Mondo
«Rachel Corrie morta per colpa sua? Un’assurdità»
Nandino Capovilla, coordinatore di Pax Christi e da anni testimone in prima linea del conflitto israelo-palestinese, entra nel cuore della sentenza con cui Israele ha assolto l'autista del bulldozer che nel 2003 ha travolto la giovane volontaria statunitense
“Rachel Corrie è morta per colpa sua”. Non dell’autista del bulldozer che il 16 marzo 2003 l’ha schiacciata, nonostante avesse le mani alzate e la pettorina arancione fosforescente, proprio per segnalare la sua resistenza nonviolenza all’abbattimento di una casa palestinese nella Striscia di Gaza. La sentenza della Corte israeliana di Haifa, giunta al termine di un processo durato ben sette anni nel quale i genitori della 23enne statunitense (che hanno avviato una Fondazione in sua memoria) chiedevano un risarcimento allo Stato ebraico, ha fatto il giro del mondo provocando reazioni forti. Spesso di sdegno, non per a decisione quanto per le motivazioni. “Non doveva essere lì”, ha sancito il giudice del tribunale assolvendo il guidatore del mezzo, aggiungendo testuali parole: “lo Stato d’Israele non è responsabile dei danni poiché il Bulldozer Caterpillar che schiacciò Rachel era impegnato in un combattimento”. Combattimento, ovvero la demolizione di case. Vita.it ha raggiunto a caldo della sentenza don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale di Pax Christi ed esperto di Israele e Territori palestinesi, dove ogni anno accompagna gruppi di persone in un viaggio di turismo responsabile e religioso chiamato Pellegrinaggio di giustizia.
Capovilla, la giovane Rachel è responsabile della sua tragica fine?
E’ un’assurdità, ed è estremamente doloroso sentire le parole con le quali la corte israeliana ha chiuso il caso. Si tratta di una vicenda umana molto toccante, che in questo modo non trova giustizia. Ma, paradossalmente, questa decisione si situa in una strategia ben definita che va avanti da troppi anni: pochi giorni fa ero nei Territori e davanti a me vedevo bulldozer che buttavano giù case senza curarsi di chi fosse lì attorno, perché l’importante è lavorare più velocemente possibile per colonizzare la Palestina prima che qualsiasi accordo venga firmato, sempre che ciò possa accadere in futuro. Questo sta accadendo ovunque, in primis a Gerusalemme, che sta subendo trasformazioni pesanti sotto il silenzio di politici e media internazionali: tra poco la città non sarà più riconoscibile, sfido chiunque ci sia stato a tornarci, per vedere quello che sta accadendo.
È una dura denuncia la sua. Possibile che ciò accada e che i volontari internazionali che mediano tra le parti in conflitto non vengano tutelati?
Le racconto questa vicenda che ho visto non molto tempo fa, nella raccolta annuale di olive che organizzo con giovani italiani e non: un ragazzo di Padova venne colpito al volto, per fortuna di striscio, da un proiettile sparato da un colono israeliano. Ebbene, in seguito ci recammo alla Farnesina (Ministero degli esteri italiano, ndr) per chiedere giustizia, ci dissero senza troppi giri di parole che era meglio non denunciare l’accaduto. Incredibile? In realtà non si vuole turbare in nessun modo Israele e la sua azione nei Territori.
Come uscire dalla situazione attuale?
Continuando a testimoniare la verità e ciò che si vede, smascherando le falsità, da qualunque parte arrivino. Bisogna pretendere giustizia, come fanno i genitori di Rachel, che ora ricorreranno alla Corte suprema israeliana, e come fa la famiglia di Vittorio Arrigoni, il 33enne italiano ucciso un anno fa a Gaza dopo essere stato sequestrato da estremisti islamici, il cui processo per stabilire le cause procede molto a rilento.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.