Famiglia
Qui lo Zecchino è doro vero
Santa Cruz de la Sierra è una sorta di Far West ai margini dellAmazzonia. Qui alcune religiose abruzzesi fanno miracoli. Grazie anche allaiuto del famoso festival di canzoni infantili
?Veronica, Leslì, Maribel, Monica, Alejandra…?. Che cosa può esserci in comune tra un boss del narcotraffico boliviano e un gruppo di suore abruzzesi? Tra un ingegnere piemontese emigrato in Sudamerica e il Mago Zurlì? È difficile immaginarlo. A meno che si attraversi mezzo mondo e si atterri a Santa Cruz de la Sierra, ex villaggio ai bordi della foresta amazzonica divenuto in pochi anni una metropoli. Qui la Bolivia mostra il suo volto più accogliente e più atroce, in un impasto di contraddizioni: potenti auto 4×4 giapponesi e nugoli di bambini di strada, ragazze da Miss Mondo e carceri da Papillon, musica travolgente e cocaina a gogò. Santa Cruz è l?altro volto della Bolivia: non quella ostica e priva di ossigeno dell?altipiano, a quattromila metri, dove i caratteri sono chiusi e l?orizzonte è fin troppo aperto. No, Santa Cruz è profumo di giungla, ritmi latini, voglia di divertirsi. Ma è anche malattie tropicali, pedofilia diffusa, corruzione a ogni livello.
?…Caròla, Rebeja, Clarita, Maria Fernanda, Flor…?. Quarant?anni fa Santa Cruz era un villaggio di 40 mila abitanti dove si andava solo a cavallo. Oggi ci sono 800 mila abitanti e dieci circonvallazioni, o anillos: entro il terzo ci sono la civiltà e i bei negozi, al di fuori ci sono le baracche dei disperati scesi dalla montagna con l?illusione di trovare lavoro. Dentro, c?è chi guadagna dieci milioni al mese; fuori, il massimo sperabile per un operaio sono 120 mila lire al mese.
È questa la realtà di tutta la Bolivia, un Paese grande tre volte l?Italia dove il 70 per cento degli otto milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà e il 60 per cento è analfabeta. A Santa Cruz il bisogno e le tensioni sociali sono tali che negli ultimi anni la città ha attirato missionari e volontari da tutto il mondo. Qui la famiglia sembra non esistere più e per i bimbi la vita è dura: se va bene crescono assieme a fratellini nati ognuno da padri differenti; se va male vengono violentati dall?amante di turno della madre; se va peggio, gli arrestano un genitore e loro devono seguirlo nel tremendo carcere locale, dove infatti ci sono più bambini che adulti. A Santa Cruz 25 mila minorenni vivono per la strada. Più fortunati i cinquemila orfani accolti nella cinquantina di hogar, di case alloggio, gestite da enti assistenziali e ordini religiosi. Bambini trovati magari in un pozzo nero, oppure ?regalati? (un eufemismo per dire ?abbandonati?) dai genitori all?orfanotrofio. Non hanno mai nome né data di nascita: nessuno paga gli 8 dollari necessari per registrarli all?anagrafe. Quando i servizi sociali affidano a un hogar un bimbo, questo viene pesato e gli viene assegnata una data di nascita approssimativa.
?…Rosario, Nora, Margot, Claudia, Glancy…?.
A Santa Cruz undici anni fa arrivarono anche alcune suore provenienti dall?Aquila, dove hanno la casa madre. Le Missionarie della Dottrina cristiana presto impararono a parlare uno strano spagnolo con l?accento abruzzese (o un abruzzese con l?accento castigliano, a volte non si capisce bene). Alcune si insediarono a Hardeman, nella cuore selvaggio e miserrimo dell?Amazzonia boliviana; altre rimasero in città per occuparsi dei baraccati, dei carcerati, delle orfanelle. A Santa Cruz le suore presto trovarono una sede addirittura lussuosa. Un famoso narcotrafficante, Jorge Suarez detto ?Techo de paja?, ?tetto di paglia?, era stato catturato in Argentina, estradato negli Usa e là condannato a 36 anni. Le autorità boliviane convocarono madre Nazarena Di Paolo, superiora delle suore, e offrirono in dono la villa del boss: un lussuoso edificio fortificato, con piscina, alberi da frutta, case per la servitù e grandi canili da trasformare in camerate per un centinaio di orfanelle fra i 3 e i 18 anni.
