Non profit
Racconto le mie storie per sconfiggere l’oblio
Chimamanda Ngozi Adichie: quando la scrittura è coraggio
«Della guerra civile in Nigeria nessuno parla, nemmeno
a scuola. Scrivendone, ho dato un senso alla mia vita.
E provato a restituire una memoria collettiva» «Mio nonno è nato nel 1914, lo stesso anno in cui gli inglesi tracciarono i confini della Nigeria. Era povero, non era andato a scuola, ma capiva l’importanza dell’istruzione e fece di tutto per far studiare suo figlio, mio padre, negli Stati Uniti. Quando tornò in Africa, mio padre aveva perso tutto: la sua casa era stata distrutta e i libri bruciati. Soprattutto, mio nonno era morto. Spesso provo a immaginare come sia stata la sua morte?». Sono le parole della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, al momento del ritiro del premio internazionale Nonino, a Ronchi di Percoto, Udine. Con il suo romanzo Metà di un sole giallo, la Adichie ha il merito di ricordare al mondo gli orrori della guerra civile nigeriana del Biafra, combattuta tra il 1967 e il 1970, prima che lei nascesse, nel 1977. La metà di un sole giallo era disegnata sulla bandiera dello Stato secessionista del Biafra, che oggi non c’è più. «Volevo dare un senso alla mia vita e contribuire alla creazione di una memoria collettiva nel mio Paese», dice. A scuola, in Nigeria, tuttora non si parla di quella guerra, si è scelto il silenzio. Qualcuno si è anche arrabbiato per il libro della Adichie, cresciuta con l’amarezza di non aver potuto conoscere i suoi nonni. Ma in molti l’hanno ringraziata, perché quel passato rimosso segna ancora le vite delle persone. Scrive nella nota alla fine del libro: «Mio padre, uomo saggio e meraviglioso, concludeva le sue innumerevoli storie con l’espressione “agha ajoka” che significa “la guerra è una gran brutta cosa”».
Cresce nella città universitaria di Nsukka. Legge e scrive sin da piccola. «I primi libri che ho letto erano di autori inglesi, con personaggi bianchi. Anche le prime storie che scrivevo erano storie di bianchi, perché credevo che quello fosse il solo modo di fare letteratura», racconta. «Poi, a otto anni ho letto Achebe, Things fall apart, e questo ha cambiato totalmente la mia idea di letteratura. Nelle sue pagine riconoscevo un mondo e personaggi famigliari. Quel libro mi ha dato il permesso di raccontare le mie storie».
Dieci anni fa la Adichie è andata negli Stati Uniti perché non voleva continuare gli studi in medicina: «Alle superiori andavo bene e così la mia strada era segnata, dovevo iscrivermi a una facoltà scientifica. Ma dopo un anno e mezzo mi sono accorta che sarei stata un medico infelice e ho deciso di scappare». Il primo impatto con gli Stati Uniti, però, non è stato facile: «Avevo trovato casa tramite un’amica, prima di partire. Quando mi hanno visto, i miei coinquilini sembravano scioccati, persino infastiditi. Una era stupita che indossassi dei jeans e parlassi inglese così bene, pur arrivando dall’Africa. Ero sorpresa che sapessero così poco del mio mondo, mentre io sapevo tanto del loro». Si laurea col massimo dei voti in Scienze politiche. Il suo primo romanzo, L’Ibisco viola, vince il Commonwealth Writers’ Prize per la miglior opera prima nel 2005. «Nella storia, gli stereotipi hanno alimentato il razzismo, giustificando la tratta degli schiavi e il colonialismo. Io credo che la letteratura sia il modo migliore per combattere gli stereotipi, perché mostra che siamo tutti donne e uomini, che amiamo e odiamo, da una parte e dall’altra», afferma. Curiosamente, leggendo Balzac, Chimamanda si stupiva nello scoprire quanto simili alle signore benestanti di Lagos fossero le donne dell’alta borghesia parigina dell’Ottocento.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.