Scuola

«Ratatouille, Ghali, il karaoke, l’Arcimboldo: così insegno l’italiano agli stranieri»

«Non seguo un libro, creo di volta in volta testi ad hoc, propongo video, uso riviste, immagini dei volantini e sfrutto la potenza delle flashcard e della didattica ludica». Così Veronica G., una laurea alla Scuola per Traduttori e Interpreti, la certificazione Ditals e una specialistica in Lingue Moderne, insegna italiano L2 alla primaria e alla secondaria di primo grado. Qui ci racconta strategie e difficoltà, mentre sogna di essere assunta dal Ministero, attraverso i posti assegnati per la cattedra A023

di Sabina Pignataro

«Se hai tanti bambini che parlano lingue diverse e non parlano l’italiano è un caos». Lo ha detto un paio di giorni fa Matteo Salvini. La proposta? Il tetto agli alunni stranieri in classe. Un’idea ripresa anche dal ministro Giuseppe Valditara.
Mentre il dibattito prosegue, Veronica G.,  43 anni, lombarda, ci racconta strategie e difficoltà dell’insegnamento dell’italiano agli stranieri. Lavora per una cooperativa, ma intanto auspica di essere assunta dal Ministero, attraverso i posti assegnati per la cattedra A023.

Ci racconta la sua formazione?

Ho frequentato il liceo linguistico e nel 2000, dopo la maturità, sono partita per un anno a Londra. Lavoravo in una caffetteria e seguivo un corso di inglese avanzato presso l’Hammersmith College. Al mio rientro in Italia, mi sono iscritta alla Scuola per Traduttori e Interpreti delle Civiche di Milano e dopo un Erasmus a Strasburgo e la laurea triennale in Mediazione Linguistica, mi sono trasferita a Roma per un Master in traduzione e adattamento delle opere audiovisive e multimediali. Così, dal 2010,  fornisco a diverse società servizi di sottotitolaggio di film, cortometraggi e serie tv destinati principalmente a un pubblico di non udenti.  Nel 2018, però, piuttosto alienata dalle giornate trascorse in cuffia a macinare centinaia di sottotitoli, ho conseguito la Ditals, ossia la certificazione per insegnare italiano L2. Durante la pandemia sono tornata follemente sui banchi per conseguire la magistrale on line in Lingue Moderne: è così che mi sono trovata a scuola, dietro a una cattedra.

A quanti bambini e ragazzi sta insegnando in questo anno scolastico?

Negli anni scorsi ho insegnato italiano L2 alla primaria e gestito dei laboratori in un liceo scientifico, ma quest’anno ho esclusivamente studenti delle medie, nella fattispecie una quindicina di ragazzi di varie nazionalità: un cinese, quattro ucraini, tre peruviane, un venezuelano, un egiziano, un colombiano e tre ragazze ecuadoriane. Li incontro per due ore a settimana, in gruppetti  di 7/8 generalmente.

Che livello hanno?

Alcuni sono NAI, ovvero neoarrivati in Italia e senza alcuna conoscenza pregressa della lingua. Altri sono nati qui, altri hanno cominciato la scuola in Italia ma hanno poi interrotto il percorso di studi perché rientrati al proprio Paese di origine per un lungo periodo.
Il gruppo è eterogeneo: accanto all’alunno timidissimo che non riesce ad aprire bocca, c’è quello più loquace che “si butta”, poi c’è chi ha un vocabolario ricco, ma poi nella produzione scritta arranca. Chi non ha le basi; chi mischia la propria lingua a qualche primissima parola di italiano e chi vede anche due milioni di volte la stessa costruzione ma non riesce ancora a immagazzinarla. Com’è giusto e sacrosanto che sia, in famiglia questi ragazzi parlano la propria lingua madre e spesso lamentano la fatica dello stare in classe senza capire un’acca di quel che i professori spiegano.

Molti di questi ragazzi in casa parlano la propria lingua madre e spesso lamentano la fatica dello stare in classe senza capire un’acca di quel che i professori spiegano

Saper parlare italiano non significa saperlo insegnare.  Ci spiega lei come fa?

