Raccontare
v. tr. [der. di contare, col pref. ra-] (io raccónto, ecc.).
1. Riferire fatti o parole, spec. a voce: gli piace r. a tutti i fatti suoi; va raccontando i discorsi che sente in casa. Più generalmente equivale a narrare, ma ha tono più fam. e meno solenne; è usato quindi, di preferenza, quando si tratta di fatti privati e quando il discorso è fatto senza particolare cura o arte: mi raccontò un’avventura di viaggio; r. le proprie disgrazie agli amici; r. un sogno; r. frottole; cose che non si possono r.; r. succintamente, diffusamente, bene, male, ordinatamente, confusamente, per filo e per segno; mi ha raccontato di avere vissuto a lungo in Francia; ai genitori raccontò che era stato maltrattato; talora anche usato per narrazioni di carattere letterario, sempre tuttavia fatte con tono familiare: r. una novella, una favola; r. la trama di un romanzo, di una commedia, di un film. Con compl. indeterminato: poterla r., averla scampata bella; con intonazione iron., la sa r., di chi spaccia frottole o mentisce con faccia tosta; ne raccontano di tutti i colori; a me la vieni a r.?; a raccontarla nessuno ci crederebbe.
2. ant. Menzionare o esporre ordinatamente, passare in rassegna: acciò che io non vada ogni particular cosa delle sue virtù raccontando (Boccaccio). ◆ Part. pass. raccontato e, nell’uso tosc. e letter. ant., anche raccónto, spec. in poesia: E dice queste e molte altre parole, Che non mi par bisogno esser racconte (Ariosto).
Questo è il significato assegnato in modo univoco dal nostro dizionario di lingua italiana ad un’azione per me “gigantescamente” complessa…
Sino a quando si tratta di raccontare una favola, un avvenimento della quotidianità, un aneddoto, una scena comica, un episodio curioso, riassumere le nostre giornate, resta un’azione relativamente semplice, la base della nostra quotidianità: parlare e raccontare con e a chi ci circonda.
Diventa invece un’azione intricata quando di mezzo ci sono invischiati sentimenti, emozioni, ricordi, paure, tristezze, dolori: è difficile raccontare la propria storia, quella vera, con i dettagli di sofferenza da noi provati.
Per noi ragazzi vissuti fuori famiglia diventa ancora più difficile raccontarci, descrivere ed esporre i traumi che ci hanno segnato il cuore, la mente ed il carattere.
Con Agevolando ho modo d’avvicinarmi e venire a contatto con centinaia di ragazzi e ragazze che hanno avuto un percorso di vita fuori famiglia simile al mio – in casa famiglia o in comunità di ogni genere – e ogni volta sento in modo quasi palpabile la voglia di raccontare e il desiderio di essere capiti.
Solo noi possiamo realmente capirci? Penso di no, ma sicuramente quando ascoltiamo una storia, tendiamo spesso a ricordare avvenimenti simili accaduti a noi stessi e ricordiamo ancora più vivamente i sentimenti che ci pervadevano in quei frammenti di vita che ci hanno segnato il cammino.
Nelle occasioni d’incontro con giovani adulti con un passato fuori famiglia mi sono sentita accettata e non giudicata, ma soprattutto capita e non compatita.
Spero che questo accada anche a chi mi rende partecipe dei propri dolori raccontandomeli fra sorrisi amari e lacrime piene di voglia di superare e accettare ciò che gli è accaduto: genitori assenti, maneschi, privi di coraggio nell’assumersi le responsabilità che caratterizzano il mestiere del genitore, richieste di aiuto tacite mai ascoltate, amicizie sbagliate, padri e madri con problemi di alcol o droga…
Raccontare la mia storia è sempre difficile e ogni qualvolta mi capita dopo mi sento più forte perché la rielaborazione della mia storia mi ha resa la persona che sono oggi: una giovane adulta con la propria indipendenza e la propria autonomia conquistate lottando e stringendo i pugni davanti alle difficoltà arrivate a bussare alla porta della mia vita troppo presto.
Quando espongo il mio passato sento che in fondo sto aiutando me stessa perché mi pongo davanti alla mia vita rendendola realtà, trasformando le parole formulate nella mia mente in suoni donati a chi mi è di fronte. Sento che sto aiutando l’altro che è con me perché capirà che non è il solo ad avere avuto una storia sbagliata e che potrà come tanti di noi diventare in un futuro, se già non lo è, un ottimo adulto e un ottimo genitore perché avrà risorse “speciali” per capire cosa non vorrà far affrontare ai propri figli.
Il raccontare, per me, è rendere partecipe l’interlocutore della propria vita passata, presente e…futura. Perché un futuro si rende possibile grazie al filo tessuto dal narrarsi vicendevole, attraverso parole dette e ascoltate, echi che rispondono e si fondono, per sempre.
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