VITA30, le storie

Randa e sua mamma: «Ci scontriamo con affetto»

Il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore VITA festeggerà con una due giorni il suo trentennale. In vista di quell'appuntamento abbiamo chiesto ad alcune storiche firme della nostra testate di ricordare un incontro particolarmente significativo. Partiamo con quello dell'ex direttore Giuseppe Frangi e una delle protagoniste del progetto Yalla Italia sulle seconde generazioni

di Randa Ghazy

Randa Ghazy oggi è un’attivissima giornalista e scrittrice di successo, in prima linea sulla causa palestinese. È nata nel 1986 a Saronno da genitori egiziani. Tra 2007 e 2010 è stata tra le protagoniste di un originale progetto editoriale: “Yalla Italia”, un inserto mensile promosso e pubblicato all’interno di VITA (che allora era settimanale), scritto da ragazzi immigrati di seconda generazione. Nel numero per l’8 marzo del 2010, “Yalla Italia” era uscito con tutte firme femminili. E Randa per l’occasione aveva pubblicato questa bellissima intervista a sua madre Sanaa. Esempio di giornalismo vitale e vicino alla vita, che racconta in modo vero un confronto generazionale. Con tanta grinta e tanta simpatia. (Giuseppe Frangi)

Si dice che due istrici insieme siano in grado di far fronte all’attacco di una tigre. Mi piace quest’immagine: pensateci, il pezzo forte degli istrici sono i loro aculei, e con quelli sono in grado di difendersi da chiunque… i due si “abbracciano” in modo che spuntino solo gli aculei, e ingaggiano una danza beffarda. La tigre, prova che ti riprova, deve infine rendersi conto che saranno pure piccoli e rompiscatole, ma in effetti gli istrici sono inespugnabili. Da qualsiasi lato tu provi ad attaccarli.
lo e mia madre siamo un po’ come degli istrici. Indistruttibili rispetto agli attacchi esterni… ma dotate, appunto, di aculei. E con quelli possiamo anche farci male a vicenda, qualche volta. E che le tempistiche sono proprio diverse. Infinitamente diverse. E il gap generazionale, lo so. Ma qui c’è anche un bell’abisso culturale, e quello hai voglia a colmarlo.
Per darvi un’immagine, è come se la combattente Xenia, o una qualsiasi amazzone senza pietà, irrompesse in un salotto qualsiasi dicendo alla sciura Maria: «Forza, vieni con me: batteremo il mondo e creeremo una società comandata dalle donne!». Lei la guarderebbe perplessa, tornerebbe ad accendere il suo aspirapolvere e con l’altra mano girerebbe il rodo del minestrone sul fuoco, rispondendo: «Devo ancora fare il bucato e stirare, sarà per un’altra volta».
Mia madre non è una casalinga, ma è una che non capisce perché bisogna far tanto chiasso per la parità dei sessi. I generi sono semplicemente diversi.
E normale che abbiano ruoli diversi, così dice lei. Assodato che una donna goda del diritto di scegliere per se stessa e che i suoi diritti elementari non vengano calpestati, perché mai continuare a rompere i maroni con la storia del femminismo e della battaglia tra sessi?
Ora però la battaglia è tra noi due. I due istrici e i loro aculei, appunto.
Le ho chiesto una piccola intervista, lei ha ridacchiato sapendo già in partenza che inizieremo a discutere per un bel po’. Puntualmente, ognuna pensa sempre l’opposto di ciò che pensa l’altra. Anche questa volta, non ci smentiamo.

In questa news trovate la presentazione e il link dell’e due giorni dell’evento “E noi come vivremo” del 25 e 26 ottobre. La partecipazione è gratuita

Io: Ma’, perché non avete mai festeggiato la festa della donna, in Egitto?
Mamma: Non me lo sono mai chiesta. Si festeggia come celebrazione ufficiale ma la gente non fa nulla di particolare. Poi, comunque, abbiamo la festa della mamma che è importante.
Io: Prima di partire per l’Italia, avevi paura di cambiare o del nuovo mondo in cui ti stavi addentrando?
Mamma: Non avevo paura, avevo una visione già lucida del mondo occidentale. Il mio unico timore era la lingua. Per il resto provavo una grande curiosità.
Io: Quali sono le cose che ti sono piaciute di meno una volta arrivata?

