Medio Oriente
Rafah, bruciati vivi. Strage per errore?
«Le immagini dei corpi carbonizzati a Gaza sono una cicatrice sul volto dell'umanità e della comunità globale», dice l'organizzazione ActionAid. I cooperanti italiani di Medici Senza Frontiere, che hanno lavorato nell’inferno di Gaza o supportato le azioni di Msf dalla Cisgiordania o dall’Egitto, scrivono alla presidente Meloni: «I bombardamenti israeliani hanno colpito la popolazione oltre ogni misura». L'ong ha chiesto la disponibilità del Governo italiano a un incontro, più volte sollecitato, per discutere sui contenuti proposti nella lettera
di Anna Spena
Un corpo carbonizzato senza gamba, senza testa. Era di un bambino. Lo mostra al mondo il padre, insieme al suo dolore. Quel bambino è una delle 45 vittime, sono oltre 200 i feriti, dell’attacco lanciato dall’esercito israeliano sul campo di sfollati di Tal As Sultan, a nord ovest di Rafah.
Il nylon delle tende bombardate si è fuso con corpi di chi, in quelle tende, cercava riparo. L’area era stata definita “sicura”. Ma nella Striscia di Gaza nessun posto lo è. L’esercito israeliano ha confermato l’attacco e ha dichiarato di aver colpito un’unità di Hamas e di aver ucciso due militanti. Il premier israeliano Netanyahu ha parlato di “un tragico incidente”. Dall’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza sono state uccise più di 36mila persone.
«Le immagini dei corpi carbonizzati che abbiamo ricevuto dai nostri partner locali a Gaza sono una cicatrice sul volto dell’umanità e della comunità globale, che finora non è riuscita a proteggere la popolazione», scrive l’organizzazione umanitaria ActionAid. «Un collega di ActionAid è sfuggito per poco a questa atrocità, aveva lasciato il rifugio solo un giorno prima dell’attacco. Un nostro giovane attivista ha raccontato quei momenti di terrore: “In pochi secondi, hanno bombardato una zona di tende a Rafah con più di otto missili. Non ci sono pietre o tetti; solo metallo e teli di nylon! Centinaia di persone pensavano di dormire al sicuro e di sfuggire alla morte. Ora, invece, decine di persone stanno morendo e decine o centinaia di persone sono ferite. Nessuno conosce ancora il numero esatto…”.
Da quando l’esercito israeliano ha intensificato gli attacchi a Rafah, la quantità di aiuti umanitari che entra è diminuita in modo significativo, spingendo la popolazione verso la carestia. «Come sempre nelle situazioni di emergenza, sono le più colpite», aggiunge ActionAid. «È sempre più difficile è l’accesso ai beni di prima necessità, tra cui prodotti per il ciclo mestruale e per la detersione. I prodotti per le mestruazioni sono quasi scomparsi dai mercati di Gaza e quando sono disponibili, i prezzi sono alle stelle, costringendo molte donne e ragazze a usare pezze sporche o scarti delle tende, il cui utilizzo mette a rischio la loro salute. Trovare privacy è quasi impossibile, con centinaia di persone costrette a condividere un solo bagno o una sola doccia».
«L’incursione a Rafah», ricorda Martin Griffiths sottosegretario generale per gli Affari Umanitari e Coordinatore degli Aiuti d’emergenza, «ha provocato lo sfollamento di oltre 800mila persone. Che sono fuggite ancora una volta temendo per la propria vita e sono arrivate in aree prive di ripari adeguati, latrine e acqua potabile. Ha interrotto il flusso di aiuti verso il sud di Gaza e ha paralizzato un’operazione umanitaria già al limite della sopportazione. Ha interrotto le distribuzioni di cibo nel sud e ha rallentato la fornitura di carburante necessarie per far funzionare ospedali e pozzi d’acqua. Sebbene Israele abbia respinto gli appelli della comunità internazionale a risparmiare Rafah, il clamore globale per un arresto immediato di questa offensiva è diventato troppo forte per essere ignorato. In un momento in cui la popolazione di Gaza sta rischiando la carestia, in cui gli ospedali vengono attaccati e invasi, in cui le organizzazioni umanitarie vengono bloccate per raggiungere le persone bisognose, in cui i civili vengono bombardati da nord a sud, è più che mai fondamentale ascoltare gli appelli lanciati negli ultimi sette mesi: rilasciare gli ostaggi. Concordare un cessate il fuoco. Porre fine a questo incubo».
«Siamo inorriditi, quello che è successo dimostra ancora una volta che nessun luogo è sicuro a Gaza. Continuiamo a chiedere un cessate il fuoco immediato e duraturo», dice Medici Senza Frontiere.
L’organizzazione ha scritto una lettera alla presidente Meloni firmata da 18 operatrici e operatori umanitari italiani, medici, infermieri, psicologi, logisti, che dal brutale attacco di Hamas del 7 ottobre hanno lavorato nell’inferno di Gaza o supportato le azioni di Msf dalla Cisgiordania o dall’Egitto.
«I bombardamenti israeliani hanno colpito la popolazione oltre ogni misura. A Gaza manca tutto, l’acqua, il cibo, lo spazio, le cure. Il sistema sanitario è al collasso e la sproporzione tra i bisogni umani e la capacità di intervenire è immane. Si vive sotto attacco, nel totale annichilimento di ogni regola di condotta delle ostilità, mentre gli ostaggi sono ancora dolorosamente lontani dai loro cari», scrivono gli operatori e le operatrici di Msf nella lettera al governo.
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Msf chiede al Governo italiano di farsi promotore di un’iniziativa umanitaria concreta e ambiziosa, richiamando i leader europei e del G7 intorno a 5 obiettivi:
1. Ottenere un immediato e prolungato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.
2. Garantire la protezione dei civili, interrompendo ogni forma di sostegno, incluso l’invio di armi, alle operazioni militari e all’assedio di Gaza e pretendendo il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario.
3. Assicurare l’assistenza umanitaria alla popolazione, garantendo supporto e accesso sicuro e incondizionato agli aiuti necessari, incluse le forniture mediche e alimentari per affrontare il rischio di carestia.
4. Porre fine agli attacchi contro ospedali e strutture sanitarie, che colpiscono i pazienti e il personale medico e mettono a rischio l’intera popolazione.
5. Agevolare le evacuazioni mediche di feriti e pazienti che richiedono cure complesse non disponibili a Gaza, senza pregiudicare il loro diritto al ritorno.
«Presidente Meloni, confidiamo nella sua leadership su ciascuno di questi 5 obiettivi, perché ogni risultato concreto si tradurrà in vite salvate e sofferenza risparmiata», è l’appello di Msf che chiede nuovamente la disponibilità del Governo italiano a un incontro, più volte sollecitato, per discutere sui contenuti proposti nella lettera.
Firmatari della lettera: Gaia Giletta (infermiera), Martina Marchiò (coordinatrice medica), Davide Musardo (psicologo), Martina Paesani (infermiera), Giovanni Perna (logista), Alessandro Piro (logista), dott. Roberto Scaini (medico), dott. Giuseppe Soriani (chirurgo), Enrico Vallaperta (coordinatore medico), Tommaso Fabbri (capomissione), Ahmad Al Rousan (duty of care), Maurizio Debanne (comunicazione), dott.ssa Simona Fusco (medico), Candida Lobes (comunicazione), Virginia Moneti (coordinatrice medica), Simona Onidi (coordinatrice), Marco Scardovi (risorse umane), Bruno Sclavo (logista).
Credit foto: AP/Jehad Alshrafi/Associated Press/LaPresse
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