Cultura

Qui non c’è piu niente da scoprire

Il confronto (impietoso) tra il Vangelo e Nativity

di Maurizio Regosa

P er chi se lo ricorda, l?incontro fra Giuseppe e Maria, una delle scene iniziali dell?insuperato Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, è fondato sull?implicito. Un uomo e una donna si guardano. Fra loro qualcosa – angoscia, dolore, spiazzamento – che lo spettatore è chiamato a desumere. Dagli occhi, dalle posture, dai volti, persino dal contesto. È il mistero, è la sensazione di non essere pronti a capire. Sono istanti che paiono dilatarsi: un tempo necessario perché la comunità del pubblico si faccia carico, introspettivamente, di queste emozioni che non sono ?dette?. Rimangono appunto nell?implicito perché il viaggio – all?interno del film come nel sentimento religioso – sia appunto tale. Cioè non se ne conosca preventivamente la fine, pur essendo nota, ovviamente, la storia.

A suggerire che la fede è continua ricerca, non è possesso. Molto diverso oggi l?incipit di Nativity diretto da Catherine Hardwicke: «La profezia sarà vanificata stanotte», affermano due fedeli ad Erode, aprendo così un orizzonte dimostrativo. Non c?è niente da dedurre, né da scoprire, né da immaginare: la pratica dell?esplicito è fondata sull?evidenza fattuale, sulla concatenazione eloquente, sulla sottolineatura che vorrebbe valorizzare. Non suggerisce, rivela; non induce a un farsi carico, mostra. Non a caso, dopo questo incipit la narrazione si ripartisce in rivoli diversi che finiscono con il convergere nel gran finale imperniato su un (spesso frainteso) senso del sublime. Seguiamo così Giuseppe e Maria, Elisabetta e Zaccaria, i Magi, Erode, ciascuno alle prese con la sua parte di enigma debitamente illustrato e scenografato. I 32 anni che separano Nativity dal capolavoro di Pasolini sembrano così secoli.

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