“Scrivi due righe per invitare all’incontro tra il nascente The Hub di Rovereto e le imprese non profit del territorio?” Detto, fatto. Ma le righe sono molte di più… Chissà chi verrà.
Dici impresa sociale e pensi non profit. In Italia è andata così negli ultimi trent’anni, soprattutto grazie a una forma giuridica (la cooperazione sociale) che si è dimostrata particolarmente adatta ad operare in alcuni settori chiave del welfare come i servizi sociali e l’inclusione sociale attraverso il lavoro. E’ un’esperienza che, fra luci e ombre, ha generato una massa critica di imprese, addetti, fatturato ma anche di pensiero teorico, soluzioni normative e pratiche gestionali che fatto scuola in altri paesi europei e non. Ora siamo a una svolta. Non solo perché c’è una nuova legge che “sdogana” l’impresa sociale in nuove forme giuridiche e ambiti di intervento, ma perché molte cooperative sociali vogliono uscire dalla loro nicchia incalzate dagli eventi (nuovi bisogni, saturazione dei mercati, ecc.) e da nuovi modelli e impostazioni culturali dell’intraprendere per finalità sociali: dal social business di Yunus fino… agli Hub. E’ necessario che queste esperienze vecchie e nuove si incrocino per arricchirsi a vicenda e per meglio sviluppare le loro peculiarità. In particolare intorno a due questioni: il fare rete come condizione essenziale per produrre beni e servizi chiaramente orientati a finalità “di interesse generale” e, in questo ambito, il rapporto con le imprese for profit che dopo svariate “prove tecniche di collaborazione” chiede di essere messo a sistema attraverso accordi territoriali, joint ventures economico / sociali e, perché no, creazione di nuovi modelli d’impresa sociale e nuove forme di finanziamento, come la social stock excanghe di cui si è discusso a Milano pochi giorni fa. Molta, forse troppa, carne al fuoco (e non vorremmo fosse una cena vegetariana).
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