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Qui si muove solo la Finanza
La scelta di Roma rischia di essere un boomerang per il governo e uno schiaffo per le associazioni che da due anni chiedono regole certe e chiare per le Onlus.
di Redazione
Dell’authority sul Terzo settore per ora si sa solo una cosa, la peggiore: che sarà a Roma. Così ha scritto il presidente del Consiglio D’Alema, per far capire che sarà un ente al risparmio in cui ricollocare personale delle finanze in sovrannumero. Una presa di posizione, quella del presidente del Consiglio, che ha avuto l’effetto di compattare tutte le anime del privato sociale milanese: Cgil e Compagnia delle Opere, Legambiente e Forum del Terzo settore hanno dato vita a un’agenzia di promozione per l’authority a Milano, a cui sono state invitate a partecipare anche le università, la Camera di Commercio e l’Associazione Industriali.
A parte la battaglia sulla sede, comunque, dell’organismo di controllo non c’è traccia. Chi si era illuso che lo stabilire una sede significasse accelerare i tempi della sua nascita si sbagliava: presso la presidenza del Consiglio del decreto istitutivo dell’authority non c’è nemmeno l’ombra. Non un testo, non una rosa di nomi che la comporranno, niente di niente. Eppure ce ne sarebbe davvero bisogno, e per più di una ragione.
Primo, per ragioni fiscali. L’authority dovrebbe servire finalmente a dire una parola di chiarezza sulle intricatissime norme della legge 460, che nessuno ancora capisce bene (su 204 quesiti arrivati all’Osservatorio fisco e non profit promosso da Vita il 54% viene da fiscalisti, vedi box). Tanto più che il 31 dicembre di quest’anno scadono i due anni di delega affidati al governo, che entro dicembre avrebbe potuto modificare direttamente alcuni punti della 460: una scadenza lasciata passare senza muovere un dito, un’inerzia che rende ora molto più difficile intervenire su una legge che invece andrebbe notevolmente migliorata. «Tutta la materia Onlus è stata accantonata», osserva l’onorevole Salvatore Biasco, Ds, presidente della commissione dei Trenta. «Non dico che sia stata dimenticata, ma sicuramente non è all’ordine del giorno. Un danno per il Terzo settore, che avrebbe più che mai bisogno di qualche punto fermo, di qualche certezza. Invece le Onlus continuano a navigare a vista. Spero che il presidente del Consiglio si occupi del decreto sull’authority, e lo faccia in fretta».
Secondo, per ragioni pratiche. Senza l’authority infatti l’universo delle Onlus resta una nebulosa molto confusa. Quante sono le Onlus in Italia? Che caratteristiche hanno? Che dimensioni? Nessuno lo sa. Il ministero delle Finanze, infatti, non ha ancora tra le mani l’anagrafe delle Onlus che la 460 lo obbligava ad approntare, con l’authority, entro il 31 dicembre 1997. Finora 16 mila organizzazioni che hanno autocertificato il loro status di Onlus si sono iscritte nelle anagrafi delle varie Direzioni regionali delle entrate, ma si tratta di puri elenchi: nessuno ha verificato che gli enti iscritti abbiano davvero i requisiti giusti. Così tutto rimane vago e senza indirizzo, tranne che per la Finanza che invece gli indirizzi delle associazioni e delle cooperative sociali li ha già trovati, facendo partire i controlli fiscali in base a quella cultura del sospetto da sempre molto cara al nostro Fisco.
Terzo, per ragioni di trasparenza. La legge 133/99, che fissa alcuni paletti di competenze per l’authority, parla di «ampi poteri di indirizzo, promozione e ispezione» da realizzarsi tramite pareri «obbligatori e vincolanti»; e poi poteri di controllo, importanti per promuovere la trasparenza nelle organizzazioni non profit e per scoraggiare le truffe, come ad esempio quella per cui una società profit si “camuffa” da non profit per godere dei benefici fiscali. In questo caso l’authority potrà comminare sanzioni “aggiuntive” a quelle di altri organismi tributari. Uno spauracchio in più per i disonesti, una garanzia per tutti noi che sapremo di chi ci dobbiamo fidare, e un contributo per una corretta informazione che non abbia bisogno di sparare nel mucchio la prossima volta che scoppierà un vero o presunto “scandalo della solidarietà”. «Tutti questi ritardi e inadempienze cominciano a essere sospetti», dice Luigi Bobba, presidente delle Acli. «Probabilmente manca la volontà politica di istituire questo organismo. Forse a qualcuno fa paura che possa dire la sua, ad esempio, sulla destinazione della quota di patrimonio che le fondazioni bancarie devono dare al volontariato?». •
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