Spesso si pensa che l’insegnante debba sapere la lingua del proprio discente per poterla insegnare o semplicemente per comunicare, ma non è così. A me capita raramente di usare l’inglese come lingua ponte, mi avvalgo invece di materiali autentici e accattivanti come riviste, immagini ritagliate da volantini e soprattutto all’inizio di un corso, sfrutto la potenza delle flashcard e della didattica ludica. Occorre rispettare il silenzio iniziale, fornire un ricco input e alimentare la motivazione, ripetere, analizzare e reimpiegare quanto appreso, osservare quelli che sbagliando chiamiamo errori e poi molto lentamente, si vedranno piccole o grandi conquiste, specialmente in un’utenza come quella di bambini che assorbono come spugne e di adolescenti bombardati da così tanti stimoli.

uno dei progetti realizzati da Veronica G. con i suoi alunni

Può farci alcuni esempi di strategie che lei ha adottato?

Quest’anno ho deciso di non adottare un manuale ma di creare di volta in volta testi ad hoc o di proporre dei video, soprattutto alla luce di un webinar davvero arricchente che ho svolto recentemente con un brillante formatore di Milano. Propongo dunque principalmente diverse attività di produzione orale o comprensione scritta nonché sfide lessicali, in cui per esempio dopo la visione di un brevissimo filmato, i ragazzi, divisi a squadre o a coppie, devono elencare parole appartenenti a una determinata categoria. Di recente, invece, per affrontare il lessico relativo alla casa ho didattizzato un articolo di Internazionale Kids che mostrava le camerette di bambini provenienti dai più svariati Paesi del mondo e dopo una comprensione orale e l’esplorazione dei termini più rilevanti, abbiamo ascoltato la canzone “Casa mia” di Ghali.

La conoscevano?

No, ma hanno lavorato con entusiasmo, cogliendo e analizzando il significato del testo e infine cantato su una base karaoke. L’attività ha permesso anche di ripassare i colori e le nazionalità e di lavorare da un punto di vista grammaticale sugli aggettivi possessivi. Con un gruppo di ragazzini dal livello ormai A2 pieno, invece, ho lavorato sul film “Ratatouille”. Ho mostrato loro spezzoni di una manciata di minuti senza audio e chiesto di immaginarne il contenuto o di scrivere come sarebbe continuata la scena. Creo quiz a risposta multipla legati alla comprensione dei dialoghi, chiedo di ricostruire un testo bucato, di descrivere i personaggi, eccetera. Facciamo spesso giochi di carte in cui si debba indovinare una parola, utilizzo piattaforme on line per creare cruciverba, dissemino post it e cartoncini e prediligo attività che favoriscano l’interazione orale e l’approccio comunicativo. Nelle primissime lezioni, adotto anche il metodo del Total Physical Response, do dei comandi dapprima semplici e via via più complessi, come aprire la porta o spegnere la luce, sedersi, battere le mani, eccetera finché non sia chiara tutta una serie di istruzioni.

Quali sono le difficoltà che riscontra?


La difficoltà maggiore è legata al fatto che talvolta i docenti titolari fatichino a fare uscire i ragazzi con me dalla classe perché temono che restino indietro nel programma. Purtroppo, capita non di rado che un alunno inserito nel laboratorio non partecipi perché deve completare la verifica in aula o che lo studente stesso chieda di approfittarne per ripassare un’altra materia perché ha paura di prendere un brutto voto all’interrogazione dell’ora successiva. Gli studenti stranieri spesso non godono di un percorso facilitato e si sottopongono alle stesse prove degli altri, si confrontano con Pascoli o Leopardi come i compagni. Sono ragazzini eccezionali che recitano a menadito e a meraviglia “L’infinito”, che si alzano alle 5 per ripassare e che ahimè si angosciano perché sanno che brancoleranno nel buio durante la prova di comprensione scritta in classe.
Ma le difficoltà sono anche di natura più “sistemica”.

Sono ragazzini eccezionali che recitano a menadito e a meraviglia “L’infinito”, che si alzano alle 5 per ripassare e che ahimè si angosciano perché sanno che brancoleranno nel buio durante la prova di comprensione scritta in classe

Cosa intende?

