Mondo
“Qui in Repubblica Centrafricana è l’Apocalisse”
Arrivato poco fa il racconto-denuncia a tinte forti di un padre cappuccino di origine polacca: soprusi e saccheggi di orde di briganti in una terra di nessuno dilaniata dalla guerra civile. E' urgente l'intervento umanitario per arginare lo sfacelo
Frate Robert Wnuk è un religioso polacco dell'ordine dei cappuccini, che si trova in missione a Bocaranga, villaggio nella Repubblica Centrafricana al confine con Ciad e Camerun. Nel paese africano è in atto una truce guerra civile in cui bande armate si contendono l'accesso alle ricche risorseminerarie del paese (oro, urani, diamanti) terrorizzando la popolazione, donne e bambini compresi. Le due fazioni, i seleka, musulmani, e gli anti-balaka ("anti-machete"), di ispirazione cristiana ma legati anche all'ex presidente deposto da un colpo di stato lo scorso anno, non esitano a usare la violenza su erosne disarmate e religiosi stessi: qui sotto il tragico racconto di Wnuk arrivato pochi giorni fa alla Fesmi, Federazione stampa missionaria, su quanto sta accadendo da quelle parti, senza che nessuno, per ora, riesca a porre fine a quelli che il frate definisce "i giorni dell'Apocalisse". ecco la sua testimonianza.
Una settimana fa gli Anti-Balaka hanno assalito i Seleka in Bocaranga. Il risultato è stato: la città liberata dalle mani dei ribelli, un po’ gioia e speranza. Più tardi è stato invece tristezza e ira, perché la città è diventata preda dei saccheggiatori e briganti. Hanno distrutto completamente alcuni quartieri, hanno bruciato alcune centinaia di case, quello che era il più bello è andato con il fumo. Oltre dieci persone ferite, tra cui bambini e donne, alcune persone morte (almeno tre Seleka, due anti-Balaka, sei civili). Accanto alla nostra casa, nella veranda, nelle sale parrocchiali, nel giardino passano le notti centinaia di persone.
Il giorno dopo, verso le ore 13 con Padre Cipriano volevamo prendere la strada per Bozoum per portare la dottoressa Ione. Dopo 80 km dovevamo incontrarci con i carmelitani, con cui la dottoressa doveva partire e noi dovevamo ritornare. A 5 km da Bocaranga siamo venuti a sapere di un gruppo Seleka, che si avvicina verso la missione. Siamo ritornati a casa. Alle ore 13,45 si sentiva sparare in tutta la città. Ci sono state esplosioni molto forti e fischi di pallottole, la gente nella nostra missione fu presa dal panico, ognuno si nascondeva dove possibile, nei bagni, nella cucina, nelle stanze. I colpi erano sempre più vicini, infine alcuni spari nella porta del nostro refettorio e cancello. Più tardi nel cortile più di dieci colpi. Padre Cirillo ed io usciamo con le mani alzate. I colpi da AK non cessano. Una decina dei Seleka entra nelle nostre stanze, prendono tutto quel che cade sotto le loro nelle mani, pretendono il danaro, le macchine, sparano sotto i nostri piedi e verso la soffitta e accanto alle teste. Hanno avviato una macchina e partono, a un’altra macchina hanno sparato, distrutto il cambio, rotto i vetri. Prendono le motociclette, che la gente ha lasciato da noi, a quelle che non possono accendere sparano nel motore. Questo dura più di un’ora, minacciano di morte, alcune volte entrano nelle stanze e sparano. Dopo la stessa situazione si ripete dalle suore. Da noi vengono ancora due gruppi armati e tutto si ripete da capo. Verso le ore 16 partono e alla gente consigliamo di scappare nel bosco. In circa due minuti alcune centinaia di persone strappano la siepe e scappano da dietro la scuola dei catechisti verso la savana. Verso le ore 17 arriva ancora una macchina piena di uomini armati, ma quelli non sono aggressivi. Vogliono solo una fune per rimorchiare un’altra macchina. Per fortuna partono.
