Formazione

Quinto, onora tutti gli uomini

San Benedetto aveva dato ai suoi monaci una lettura aperta del quinto comandamento, quello dell’“onora il padre e la madre” (di padre Mauro Giuseppe Lepori).

di Redazione

La Regola di san Benedetto, redatta nel sesto secolo, è stata adottata come regola monastica fondamentale in tutto l?Occidente e ha sicuramente forgiato l?Europa cristiana, l?Europa che abbiamo ereditato, malgrado tante dilapidazioni passate e odierne. Nel quarto capitolo san Benedetto fa un elenco dettagliato di quelli che chiama “gli strumenti delle buone opere”, una serie di comandamenti, precetti, consigli e virtù che, cito la conclusione, “se li useremo incessantemente, giorno e notte, riconsegnandoli al momento del giudizio, riceveremo dal Signore la ricompensa che lui stesso ha promesso: ?Quel che occhio non vide, né orecchio mai udì, questo Dio ha preparato per coloro che lo amano? (1 Cor 2,9)” (RB 4,75-77). Una famiglia universale San Benedetto inizia la lista di questi ben 74 strumenti col precetto biblico fondamentale, ribadito da Gesù Cristo, di “amare il Signore Dio con tutto il cuore, tutta l?anima, tutta la forza, e il prossimo come se stesso” (RB 4,1-2). Segue poi la lista dei comandamenti, così come Gesù stesso li riassume nel Vangelo di Matteo rispondendo al giovane ricco che desidera la vita eterna. Si capisce che quello che preme a Benedetto è che i suoi monaci, nel loro desiderio di vita eterna, non rendano vano l?incontro con Gesù Cristo, cedendo alla paura nel rinunciare a se stessi per seguirlo. Dunque, san Benedetto riprende la lista dei comandamenti così come Gesù la recita al giovane ricco: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non nutrire concupiscenza, non portare falsa testimonianza”. A questo punto dovrebbe venire “onora il padre e la madre”, ma san Benedetto cambia l?espressione e scrive: “Honorare omnes homines – Onorare tutti gli uomini” (RB 4,8). Mettendo “tutti gli uomini”, a san Benedetto preme soprattutto di introdurre nell?impegno ascetico dei suoi monaci una sollecitudine universale per l?umanità, un senso universale della stima dell?altro. La pietà filiale verso i genitori è così dilatata a tutta la famiglia umana. Il monaco è chiamato a onorare tutti gli esseri umani come si onorano il padre e la madre, come si onorano coloro attraverso i quali si riceve la vita, l?educazione, l?amore. È come se in monastero il monaco fosse così chiamato ad adottare come sua famiglia tutta l?umanità, ad avere in cuore un?attenzione universale per l?uomo. Notiamo che, se nei comandamenti che precedono l?attenzione è focalizzata su un?azione da non fare – non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, ecc. -, qui appare un comandamento positivo che non consiste anzitutto in un?opera, ma in un atteggiamento, in una qualità di relazione, in uno sguardo, in un?attenzione: “Onorare tutti gli uomini”. Per capire meglio la portata di questo richiamo nell?intenzione di san Benedetto, permettetemi un rapido riferimento all?insieme della Regola. In essa il termine “onorare” non è banale, perché per san Benedetto l?onore è dovuto essenzialmente a Dio solo. È “per l?onore e l?adorazione della Santa Trinità” che i monaci devono alzarsi al Gloria (RB 9,7) o alla lettura del Vangelo (11,9). In onore a Dio Ma ecco che nella Regola l?onore dovuto solo a Dio scivola, per così dire, verso le persone umane, secondo la logica dell?Incarnazione, la logica del Vangelo, pur rimanendo rivolto a Dio: i malati devono essere serviti con predilezione “in onore a Dio” (36,4); nell?accoglienza degli ospiti bisogna accordare a tutti “il dovuto onore” (53,2), soprattutto ai poveri e ai pellegrini “perché in loro si accoglie più pienamente Cristo”. E san Benedetto aggiunge, non senza un pizzico di malizia: “Ché la soggezione che i ricchi incutono, obbliga già di per sé a onorarli” (53,15). Nella comunità monastica il superiore è chiamato ?Dominus? e ?Abbas? “per onore e amore a Cristo” (63,13); ma l?abate deve “comportarsi in modo da essere degno di questo onore”(63,14). Per il resto,”i più giovani onorino i più anziani” (63,12; cfr. 63,17), e in generale tutti i fratelli “si prevengano l?un l?altro nel rendersi onore” (72,4). Si vede da tutto ciò che per san Benedetto la comunità monastica deve essere, fra l?altro, una “scuola di onore”, una scuola in cui ci si educa a “onorare tutti gli uomini”, tanto all?interno che verso l?esterno del monastero. Una