Politica

Radiografia di un voto

Oggi Israele sceglie il successore di Olmert. Il demografo Sergio Della Pergola analizza questo passaggio decisivo

di Redazione

Una campagna elettorale “scarsa e fiacca, focalizzata sulle immagini più che sui contenuti”: il giudizio – alla vigilia del voto con cui oggi 4,8 milioni di elettori sono chiamati a scegliere il successore di Ehud Olmert – è di Sergio Della Pergola, professore di Demografia all’Università ebraica di Gerusalemme, che traccia un quadro del panorama demografico ed elettorale israeliano, che si contraddistingue per varietà e complessità. Dal punto di vista dell’elettorato, la popolazione ebraica rappresenta circa l’85% delle persone che voteranno contro il 15% degli arabi, ma se si prendono in considerazione le percentuali di popolazione i numeri cambiano. Della Pergola ricorda all’agenzia Adn Kronos come la minoranza araba costituisca «circa il 21%» della popolazione di Israele, ma da questa cifra va sottratta ai fini del voto una quota pari a «circa quattro punti percentuali, che rappresenta chi ha rifiutato la cittadinanza israeliana che gli era stata offerta» e che in qualità di semplice residente non ha diritto di voto alle elezioni politiche. Inoltre vanno anche sottratti i giovani arabo-israeliani al di sotto dei 18 anni, e quindi ancora senza diritto di voto. Molto si deciderà in base al tasso di affluenza alle urne, calato negli ultimi anni. «Dagli anni Cinquanta fino alla fine degli anni Novanta – ricorda l’esperto – si è registrata un’affluenza intorno all’80%, nel 2003 si era al 69% e nel 2006 si è scesi al 63,5%». Per quanto riguarda l’elettorato arabo, spiega Della Pergola, è tutto da chiarire perché «nel 2003 gli arabi votarono di più rispetto al passato, ma non lo fecero nel 2006» e comunque negli anni il voto arabo non è mai stato compatto. Nell’elettorato ebraico, invece, si nota una «leggera prevalenza europea» sulla componente con origini asiatiche e nordafricane. «Sono gli immigrati dall’ex Unione Sovietica che hanno riportato in testa gli europei», spiega Della Pergola, sottolineando tuttavia come Israele non sia «un Paese diviso secondo linee etniche, perché è forte il fenomeno di integrazione».

A testimonianza del fatto che in Israele non si vota in base all’appartenenza etnica, l’esperto cita la presenza sulla scena politica di tre diversi partiti arabi (Balad, Hadash e Lista araba unita-Ta’al), «espressione di diverse correnti di pensiero” e in “forte competizione tra loro». Dalla comunità di immigrati russi, invece, è nato Israel Beitenu, formazione guidata da Avigdor Lieberman, emersa «negli anni Novanta come lega di immigranti dall’ex Unione Sovietica con pochi seggi e cresciuta fino a diventare un partito più diversificato», osserva Della Pergola, che sottolinea come oggi i «candidati russi sono solo la metà» di quelli proposti dal partito.

Proprio Israel Beitenu, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe rivelarsi il vero vincitore di queste elezioni, con la prospettiva di conquistare 18 dei 120 seggi della Knesset, in forte crescita rispetto agli 11 attuali. Della Pergola ricorda come tra la comunità di origini russe «è ancora reale la tendenza verso il Likud e Israel Beitenu», anche se proprio per il fenomeno di integrazione ormai «c’è una presenza russa in tutti i partiti». Quella di immigrati dell’ex Urss è una comunità che pesa, spiega l’esperto, «circa un quarto della popolazione ebraica, con un voto più spostato a destra che a sinistra, per ragioni palesemente comprensibili in reazione al marxismo-leninismo». All’interno della comunità araba, poi si distingue un 80% di musulmani e il restante 20% quasi equamente diviso tra cristiani e drusi. Questi ultimi, sottolinea Della Pergola, «però, sono meglio integrati nella società israeliana e per questo probabilmente saranno piu’ rappresentati dei cristiani nel prossimo Parlamento». «I candidati drusi sono presenti nei partiti della destra e della sinistra e quindi – prosegue – è probabile che abbiano in Parlamento una rappresentanza doppia o tripla” rispetto al loro peso demografico. La “debolezza” elettorale dei cristiani, aggiunge Della Pergola, è legata al fatto di “non essere un fronte unito” e di non riconoscersi in “una sola forza».

E quest’anno, tra l’altro, la campagna elettorale, commenta Della Pergola, è stata «scarsa e fiacca», quasi «esclusivamente focalizzata sulle personalità dei leader». «Una campagna elettorale di public relations più che di contenuti – afferma – dove le immagini contano moltissimo e dove il voto diventa un’espressione di simpatia, un po’ all’americana». Una condizione che, secondo il docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, è stata determinata anche dall’operazione militare ‘Piombo fuso’ lanciata lo scorso 27 dicembre da Israele contro la Striscia di Gaza, controllata dal movimento di resistenza islamico Hamas, e conclusasi dopo 23 giorni di sanguinosi raid. «La crisi di Gaza – osserva Della Pergola – ha neutralizzato la campagna elettorale e ora si tratta di vedere che tipo di impressione abbia fatto l’operazione sulla gente. Certo è che il voto si è spostato a destra, ma non è chiaro di quanto».

Gli ultimi sondaggi parlano di un distacco compreso tra uno e tre seggi tra il Likud di Benjamin Netanyahu, la cui vittoria sembra molto probabile, e Kadima della Livni e quindi il voto sarà la cartina tornasole per verificare quale sia stato l’impatto sulla popolazione della campagna militare decisa dal governo di centro-sinistra. A decidere le sorti dei partiti minori, come sempre, sarà la soglia di sbarramento al due per cento che, in un «sistema molto frammentato» come quello israeliano, farà sì che «circa 12 formazioni riescano a superare il limite», conclude Della Pergola, ricordando che sono 34 in tutto i partiti che partecipano al voto.

in foto: un manifesto elettorale di Ehud Barak, il politico che ha guidato Israele nella recente guerra a Gaza

 


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