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Qui Tunisi. La glassa di Madame Boukhriss (che era l’amica ebrea di mia nonna)

di Redazione

Nel piccolo villaggio del Sud della Tunisia, Zarzis, dove sono nati i miei genitori, l’orefice più fornito di gioielli preziosi
si chiama Rebecka,
una signora ebrea.
Ebrea la bravissima sarta Sbrissa. Ebrei il farmacista
e l’infermiere Kiki.
Altro che nemici…di Meriem Faten Dhouib
Una cara amica di mia nonna era ebrea. Si chiamava Madame Boukhriss e le aveva insegnato a fare bene “la bunta” (una specie di glassa per le torte) che ancora oggi mia mamma ed io prepariamo. Nel piccolo villaggio del Sud della Tunisia, Zarzis, dove sono nati i miei genitori, l’orefice più fornito di gioielli preziosi si chiama Rebecka, una signora ebrea ancora in vita e che non è mai andata via dal paese dove è nata. Mentre la sarta si chiamava Sbrissa e che dire del farmacista e dell’infermiere Kiki, di cui mi ha sempre parlato mia nonna, e di Khamouss, che vendeva prodotti gastronomici ed era amico di mio nonno materno. Tutto ciò rappresenta il legame tra i miei ricordi, la memoria collettiva della mia famiglia e i sentimenti che provo nei confronti della parola ebraismo. Mentre la parola Israele prende un’accezione diversa perché mi evoca: l’intifada, i bambini delle pietre, i gridi delle donne, le case in rovina, il muro e i confini, le bombe di giorno e di notte, gli insediamenti, l’occupazione?
Vivendo in Europa ho vissuto episodi importanti della storia recente. E ho sentito sulla mia pelle tante volte i pregiudizi di un Occidente che associa l’essenza dell’Islam al terrorismo. Gli ultimi attacchi a Gaza, invece, li ho vissuti qui nel mio paese dove ho visto le strade di Tunisi e la sua periferia tappezzate di bandiere della Palestina, i ragazzi sul treno con la Kefia al collo, le code davanti ai centri di donazione del sangue, le marce pacifiche dei giornalisti, amici di Facebook che tutti i giorni mettono video di bambini che gridano.
Oggi ho costruito un’altra memoria attorno a un episodio storico. E ho capito che la “memoria”, perché portatrice di ricordi e motore di sentimenti, può assumere varie sfumature. Ecco perché per gli ebrei la mia “memoria” è sinonimo di: deportazione, persecuzione, cacciata, camera a gas, sterminio, shoah, treni, pianti, immagini di corpi senza vita, di ossa umane e mille altre cose. Recentemente qualcuno ha avuto il coraggio di dire che i palestinesi hanno usato i loro bambini e le loro donne per fare la guerra. Ma anche che il 36% dei cittadini europei in occasione della Giornata della memoria ha detto che gli ebrei dovrebbero smettere di fare le vittime e di parlare della Shoah. Fin quando noi arabo-musulmani e israeliani non faremo la differenza tra il passato e il presente e non ci decideremo ad ammettere ciascuno i propri errori, non riusciremo a costruire un nuovo sentimento che sia lontano dall’odio reciproco.

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