comunità cristiana deve essere un luogo in cui l?impegno a onorare tutti gli uomini si fonda sull?impegno a onorare Dio, e coincide con esso. Questo senso della dignità di ogni essere umano in quanto tale, soprattutto là dove la sua condizione e il suo stato non provocano una stima istintiva, è forse il più importante apporto del cristianesimo in generale, e del movimento benedettino in particolare, alla società, civile o barbara che essa sia. San Benedetto, chiuso nel suo monastero, ha esercitato un?immensa e duratura influenza politica e sociale trasmettendo alla società uno sguardo sull?uomo, e particolarmente uno sguardo su ogni uomo, che anche le più alte civilizzazioni dell?epoca e di ogni epoca non hanno conosciuto. Ha trasmesso alla società intera, esercitandolo nella solitudine e nella sua comunità, lo sguardo di Cristo su ogni essere umano, e questo sguardo è diventato relazione umana diversa, nuova civiltà, nuova cultura. Nel clima di decadenza culturale e sociale in cui viviamo, di imbarbarimento disumanizzante della società che ci circonda e di cui siamo membri, come non guardare a un modello come quello del movimento benedettino in Europa con un particolare interesse, con un bisogno urgente di imparare, di ispirarsi, di capire? Si tratta di capire come la fede cristiana è chiamata a diventare esperienza – quindi cultura – e diventando cultura offra alla società intera, anche ai non cristiani, quell?umanizzazione dei rapporti e degli ambiti di vita che salva la società tutta dalla deriva omicida e ultimamente suicida a cui assistiamo con un amaro sentimento di impotenza. “Onorare tutti gli uomini”. La tradizione cristiana, così come si incarna e emerge in esperienze aggregative quali il movimento benedettino, ci insegna dunque essenzialmente e anzitutto ad avere uno sguardo diverso su ogni persona. Come abbiamo visto, questa diversità e originalità consistono fondamentalmente nel riconoscere in ogni essere umano la presenza di Gesù Cristo. Spazio di umanità nuova “Onorare tutti gli uomini”. Solo alla luce del Re crocifisso, dell?Ecce Rex coincidente con l?Ecce homo, possiamo intuire cosa vuol dire attribuire all?uomo l?onore che si deve solo a Dio, Signore e Re dell?universo. Perché il paradosso della coincidenza in Cristo di Dio e dell?uomo, del Signore e dello schiavo, del re e del servo disprezzato, crea come uno spazio di umanità nuova, lo spazio della Chiesa, del cristianesimo. Questo spazio è la carità, è la misericordia, un regnare che è servire, e un servire che è regnare. Autorità e servizio che non si annullano a vicenda, ma sussistono nel paradosso della carità di Cristo. Allora possiamo tornare alla referenza principale di san Benedetto e di tutta la tradizione caritativa e sociale cristiana: la parabola-profezia di Matteo 25,31-46, che è anche l?ultimo insegnamento di Gesù nel vangelo secondo Matteo prima del racconto della Passione. Gesù si presenta come il Re e Giudice e il criterio unico del giudizio definitivo su ogni persona sarà: “Ogni volta che avete [o non avete] fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l?avete [o non l?avete] fatto a me” (Mt 25,40.45). Letteralmente, “i più piccoli” sono qui “i minimi” (“uni ex his fratribus meis minimis”), cioè coloro che non hanno alcun valore agli occhi del mondo. Ma ecco appunto che il Re, colui che dopo la risurrezione dice di sé: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28,18), ecco che il Re dell?universo, Colui che giudicherà tutto e tutti, si identifica totalmente a loro, ai minimi. Veramente, è la coincidenza dell?Ecce homo e dell?Ecce Rex, dell?infimo e dell?eccelso, in Cristo crocifisso e risorto. In Lui potenza totale e impotenza totale coincidono. Questa coincidenza, conseguenza dell?incarnazione del Verbo di Dio fino alla morte in croce, diventa il criterio e la norma definitivi della nostra adesione a Gesù Cristo, e quindi della salvezza in Lui. Chi onora il più piccolo in mezzo a noi entra nel cuore del mistero di Cristo Signore, vero Re e vero schiavo, e questo cuore è la carità. La carità è l?adesione del cuore e dello sguardo, e quindi dell?opera, al paradosso della coincidenza dell?uomo e del re, dell?ultimo e del primo, realizzata da Cristo. Per questo, la carità non è tale, non è carità cristiana, se non onora ogni uomo, se non riconosce un re nel ?minimo? fra gli uomini.

padre Mauro Giuseppe Lepori


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