Mamma: La mancanza di calore. La troppa libertà. Quando vedevo due ragazzi baciarsi tranquillamente per la strada non mi piaceva, ne ero imbarazzata. Urtava il mio senso di riservatezza.
Io: Cos’è che invece proprio non ti manca dell’Egitto, rispetto al ruolo delle don-ne?
Qui ride e mi chiede di passare alla domanda dopo. Ecco, dico. Perché non hai mai voglia di fare un po di sana polemica? È che lei non ci riesce proprio, ragazzi. Andare contro lo status quo è proprio contrario alla sua natura. Essere conservatori significa avere come una forza interiore che decide per te, e decide a favore delle regole. Sempre. Quando parlavo di abisso culturale, intendevo proprio questo.
Ride, ci pensa su. Esita. Infine balbetta qualcosa di sconnesso, provo ad aiutarla a pronunciare le fatidiche parole.
Mamma: Il fatto che nella società tutti si fanno sempre i fatti degli altri, che devi sempre render conto agli altri di ciò che fai. E poi il fatto che a volte in Egitto le donne vengono discriminate sul lavoro, o in altri ambiti.
Io: Devo dire che questa risposta mi soddisfa parzialmente. Avrei un mare di critiche da aggiungere, ma mi limito a chiederle «sei proprio sicura che non ci sia nient’altro?».
Lei annuisce, imbarazzata. Ok, ok. Riconosco che ha già detto abbastanza, per com’è fatta.
Io: Cosa temi che le tue figlie, come don-ne, perdano in quanto occidentalizzate?
Su questa va sicura come un treno. Non ne avevo dubbi, d’altronde.
Mamma: Il legame e l’affetto familiare. E poi… una cosa che ho notato è che avendo tanti diritti, qua la donna tende a perdere la protezione maschile perché si pone su uno stesso identico livello con gli uomini. Non dico che una donna debba essere inferioreo subordinata, ma in qualche modo deve sentire dentro di sé l’esigenza della protezione maschile. Quest’e-
mancipazione a tutti i costi la vedo come un male. Non dal punto di vista dell’indipendenza economica. Ma è come se l’uomo perdesse un po il suo orgoglio perché la donna lo vede come un rivale e non come colui che la protegge. Tu e tua sorella
siete già così.
Io: Scusa mamma, cosa intendi dire, che le donne devono dipendere dall’uomo?
Lo dico strabuzzando gli occhi, sperando che recuperi lucidità. Scuoto anche un po’ la testa in segno di diniego, come per suggerirle la risposta.

Mamma: Sì, la donna deve un po’ dipendere dall’uomo.
Bene, censuro l’accesa discussione seguita a questa controversa risposta. La mia obiezione è che lei parla di dipendenza affettiva della donna, ma se penso agli equilibri che reggono il suo rapporto con mio padre, è quasi più vero il contrario. Ha una tale forza nel-
l’imporsi e nel relazionarsi a suo marito che mi riesce impossibile considerare la sua risposta coerente. È come se l’amazzone di cui parlavo prima dicesse di essere più mansueta della sciura Maria. Chi le crederebbe?
Comunque, va detto che ad un certo punto mia madre aggiunge anche che, al contrario, crescendo in Occidente le sue figlie hanno anche potuto beneficiare di «certi diritti che in Egitto mancano e della realizzazione di sé». A questo punto passo alle domande meno serie, e lei si rilassa immediatamente.
Capisce che il conflitto madre-figlia, per il momento, è accantonato. Gli istrici possono tornare ad abbracciarsi.

Io: Qual è la tua canzone preferita?
Mamma: Egiziana, Kariet el finghel, di Abdel Halim Hafez. Parla di una donna che legge il fondo della tazzina del caffè ad un uomo. E gli dice che l’amore della sua vita è chiusa in un castello in cui lui non riuscirà mai ad arrivare.
Altro che dipendenza affettiva, appunto… ma ormai l’ascia di guerra è deposta, evito di fare commenti.
Io: Il tuo sex symbol per eccellenza?
Mamma: Roshdy Abaza. E Antonio Banderas.
Chiaramente arrossisce e lo dice ridacchiando come se stesse commettendo chissà quale . Va detto che Abaza è un fustone con tanto di baffetti che fu un grande protagonista del cinema egiziano in biancoe nero, quando ancora lo si poteva chiamare
“cinema”, mentre Antonio Banderas corrisponde effettivamente anche ai miei canoni estetici. Sono quasi sorpresa e commossa di trovarmi d’accordo con mia madre su qualche cosa. Glielo dico, e ne sembra stupita anche lei… Concludo con un’ultima domanda seria, lei cerca ancora di bypassarla ma io sono irremovibile. Se ho deciso di torchiarla, non mi fermo davanti a nulla. Come quando devo ottenere il permesso per fare qualcosa. Di solito uso la tattica dello sfinimento.

Io: Il matrimonio oggi comporta più sacrifici per una donna o per un uomo? E in Egitto?
Mamma: Credo per le donne, sia in Egitto che in Italia. Perché ormai ogni donna deve lavorare fuori e dentro casa. Ma almeno qua l’uomo collabora nei lavori do-mestici, mentre in Egitto molto di meno.
Questa risposta mi soddisfa abbastanza, ma gliel’ho tirata fuori un po’ a forza. La sua prima risposta, ovviamente, era stata
«mmm… non saprei… per tutti e due…».
Insomma, un mugugno diplomatico. «Pensaci mamma, ce la puoi fare», l’ho incalzata, un po beffarda. E a quel punto, stupendomi, è scoppiata a ridere e ha tirato fuori la sua mezza risposta. In fondo gli istrici, insieme, si divertono un mondo. Aculei a parte.

In apertura, Randa Ghazy con la mamma Sanaa (ph: Antonio Mola)

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.