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Qui Leopoli, quei gesti dei volontari sono una rivalsa contro la guerra
La storia di Maria, giovane monaca benedettina che da Roma è rientrata in Ucraina per aiutare il suo popolo, quella di Irina, 29 anni che trascorre 15 ore al giorno a seguire i lavori in un magazzino ghiacciato. E quella di padre Wieslaw, il direttore della Caritas di Lviv, che percorre ogni giorno centinaia di chilometri per recuperare alla frontiera persone e merci, per visitare le case famiglia e i centri di accoglienza - 25 in tutta la provincia di Leopoli – e si sta consumando in questo lavoro quotidiano in emergenza. E tanti giovani volontari
Lepoli, 12 marzo. Il tempo a Leopoli ha una densità diversa. Non si ferma, corre anche qui, ma procede a singhiozzo, interrotto dalle sirene occasionali (all’improvviso scattano anche qui) e dalla costante ricerca di notizie chiare da fonti diverse, che si incrociano e contraddicono: sono cadute le bombe? Dove? Solo all’aeroporto militare, o altrove? E dove sono arrivati i carriarmati?
È un tempo accelerato dalle cose da fare, che urgono da ogni parte, per recuperare un camion di aiuti bloccato alla frontiera, per sistemare 30 orfani che arrivano da Kiev, per accogliere due autobus di donne e bambini da Irvin: si respira adrenalina pura nei luoghi dove si allestisce l’aiuto umanitario, regna il caos per le richieste continue.
Ed è un tempo stracolmo di vicende umane segnate da tutto lo spettro di emozioni provate ai massimi livelli: dolore, smarrimento, incertezza, solidarietà, speranza, illusione, rabbia, orgoglio. Opposte, si autoalimentano.
In Maria avverti una strana leggerezza: sta appoggiata a un qualcosa che la rende sicura, al punto da averla spinta a fare il percorso al contrario. Pochi giorni prima dell’inizio dei bombardamenti, il 16 febbraio, è tornata in Ucraina. Giovane monaca benedettina, occhi azzurri, minuta, era a Roma per studiare teologia quando, rendendosi conto del pericolo che correva la sua comunità nei pressi di Kiev, ha deciso di rientrare in patria. Ha trascorso una settimana nascosta nei rifugi, al riparo dalle bombe che si annunciavano a ripetizione, finché con le sue sorelle ha deciso che era arrivato il tempo di scappare verso Ovest. Gli edifici vicini al loro monastero erano stati colpiti, alcuni in fiamme, così hanno optato per abbandonarlo. Hanno raggiunto un altro monastero a Solonka, a venti chilometri da Lviv, dove insieme alle ad altre sorelle hanno allestito in un centro di accoglienza temporanea per le famiglie che scappano. Hanno predisposto uno spazio per i pasti, una lavanderia, un ambulatorio medico. Maria sorride mentre serve i pasti, accudisce le famiglie dai volti segnati dalla fuga: “Hanno trascorso fino a due settimane nei rifugi, senza cibo, acqua e al freddo che qui arriva a -10 gradi. Arrivano qui esausti, non hanno parole per dire quanto. I mariti portano qui mogli e figli ma poi se ne separeranno alla frontiera, perché la legge marziale impedisce agli uomini trai 18 e i 60 anni di uscire dal paese. Tutto è dolore”.
Mentre Maria accoglie i rifugiati, c’è Irina, 29 anni a pochi chilometri di distanza che trascorre 15 ore al giorno a seguire i lavori in un magazzino ghiacciato, dove arrivano gli aiuti, vengono scaricati dai camion, stoccati, per essere poi divisi per tipologia e ricaricati su altri furgoni destinati alle città e villaggi a Est. Quando li vedi partire ti chiedi che cosa muove chi si mette al volante sulle strade verso Kiev o Bucha.
Attorno a Irina una squadra di giovani uomini scarica, impacchetta e ricarica latte, pasta, acqua, pannolini e sapone e tutto quel che può servire là dove la vita si è interrotta e i negozi sono vuoti o non raggiungibili. I gesti di questi volontari sono veloci, scattanti, incalzati da pura rivalsa contro la guerra. Questi ragazzi potrebbero decidere di partire volontari per il fronte, a breve – in molti già, anche solo diciottenni, si sono arruolati. Ma adesso sono qui, anziché il fucile, maneggiano pallet e sacchi.
Anche chi coordina i lavori qui, padre Wieslaw, il direttore della Caritas di Lviv, partirebbe per il fronte. Percorre ogni giorno centinaia di chilometri per recuperare alla frontiera persone e merci, per visitare le case famiglia e i centri di accoglienza – 25 in tutta la provincia di Leopoli – e si sta consumando in questo lavoro quotidiano in emergenza. Anche lui sente il desiderio di difendere il suo popolo, anche lui avverte il richiamo della battaglia. Ma sceglie di farla qui, per ora, guidando un furgone scassato portatore di cibo, acqua, coperte.
Questo tempo di Leopoli, reso incerto da circostanze di guerra che mutano repentinamente, nel suo procedere detta però una certezza: che quanto accade in Ucraina riguarda tutti. Non solo loro.
Maria Laura Conte è dal settembre 2015 è direttrice della comunicazione di Fondazione AVSI. Ha scritto i libri Dove guarda l’Indonesia. Cristiani e musulmani nel paese del sorriso (Venezia 2006 , Premio Capri-San Michele 2007) e Un giornalismo per uomini vivi (Padova 2014). Ha ricevuto il premio giornalistico Basso 2004 e la menzione del Premio Vesce Qualità dell’Informazione 2006-2007. Su Vita.it è autrice del blog “Le parole per dirlo”
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