiorentina: è una fascia solida che viene inserita sul torace, sotto le ascelle, e viene fissata al letto.
“Quercizione” al muro: dove vengono “querciti” ammalati in crisi.
Camicia di forza: che tutti conosciamo, come camicia per blocca re persone in crisi.
Collare antimorso: viene utilizzato per non farti mordere, sia “quercito” in piedi che sul letto di contenzione, con spilli sul collare.
Misura cranio: è un arnese di metallo che al primo impatto sembra una tagliola, si misura il cranio, il mento e la testa.
Martellino: si utilizza sui nervi per vedere le reazioni de/paziente.
Penna elettrica: si utilizza nelle mani e sotto i piedi per stabilire la sensibilità del ricoverato.
Guanti antimasturbazione: muniti di spilli, vengono messi alle mani per non farti masturbare: gli psichiatrici sostengono che la masturbazione causa depressione.
Elettroshock: che viene sostituito con il Moditen, considerato dai ricoverati la puntura che uccide l’anima e la voglia di vivere.
Vari psicofarmaci: Talofen, Serenase, Entomin, Largatil, Valium, Minias, En,Tavor.
26/2/98 – Il povero Carmine è un uomo solo, disperato, violento; ma se si riesce a scuotere il suo aspetto affettivo diventa fedele come un cane. Ha l’ergastolo, tutti lo hanno abbandonato. Disagio mentale fortissimo, ignoranza e miseria producono un Q.I. pressoché nullo Ma se gli vuoi bene ti sta dietro come un cane. Come farne un uomo?
10/3/98 – Gli uccellini sono tornati, tranne cinque perduti e due arrivati stanchissimi che si sono posati per terra e i gatti se li sono mangiati. La catastrofe è dunque ridimensionata. I mattarelli hanno fatto fuoco e fiamme oggi contro la Direzione che non avrebbe fatto aggiustare già da tempo i vetri della voliera che si erano fragilizzati, che non ha incitato le guardie a cercare e gli uccellini quando il passeggio era chiuso, che non ha chiamato per tempo il veterinario, ecc. ecc. Formidabile reazione proletaria dopo un disastro naturale… L’eccitazione era altissima, soprattutto tra i mattarelli, di rado ho visto guardie ed ispettori così imbarazzati. Hanno fatto un sacco di telefonate ed hanno assicurato che domani ci saranno gli operai e tutti gli specialisti di riparazione di voliere… e dei malanni degli uccelli.
15/4/98 – I mattarelli: perché a questa gente che è matta non hanno concesso la “totale”? Perché sono qualificati “seminfermi”? Perché stanno qui e non in un ospedale qualsiasi? Forse perché hanno ucciso, ucciso degli ufficiali di stato: carabinieri, magistrati o preti… E allora devono essere puniti, simbolicamente, anche se sono pazzi, toccati da Dio…
Quando il reo è anche folle: storie di psichiatria carceraria
Psichiatria, carcere e trasgressione. Sono questi i temi intorno a cui ruota la rivista quadrimestrale “Il reo e il folle” , da cui è tratto il diario di Toni Negri sui “mattarelli”. Una rivista-seminario di 200-400 pagine utile per chi vuole fare un viaggio, full immersion, nei meandri degli ospedali psichiatrici, gli o.p.g., che una volta venivano definiti manicomi criminali. Titoli provocatori, principi garantisti e notizie inedite scelte e redatte da professori, medici, magistrati. Ecco la ricetta de “Il reo e il folle”. Qualche nome? Nel comitato scientifico c’è Alessandro Margara, ex direttore generale delle carceri, “licenziato” dall’attuale ministro Diliberto e Francesco Maisto, magistrato afflitto da un inguaribile garantismo. Il giornale è diretto da Gemma Brandi, psichiatra di Firenze, con vent’anni di servizio nell’o.p.g. di Montelupo fiorentino e membro della commissione che ha lavorato alla riforma della sanità penitenziaria. Con lei collaborano molti altri specialisti della malattia mentale neile prigioni. Un lavoro da cui scaturisce una testimonianza unica sul dramma dell’alienazione dietro le sbarre. Nell’ultimo numero che potete ricevere in abbonamento (Info.: tel. 0336/913343, e-mail reofolle@fi.newnet.it) oltre al diario integrale di Toni Negri, potete fare una “zoomata” sui penitenziari della Toscana con una serie di articoli sul teatro del carcere di Solliciano, l’istituto di pena del capoluogo toscano, un dialogo fra detenuti e operatori di Arezzo o sull’esperienza del primo club di alcolisti, in trattamento a San Gimignano. Poi la testimonianza di un’agente penitenziaria, le lettere dei detenuti, le riflessioni di un educatore. Ma il tema forte de “Il reo è folle” è la pazzia o meglio la “pazzeria”, come la chiamano i redattori della rivista, e in particolare quella rinchiusa in carcere. Attraverso articoli come “La segregazione riabilitante” di Gemma Brandi o “Di necessità, virtù” di Mario Jannucci, potete farvi un’idea del bistrattato tema dei manicomi criminali, oggi pudicamente definiti ospedali psichiatrici giudiziari. Infine per chi non ne avesse ancora abbastanza, c’è anche una sezione riservata ai giornali redatti da matti e detenuti e un accorato appello di una giovane Rom carcerata che rivuole indietro i suoi figli.
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