Famiglia

Ramonda: «Ecco perché vogliamo Beato don Oreste Benzi»

Intervista al presidente dell'Associazione che domaniottobre presenta al vescovo di Rimini la richiesta di avvio del processo di beatificazione del fondatore scomparso cinque anni fa

di Daniele Biella

«Per noi don Oreste Benzi ha vissuto da Santo: è ora di chiederne la beatificazione». Paolo Ramonda, presidente dell'Associazione comunità Papa Giovanni XXIII, è pronto a incontrare il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, stretto conoscente di don Oreste (venuto a mancare, a 82 anni, lo scorso 2 novembre 2007), per avviare l'iter che potrà far diventare Beato il sacerdote fondatore della stessa comunità, che oggi conta 500 strutture di accoglienza diffuse in 32 paesi nei cinque continenti, e raccoglie 2.192 volontari in Italia più 500 all’estero. L'occasione è la chiusura del Convegno internazionale 'Don Oreste Benzi, testimone e rofeta per le sfide del nostro tempo', che si tiene venerdì 26 e sabato 27 settembre al 105 Stadium di Rimini.

Perché chiederete al vescovo la beatificazione di don Oreste Benzi?
Perchè secondo noi ha tutte le virtù necessarie per essere riconosciuto servo di Dio, come prevede la prassi della beatificazione. Don Oreste ha sempre vissuto in mezzo alla gente e per la gente, con particolare attenzione ai poveri e all'importanza di operare per la pace nel mondo, in ogni situazione che si trovava di fronte.

Come funziona e quali tempi ha l'iter della beatificazione?
Una volta che presenteremo la nostra richiesta al vescovo, lui dovrà decidere se accettarla o meno. Dopodiché, se l'esito è positivo, presumo nel giro di poco tempo la decisione per la beatificazione spetterà alla Santa Sede, che si pronuncerà entro qualche anno.

A cinque anni dalla morte, quanto è vivo il suo ricordo tra i membri della sua comunità?
Più passa il tempo più si radica il suo ricordo. La sua è stata una testimonianza profetica, molti fratelli di comunità mi dicono che è grazie al suo esempio che oggi superano le mille difficoltà del vivere quotidiano. Un fatto estremamente positivo è che arrivano ogni anno nuove chiamate di famiglie che vogliono entrare a far parte del nostro mondo. E che vogliono mettersi in gioco anche all'estero, in luoghi non facili: ad esempio, stiamo aprendo una presenza a Patrasso, in grecia, a fianco dei migranti dall'Africa che hanno molti problemi nell'inserirsi nella società greca.

Don Benzi è ricordato perché voleva recarsi nei luoghi in cui era estremamente difficile andare…
Esatto, lui voleva dare un segno di speranza in primo luogo nei posti di frontiera. C'è una notizia che di sicuro gli farebbe piacere: il 14 dicembre sarò a Baghdad, in Iraq, per la riapertura della cattedrale siro-cattolica dove pochi anni fa hanno perso la vita in un attentato 46 cristiani: in quell'occasione parlerò con il vescovo latino del luogo per l'eventualità di aprire laggiù una casa famiglia e una struttura per bambini orfani, dato che c'è già la disponibilità di membri della comunità ad andare a viverci. Ancora, ci è stata richiesta una disponibilità per andare anche in Nepal, stiamo valutando la possibiilità.

In Italia com'è la situazione delle vostre strutture, vista anche la crisi economica attuale?
Viviamo certamente la crisi, i tagli governativi ai fondi e ai contributi nei settori in cui operiamo ci stanno danneggiando, ma stiamo cercando di lavorare al massimo per uscirne senza grossi problemi, se necessario aumentando addirittura l'accoglienza che ci contraddistingue. La questione è che al di là degli aspetti economici, siamo di fronte a un periodo buio per la famiglia, la cellula fondamentale della società, oggi in preda a una crisi educativa e di valori. Senza famiglia, fondata sul matrimonio, prosperano i poveri perchè l'individualità porta con sé brutte conseguenze. Questo l'invito che faccio a tutti, politici in primis: ripartiamo dalla famiglia per ricostruire la nostra società, nel solco dell'operato di don Oreste, che sul valore della famiglia ha scritto libri e vi ha dedicato la sua esistenza.

 

 

 

 


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