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Raimon Panikkar, il sorriso dell’invisibile
Il filosofo catalano recentemente scomparso visto (e vissuto) da vicino
di Johnny Dotti
È stato un monaco. Ci ha ricordato che siamo tutti monaci, che non possiamo vivere senza cielo e senza terra. E che l’invisibile è un elemento costitutivo della realtà in cui viviamo.
Il suo pensiero, oggi, è uno strumento per capire in profondità i nostri tempi. E per non perdere la speranza
Scrivo di getto, forse in modo poco rispettoso verso chi, come Panikkar, lavorava anche venti anni su un testo. Talmente alta e profonda era la considerazione che dava alla “parola”, al suo potere di creare o di distruggere.
Ma la notizia della sua morte mi ha raggiunto in viaggio ed è in questa condizione esistenziale che mi trovo a ricordarlo. Sento che è urgente ed importante provare a dire qualcosa di lui, provare a dirlo soprattutto ai giovani. Mi appiglio allora ai riferimenti della tradizione, per trovare un punto stabile di partenza.
Non può questo ricordo essere disgiunto dalla preghiera e dal senso degli avvenimenti.
Raimon Panikkar è stato un monaco, un monaco della contemporaneità, una persona che ha transitato l’universale archetipo del monachesimo attraverso le sfide della secolarità e di un mondo che dal 1918 ad oggi ha conosciuto il più radicale e accelerato cambiamento nella storia dell’umanità.
Un monaco sorridente, di una profondità spirituale vertiginosa, di una intelligenza fulminante, di una tenerissima umanità. Un monaco innamorato di Cristo, l’alfa e l’omega. Un monaco che ci ha ricordato che tutti siamo monaci e che non dobbiamo tradire questa vocazione profonda in ogni uomo. Uomo congiunzione tra cielo e terra, che non può vivere senza cielo (simbolo di Dio) e senza terra (simbolo del cosmo). Una visione trinitaria viva e che costituisce la struttura profonda del suo pensiero, ma soprattutto della sua vita.
Fu per me commovente incontrare Panikkar, l’uomo che aveva vissuto a lungo con lui e con cui aveva condiviso profonde esperienze di dialogo e di preghiera. «Rispetta la gioia del cammino dell’altro» questa è la breve frase che si trovava all’ingresso dell’ashram indiano e che si trova ancora all’ingresso della comunità di famiglie in cui vivo.
È stato un passaggio importante della mia vita, malgrado quell’esperienza non si sia ripetuta e lo abbia poi reincontrato per brevi momenti, Panikkar mi ha sempre fatto compagnia. Realmente. Non ci sono solo gli occhi dei sensi, ci sono anche quelli dell’intelletto e dello spirito.
Ci ha lasciato in eredità un importante vocabolario per il futuro. Un vocabolario che si radica nelle profonde tradizioni dell’umanità, ma che non rinuncia al “farsi nuovo di tutte le cose”: cosmoteandrico, dialogo dialogale, interindipendenza, intraculturale, metapolitico, tempiterno, e poi ancora la salvezza intesa come realizzazione, la persona come nodo di relazioni, la conoscenza come il nascere con le cose, la vita come bios e zoe, il tempo come cronos e kairos, la realtà come intreccio inscindibile di visibile e di invisibile. Parole e modi di dire che si sono incrociati ed arricchiti in molte lingue dell’oriente e dell’occidente, della storia passata e della modernità. Panikkar pensava, parlava e scriveva in una ventina di lingue.
Il pensiero e la vita di Panikkar sono una speranza per l’oggi e per il futuro perché affondano le loro radici nel vero che desidera l’unità senza negare la pluralità; in fondo questo è il mito dell’armonia di cui Panikkar è stato un cantore creativo e a cui ha dedicato l’intera vita. In particolare ai giovani e a chi non ha mai letto nulla di Panikkar, consiglio, per avvicinarsi alla sua persona e al suo pensiero, il libro L’esperienza di Dio reperibile nelle edizioni Queriniana.
Molti giornali hanno dato spazio a questa morte, dando notizie sulla sua vita e sul suo pensiero. Non aggiungo quindi niente altro. Dedico queste mie parole a Raimon con la speranza che continui a pregare per noi.
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