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«Qui Thailandia: 30mila profughi»

Filo diretto con Cecilia Brighi (Cisl), al confine birmano

di Emanuela Citterio

«Dalla Birmania continuano ad arrivare profughi dopo le elezioni di domenica, qui calcolano che siano già 30mila». Cecilia Brighi, responsabile dei rapporti con i Paesi asiatici della Cisl, parla al telefono da Mae Sot, in Thailandia al confine con la Birmania. «Qui la popolazione si è mossa subito per aiutare le persone in fuga dal Paese confinante, ieri sera ho visto un’anziana parlamentare birmana eletta nel ’90 che a ottant’anni è partita in motocicletta per portare cibo e acqua ai suoi connazionali. I rifugiati politici birmani che vivono in Thailandia, insieme ai monaci, alla popolazione locale e alle ong stanno portando aiuti e collaborando con il governo, che per il momento ha accolto i profughi in uno stadio e in un vecchio aeroporto».

Gli scontri in Birmania sono cominciati in seguito alle elezioni del 7 novembre, giudicati una farsa da gran parte della comunità internazionale. L’annuncio da parte dell’Usdp, il partito espressione della giunta militare al governo, di aver vinto con l’80% dei seggi in parlamento ha scatenato la reazione dell’Esercito Buddista dello Stato di Karen, nell’area sudorientale del Paese. «Si tratta di una frangia che si è staccata dall’esercito Karen» spiega Brighi. «La costituzione scritta dal regime nel 2008 prevedeva lo scioglimento entro la fine di ottobre degli eserciti delle minoranze birmane, che si sono sempre opposti alla giunta militare centrale. Ma una parte di questi gruppi armati non ha accettato di sottomettersi».

Prima delle elezioni ufficiali nello stato di Karen è nato il “parlamento del popolo birmano”. «E’ composto dagli eletti nel 1990, fra cui i membri della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Auug San Suu Kyi escluso da queste elezioni birmane» spiega la Brighi, che ha assistito alla prima riunione dell’assemblea. «Il parlamento è stato allargato anche a rappresentanti delle tre principali etnie birmane, quella karena, mon e rakhine». L’assemblea ha rifiutato i risultati delle elezioni, si è dichiarata contraria alla strategia per il nucleare militare e civile della giunta birmana, ha denunciato l’accondiscendenza del regime verso la coltivazione oppio e la vendita della droga e proposto una legge per il rispetto dei diritti umani, aderendo alle convenzioni del lavoro dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo).

La tensione, secondo l’esperta della Cisl, è destinata a crescere nei prossimi giorni. Il 13 novembre è la data nel quale Auug San Suu Kyi, simbolo della lotta per la democrazia in Birmania, dovrebbe essere liberata, formalmente perché scadrà la condanna agli arresti domiciliari. «La giunta vuole disarmare gli eserciti delle minoranze etniche, ma questi ultimi non sono disposti a cedere le armi» afferma Brighi. «Si prevede quindi che la situazione divenga sempre più esplosiva».

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