Un altro grande tema ritengo che sia l’insegnamento della seconda lingua per uno straniero. Purtroppo, e spesso, uno studente di non madrelingua italiana si ritrova a dover studiare da zero un’altra lingua oltre all’inglese e all’italiano, quando invece, forse, sarebbe solo meglio aumentare le ore della lingua in cui sono immersi quotidianamente e a mio modesto parere, nonostante io sia una fervente francesista, pazienza se non saprà il significato di “et voilà” e non saprà dire “merci”, ma sempre meglio che capisca che so, un “in bocca al lupo” detto da un amico o una frase detta da uno sconosciuto in cassa al supermercato.
Ancora più grave: per mancanza di fondi, nella maggior parte degli istituti vengono inclusi nei corsi di L2 solo gli studenti con un livello zero o A1. Per un non addetto ai lavori, questo significa accogliere chi dell’italiano sa poco o nulla oppure lo mastica appena, ma escludere chi per esempio sappia utilizzare correttamente i verbi al presente e abbia già un bel repertorio di parole ma ancora comunica male al passato o ha difficoltà a comprendere testi più complessi.

uno dei progetti realizzati da Veronica G. con i suoi alunni

Ci fa un esempio?

Penso a quel ragazzino di seconda media che a conclusione del laboratorio, a maggio, avrà anche imparato brillantemente le basi del passato prossimo, in terza dovrà essere esonerato dal percorso perché è sufficiente così, non c’è posto per tutti, o non ci sono i fondi per tutti o non c’è la lungimiranza di pensare a provvedere per tutti.

Lei è assunta dalla scuola?

No, io lavoro per una cooperativa che gestisce il progetto dell’insegnamento di italiano L2 in collaborazione con svariati comuni del territorio. La mia ambizione, e come immagino forse quella di molti docenti, è proprio quella di essere assunti dal Ministero, attraverso i posti assegnati per la cattedra A023 (la  classe di concorso relativa all’insegnamento della lingua italiana per discenti di lingua straniera) ma ve ne sono ben pochi e visti i chiari di luna, temo che si stia andando verso tutt’altra direzione, nonostante ormai la percentuale di stranieri nei vari istituti sia altissima.

Cosa succede in quelle scuole non chiamano la cooperativa?

Purtroppo, in questi casi, l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera viene affidato a un docente interno che non sempre ha le competenze o gli strumenti adatti. Come al solito, dipende dalla motivazione e dalla fortuna: ho visto docenti volenterosi e impegnati che decidono di formarsi e di rivolgersi a colleghi esperti di alfabetizzazione o che attingono a materiali pensati ad hoc per i primi approcci alla lingua, ma è chiaro e anche comprensibile che non sempre si riesca a stare al passo ed è allora inevitabile che gli alunni restino in classe senza capire nulla e che debbano fare il triplo della fatica.

Cosa non funziona in questo sistema?

Non ho la pluriennale esperienza che vantano altre mie colleghe, ma ritengo che il primo problema sia la mancanza di volontà di un vero e proprio processo di integrazione strutturato e che coinvolga sin da subito il personale docente. Sarò un’utopista ma auspicherei uno sportello interno alla scuola dedicato agli stranieri che preveda un’accoglienza a trecentosessantagradi, in collaborazione con un docente di L2 di ruolo, che somministri un test di livello e fornisca una mappatura corretta con i dati precisi relativi allo studente entrante, che aiuti e sostenga i ragazzi e la famiglia per esempio in un’eventuale iscrizione presso un nuovo istituto. Invece, spesso ti dicono che hai uno studente cinese e invece è coreano, che ha un livello zero eppure poi ti snocciola già i verbi in -are o sa accennare una presentazione di sé. Infine, il grosso tema è che nei laboratori i livelli di conoscenza della lingua sono molto disomogenei e si è costretti a escludere studenti magari di livello più alto, ma che comunque necessiterebbero di consolidamento.

Foto in apertura: Alexas foto by Unsplash

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