?…Balbina, Griselda, Lilibeth, Elda, Anjelica, Graciela…?. Qui tante bambine senza famiglia sono cresciute felici e sane, con l?aiuto di suore un po? pazzerelle e parecchio avventurose. Hanno potuto studiare, divertirsi, imparare l?uncinetto e tanti altri mestieri. Ma poi, d?improvviso, questo piccolo scampolo di paradiso è messo in allarme da una notizia che non stupisce chi conosce i giudici boliviani, così disposti, se ?aiutati?, a mutare opinione. Così, dopo un?udienza celebratasi in assenza del pubblico ministero (!), alle suore arriva un bell?ordine di sfratto: ?Il boss è detenuto ingiustamente, entro 90 giorni dovete restituire la villa alla sua famiglia?. A qualche suora scappa un ?per la Maiella?, il massimo dell?imprecazione concesso a una religiosa abruzzese. Apriti cielo, insomma: bimbe che piangono, telecamere, popolazione che manifesta, ricorsi alla Corte suprema di Sucre…
L?incertezza sul futuro spinge madre Nazarena a chiedere aiuto oltreoceano. Si sa che lo Zecchino d?oro, il famoso festival di canzoni per bambini organizzato dai frati dell?Antoniano di Bologna, finanzia ogni anno un?opera di solidarietà. La proposta viene fatta ai telespettatori nel novembre ?96. Con il miliardo e mezzo raccolto si dà inizio alla costruzione di un nuovo e più grande orfanotrofio: sarà intitolato alla memoria di Mariele Ventre, l?indimenticata direttrice del Piccolo coro dell?Antoniano scomparsa nel ?95. Costruita a tempo di record grazie anche all?aiuto di Giovanni Mondino (un ingegnere piemontese finito in Bolivia all?età di 15 anni e che ancora ringrazia la guerra che lo costrinse a rimanervi), la nuova struttura è stata inaugurata con una festa durante la quale una bimba di tre anni è stata battezzata, ricevendo anch?essa il nome di Mariele. Suo padrino era Cino Tortorella, l?ex Mago Zurlì dello Zecchino d?oro; madrina era Maria Antonietta Ventre, sorella di Mariele. La Casa de la Sonrisa de Mariele ospiterà 120 bambine. Se poi il ricorso verrà accolto, tanto meglio: vorrà dire che le suore potranno accogliere un numero doppio di orfane.
?…Raquel, Josefina, Maria Fatima, Ximena, Silvia…?. Per il momento, in attesa degli ultimi lavori di rifinitura, le bambine sono ancora nel vecchio hogar, quello di Techo de Paja. Qui scorrazzano tra i manghi e i banani, si tuffano nella piscina per sfuggire all?afa già soffocante in questo inizio di estate australe, cercano rifugio nell?aria condizionata del salone della villa. Quando varchiamo il pesante portone a prova di granata, un nugolo di piccoline sorridenti ci corre incontro. Siamo dei perfetti estranei eppure tutte ci salutano, ci abbracciano, ci baciano. Non più soffocata dalla miseria economica e soprattutto umana, qui emerge la natura cordiale e calorosa del popolo boliviano. Le bambine ci prendono per mano e ci conducono a scoprire i segreti della villa, la collezione di chitarre, i nidi di pajaritos sugli alberi, il bagno dai mille specchi. E poi quella Madonnina appartenuta al boss, il cui polso svitabile cela una cavità dove, chissà, forse veniva nascosta la cocaina.
?Anna, Vanessa, Sandra, Gabriela, Jessica, Rosa Guillermina…?. «Fino a 18 anni», spiega madre Nazarena, «le bambine possono restare qui. Quasi tutte sono anche adottate a distanza da famiglie italiane: ciò è molto importante, perché sentono di avere qualcuno che pensa a loro. Arrivate sui 17 anni però cominciano a intristirsi, a chiedersi: e poi che cosa farò, una volta fuori? Noi le aiutiamo a trovare casa e lavoro, a qualcuna paghiamo l?iscrizione all?università. Ma è giusto che imparino a vivere nel mondo, si inseriscano nella società». Inutile chiedere a madre Nazarena se il governo aiuta le suore nella loro fantastica opera. «Col segno della Croce ci aiutiamo! Solo di vitto e alloggio una bambina ci costa cinquemila lire al giorno: il governo ci sovvenziona con mille lire, tre bolivianos».
?Jolanda, Edith, Alvaida, Maida, Gloria, Lili…?. Per loro e per tutte le altre che verranno, invece, lo Stato boliviano dovrebbe fare un monumento a queste piccole suore abruzzesi, dalla veste color nocciola e con la battuta sempre pronta. Non lo avranno, ma non saprebbero che farsene. A loro basta poter continuare ad accogliere e amare queste bambine dal passato drammatico e dal presente così carico di speranza. A loro basta poter continuare a chiamarle per nome, a una a una: ?Luisa, Estela, Silvana, Noelia, Roxana, Cristina…?.
Cinquemila bambini in cerca di aiuto
L?inaugurazione della Casa de la Sonrisa de Mariele ha offerto l?occasione di due giorni di festa per molti dei cinquemila piccoli ospiti dei 50 hogar esistenti a Santa Cruz de la Sierra, da quello gestito dalla Comunità Incontro di don Gelmini all?Hogar San Lorenzo che volontari della diocesi di Grosseto hanno rilevato due anni fa. Era questo un hogar statale dove, si dice, avvenivano cose turpi, dal traffico di minori alla prostituzione infantile. Fu l?allora vescovo della città toscana Angelo Scola a convincere Giuseppe Ferrara a lasciare un posto al ministero degli Esteri e a portare in Bolivia la famiglia. Assieme all?altrettanto esuberante padre Claudio Piccinini, ora accoglie nell?hogar orfani da zero a tre anni: piccole creature dallo sguardo tristissimo come Marta, trovata dietro la ruota di un camion per fortuna prima che l?autista mettesse in moto, o come tre gemellini che una mattina la madre ha ?regalato? non potendo occuparsene.
Chi volesse aiutare l?Hogar San Lorenzo può contattare l?Associazione Mision San Lorenzo in Bolivia, presso la Curia di Grosseto (tel. 0564-220116).
Chi invece vuol sostenere l?Hogar Maria Inmaculada, la Casa de la Sonrisa di Mariele e l?opera delle Missionarie della Dottrina cristiana, può chiamare la loro Casa madre all?Aquila (tel. 0862-413373).
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