Donne che fanno la differenza
Raffaella Pannuti, una leadership fondata sui valori
La presidente di Fondazione Ant ha raccolto il testimone di suo padre, il fondatore. Un passaggio generazionale niente affatto scontato, anche nel Terzo settore, ma di successo. Non ama parlare di leadership femminile: «Ogni leader deve avere un faro, i principi etici»

Raffaella Pannuti è presidente della Fondazione Ant. Per suo padre, Franco Pannuti, fondatore della non profit, lei era la «garante dei valori» dell’ente. Ma col tempo ha saputo dimostrare – a lui e a tutti – di essere qualcosa di più: una guida coraggiosa, “una capitana” che non ha abbandonato la nave nemmeno nei momenti più difficili.
Le va di ripercorrere insieme il suo percorso personale e professionale?
Devo cominciare da due assunti. Il primo è che sono nata nella parte fortunata del mondo: a 18 anni ritenevo che non esistesse un problema femminile, mi illudevo che uomo e donna fossero uguali e che avessero le stesse opportunità. Il secondo è il modo in cui sono arrivata a occuparmi di sociale. L’ho fatto per tradizione di famiglia; mio padre ha fondato l’Ant nel 1978. Io mi sono laureata in chimica industriale, ho lavorato fuori per circa un anno e mezzo, ma sentivo fortemente l’attrazione per l’esempio che avevo avuto in casa. Mio papà una mattina mi ha detto: «Se vuoi c’è un posto, vieni». Però mi ha fatto capire che, oltre al fatto di chiamarmi “Pannuti”, non avrei avuto scorciatoie. Così mi sono guadagnata pian piano la mia posizione, partendo dall’ufficio stampa. Credo che il fatto di essere ancora qui dopo 27 anni – mio padre è morto nel 2018 e, per fortuna, l’Ant sta andando avanti con forza e determinazione – dimostri che ho dei meriti e delle capacità che vanno al di là del nome che porto e della tradizione che ho seguito.

Ci sono alcuni momenti salenti che le piace ricordare della sua storia e della sua carriera?
Il primo è sicuramente quando mio padre mi ha detto che si era liberato un posto e io ho risposto «Se tu mi vuoi, io ci sono». È stato un momento in cui entrambi abbiamo capito che potevamo investire su un futuro comune; lui ha detto – e anche lasciato in una testimonianza – che io sono sempre stata garante di quei valori che voleva portare avanti. Ci siamo ritrovati su un piano etico. Poi stava a me dimostrare di essere in grado di portare avanti anche Ant insieme a quei valori. Un altro momento è quello in cui sono diventata presidente nel 2011, mentre mio padre, il fondatore, è rimasto in vita ancora per sette anni. Questo ha permesso un passaggio generazionale che non è sempre così scontato sia nelle aziende che nel Terzo settore. Soprattutto nel nostro campo, il fondatore è di per sé molto carismatico, perché deve attrarre per forza consensi e fiducia, quindi la transizione non era così scontata. Nel 2018, alla morte di mio padre, nessuno dei 170 delegati, i rappresentanti territoriali di Ant, ha lasciato. Credo che questo sia un segno importante della fiducia in una leadership che poteva rappresentarli. Poi c’è un ultimo momento che vorrei ricordare.
Il fondatore, soprattutto nel Terzo settore, deve essere di per sé molto carismatico: il fatto che alla morte di mio padre nessun delegato abbia lasciato è stato il segno che tutti hanno riconosciuto in me una leadership che poteva rappresentarli
Raffaella Pannuti, presidente Ant
Quale?
Durante la pandemia ho avuto ben chiara l’idea che un capitano non può abbandonare la nave. Quando non si potevano più raccogliere fondi e i medici e gli infermieri avevano una grandissima difficoltà a fare assistenza, il mio pensiero è stato: «Se Ant affonda io affondo con lei, altrimenti andiamo avanti tutti insieme». C’è stata l’idea di un senso di forza e di unità che deve partire da una leadership che deve dimostrare di essere vicina al territorio. Per esempio, ho distribuito personalmente le uova di Pasqua, che costituiscono il cuore di una raccolta fondi che per noi è molto importante. Sono andata a portarli con la mia macchina, perché non si potevano fare i banchetti. Bisognava dare l’esempio, sperando che gli altri potessero seguirlo.

Pensa che ci siano delle caratteristiche peculiari della leadership femminile?
È una domanda complicata. Se, come dicevo, quando avevo 18 anni pensavo che non ci fossero problemi di disuguaglianze per il genere, adesso vado oltre. Bisogna affermare fortemente che la donna sia uguale all’uomo, perché questo non è ancora riconosciuto anche nella nostra parte di mondo. E bisogna farlo giorno dopo giorno. Detto questo, ritengo che uomo e donna abbiano caratteristiche diverse, ma non penso che una leadership femminile sia avvantaggiata rispetto a una leadership maschile. Ci sono dei principi etici che devono essere il faro di qualsiasi leader, che dovrebbe avere coscienza di essere tale e sapere l’influenza che può avere ogni sua scelta. Nel momento in cui si è a capo di enti del Terzo settore – come di aziende – si abbia un grande onore, ma soprattutto un grande dovere nei confronti della società: portare un esempio chiaro di valori etici ben definiti.
Credo che uomo e donna abbiano caratteristiche diverse, ma non penso che una leadership femminile sia avvantaggiata rispetto a una maschile. Il faro di qualsiasi leader deve essere l’etica
Quindi, secondo lei, anche il Terzo settore e il sociale deve fare ancora molta strada sul tema della parità di genere?
Assolutamente. Nel Terzo settore non c’è niente di migliore o peggiore rispetto a quello che si trova in azienda. Quello che posso dire è che all’interno della Fondazione Ant, che mi onoro di rappresentare, c’è un’attenzione decisa su questo tema: abbiamo la certificazione della parità di genere, ci sono molte più donne che uomini, la stessa presidente è donna. Anche la questione molto calda della retribuzione è tenuta in considerazione e rispettata: si tratta di una tematica che anche nel Terzo settore va tenuta bene in evidenza.

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