Nella missione rimaniamo in 3: Cipriano, Nestorio ed io. Nestorio ha la mano ferita da rimbalzo. I Seleka hanno preso una nostra macchina, una delle suore e una del dr. Ione, una nostra motocicletta e decine della gente, tre computer, molte cellulari (che la gente caricava da noi), macchine fotografiche, il denaro e diverse cose. Nel giardino troviamo un uomo, una pallottola ha lacerato la sua gamba, a una donna la pallottola ha trapassato la pancia, sanguina, dappertutto pieno di sangue. Vado dalle suore per chiamare la dottoressa Ione. Dalle suore è come da noi. Per fortuna nessuno è ferito, non ci sono morti. Torno da noi, alla donna do l’assoluzione, muore due secondi dopo. Portano una piccola bambina con la ferita di sparo nella gamba. La dottoressa medica la sua ferita. Nella missione non c’è più nessuno. Passano le ore: le 19, poi 21, andiamo alle nostre stanze, poi le ore 23, l’una e così fino al mattino. Per un pomeriggio è stato anche troppo. Il mattino celebriamo la santa messa, come di solito, c’è molta gente, sono venuti a prendere le loro cose. Nella savana si scoprono ancora alcuni corpi, uccisi da pallottole, e alcuni feriti. Una donna ha due ferite. Un’altra ha in un braccio due ferite d’arma da fuoco, le ossa sono schiacciate.
Mercoledì aspettiamo nervosamente il ritorno dei Seleka. Non si sa che cosa fare, dove cominciare. Nestorio va alla foresta, Cirillo anche. Rimango con Cipriano. Nascondiamo alcune cose, per essere occupati. La sera andiamo alla casa del nostro cuoco (Massayo), circa 500 m dalla casa, la notte è dura per terra, senza cuscini, sulle stuoie. Verso le ore 3,30 ritorniamo a casa. Il mattino la santa messa, poca gente, alcune suore. Quattro di loro abitano nei campi, con esse ventiquattro ragazze del Foyer (collegio). Oggi tutto il giorno siamo in due, compaiono Cirillo e Nestorio. Dalle suore il collegio funziona di nuovo, allora approfittiamo per trasmettere alcune notizie. Ieri dovevano arrivare da noi i Seleka, ma non sono ancora arrivati. Nella città non c’è nessuno, i pochi Anti-Balaka non hanno più munizione per armi da fuoco. Però lo stesso saccheggiano la città perché tengono nelle mani i fucili. Sono venuti alcune volte alla missione. Dico loro che non posso lasciarli dentro con le armi, accettano e vanno via. Le suore decidono di dormire oggi nella scuola dei catechisti, noi più avanti a casa del nostro cuoco. È solo, tutta la sua famiglia è scappata nei campi. Dopo i momenti della vera minaccia e pericolo, siamo relativamente al sicuro. I nostri confratelli dal Ciad ci dicono che forse riusciranno a recuperare le nostre macchine, che si trovano là. Aspettiamo, vedremo. Scrivendo queste parole si sente il rumore delle macchine. Fuggiamo nel bosco.
Rieccomi a scrivere dopo un'ora e mezza. Anche le suore sono andate nel bosco. Ci siamo fermati a circa un chilometro dalla casa. Caldo, sole, polvere, mosche, ecc. Mezzo ora d’aspettare, probabilmente le macchine sono partite. Torniamo con Cipriano alla missione, vado fino all’ospedale e alla strada principale, non c’è nessuno. Le parole Ave Maria ci vengono sulle labbra. Nella strada principale si vedono le tracce di una grande macchina. Sento rumori sconosciuti. Incontro un signore che lavora con un'antenna telefonica. Dice che ha visto due macchine, una a 10-ruote e una seconda piccola. Un respiro di sollievo. Questa piccola macchina del colore rosso è stata vista ieri a Bouar e proprio l’aspettiamo. Torno alla missione, anche le suore ritornano a casa. Forse sarà una notte tranquilla Probabilmente dormiremo nella savana, ma già più tranquillamente. Dove sono andate queste macchine? A Ndim oppure Ngaoundaye, intanto non si sa. La macchina era piena dei soldati Seleka. Speriamo che non prenderanno più niente lungo la strada.
Adesso proviamo a telefonare all'ong Medici senza frontiere che è a Paoua (135 km da Bocaranga), per trasportate almeno i feriti gravi. Forse arriveranno domani. Mi scuso se risulto importuno e per la difficoltà nel leggere, ho scritto sul piccolo tablet. Grazie per il ricordo nella preghiera, Dio vi benedica.
Frate Robert Wnuk
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