Welfare

Ratti e Bonino: «Così le tecnologie cambiano lo spazio urbano»

L’edizione aperta a fine dicembre esplora il tema delle "Interazioni urbane". La sezione “Eyes of the City" è curata dai due italiani con l’obiettivo di promuovere una discussione aperta a professionisti e studenti sull'impatto delle nuove tecnologie sulla città e sulle comunità. L’intervista

di Giuseppe Frangi

Capire come potrebbe cambiare il nostro approccio allo spazio urbano quando gli edifici cominceranno a rispondere alla nostra presenza. È questo l’obiettivo che si sono posti Carlo Ratti, docente presso il MIT di Boston, dove dirige il Senseable City Lab e co-fondatore dello studio di progettazione CRA – Carlo Ratti Associati (Torino/New York) e Michele Bonino docente di Progettazione Architettonica e Urbana al Politecnico di Torino, dove è Delegato del Rettore per le Relazioni con la Cin, quando hanno deciso di curare la Biennale di Urbanistica e Architettura di Shenzhen che ha aperto i battenti il 15 dicembre 2019 ed è intitolata “Eyes of the City”. Li abbiamo intervistati


“Eyes of the City”: un titolo certamente suggestivo ma che evoca anche risvolti che non possono non far riflettere: le città “possono” vedere. Che cosa possono vedere?
Carlo Ratti – Il titolo si ispira all’espressione “Eyes on the Street”, “occhi sulla strada”, di Jane Jacobs, antropologa e urbanista americana che nel 1961 osservava come la presenza delle persone nelle strade e nello spazio pubblico contribuisca a creare un equilibrio tra libertà e sicurezza. Oggi gli “occhi delle persone” si stanno tramutando in “occhi della città”: i luoghi stanno acquisendo la capacità di rispondere alla nostra presenza e leggere i nostri comportamenti. “Eyes of the City” vuole usare chiamare a raccolta progettisti, designer, ricercatori, eccetera per farci riflettere su questi temi — che spalancano scenari inediti, nel bene e nel male.


Una Biennale come quella di Shenzhen cade in un momento e in un luogo che oggi è esposto a grandi tensioni proprio rispetto alla libertà individuale dei cittadini. È un aspetto che la preoccupa?
Carlo Ratti e Michele Bonino – Ci preoccupa molto. Si tratta di un aspetto chiave — proprio per questo l’abbiamo messo al centro della Biennale di Shenzhen. Da San Francisco a Hong Kong si acuisce l’urgenza da parte dei cittadini di dibattere in modo trasparente i nuovi meccanismi di monitoraggio della vita urbana. Molte installazioni della Biennale analizzeranno il modo in cui le persone e le comunità eludono tecnologie invasive, come il riconoscimento facciale. Vogliamo insomma stimolare un dibattito critico che coinvolga tutti. In questo senso la Biennale — che già in anni normali ha un pubblico di un milione di persone, circa doppio rispetto a quello della Biennale di Venezia — quest’anno coinvolgerà un pubblico molto più vasto, anche per il fatto di essere ospitata all’interno della stazione alta velocità di Fuitian, dove transitano milioni di persone in viaggio tra Hong Kong, Shenzhen e il resto della Cina continentale.

“Eyes of the City” è frutto di una “open source curatorship”. Ci può spiegare come si è sviluppato questo processo certamente innovativo?
Michele Bonino –
“Eyes of the City” è il risultato di un lavoro di oltre 15 mesi. Una open call ha visto la partecipazione di oltre 280 candidati provenienti da Russia, Cina, Regno Unito, Svezia, Corea del Sud, India, Germania, Singapore, Italia, Colombia e Stati Uniti: sono progettisti ma anche centri di ricerca e studiosi. Il team curatoriale — primo team italiano a curare la Biennale di Shenzhen — coinvolge lo studio CRA — Carlo Ratti Associati e il Politecnico di Torino e South China University of Technology: è anche la prima volta che tra i curatori figurano università. Inoltre, diversi architetti, designer, filosofi, scienziati e scrittori hanno condiviso i loro pensieri sui temi dell’esposizione come “foundational contributors”. Un così alto grado di partecipazione ha reso possibile una riflessione condivisa sul futuro delle tecnologie nelle nostre città. Un focus di questa Biennale è l’interazione tra le tecnologie digitali e lo spazio architettonico. Il team curatoriale ha promosso una riflessione in questa direzione: le fasi di produzione dei materiali saranno digitally-based e collaborative, permettendo agli exibitors di realizzare i loro progetti in modo ottimale a Shenzhen, capitale della produzione industriale.

Il riconoscimento facciale sarà una pratica sempre più diffusa nel prossimo futuro: già alcuni aeroporti italiani la stanno introducendo. Quali sono i settori che più potranno giovarsene? Come potrebbe cambiare da questo punto di vista l’organizzazione sanitaria?
Carlo Ratti – L’uso del riconoscimento facciale negli aeroporti è una delle forme più discusse al momento perché non pone solo il quesito dell’effettiva semplificazione delle procedure di riconoscimento, ma previene anche comportamenti scorretti. Se da un lato è ormai comune associare il riconoscimento facciale alla sicurezza, è pur vero che si delineano nuovi usi — dalla sanità allo shopping (come con il negozio Amazon Go) ai servizi pubblici. Ancora una volta, sta a noi determinare un uso virtuoso o meno delle tecnologie e la Biennale invita i suoi visitatori a prendere posizione. Parafrasando lo storico americano Melvin Kranzberg, la tecnologia non è né il bene né il male, ma neppure neutrale.

Secondo voi la progressione tecnologica in settori come questi rischia di correre troppo veloce e di non permettere un necessario dibattito critico rispetto alle novità?
Michele Bonino –
Il progresso tecnologico è spesso da considerarsi come fattore esogeno. Ciò che possiamo fare è accelerare i tempi di risposta della società. Per questo dobbiamo impostare un approccio critico, che ci aiuti a capire come confrontarci con l’innovazione. La città è un ambito molto adatto per questa riflessione: grazie al suo pluralismo accoglie molto bene le innovazioni, ma allo stesso tempo si è sviluppata tradizionalmente per stratificazioni successive, accettando le novità gradualmente. Compito di questa Biennale è proprio quello di indagare i possibili usi delle nuove tecnologie nello spazio urbano – promuovendo consapevolezza.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.