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Qui in Africa aspettavamo l’enciclica sociale

Il vescovo nigeriano Emmanuel Badejo è promotore del documento "Per un'agenda di speranza" consegnato al G8

di Emanuela Citterio

«In Africa, dove le questioni sociali sono al centro dell’agire della chiesa e della società civile c’era molta attesa per questa enciclica sociale del Papa». A dirlo a Vita è Emmanuel Badejo, vescovo di Oyo  in Nigeria e responsabile della conferenza episcopale nigeriana per la comunicazione sociale.

Cosa pensa di questo testo uscito in concomitanza con l’inizio del G8?
Benedetto XVI ribadisce alcuni concetti già espressi in passato su una più equa ditribuzione della risorse, sulla dignità di ogni essere umano e sull’umanità come famiglia globale. Il pontefice sottolinea che i Paesi che hanno più risorse economiche non possono usarle solo per sé stessi ma devono condividerle a vantaggio di quei Paesi che hanno meno potere. È una voce che richiama alla dignità dell’essere umano. Speriamo che venga ascoltata.

Nell’enciclica sociale il Papa scrive che l’autentico sviluppo proviene dalla condivisione di beni e risorse. Lei vive in Nigeria, primo produttore di petrolio in Africa. Il tema vi tocca da vicino…
Da una ventina di anni a questa parte l’economia della Nigeria si regge sull’esportazione del petrolio. Il problema è che all’interno del Paese i proventi ottenuti con la vendita di questa risorsa naturale non sono distribuiti. Ci sono stati moltissimi scandali, la corruzione ha coinvolto le multinazionali presenti in Nigeria e le élite del Paese, c’è molta ingiustizia. Bisognerebbe fermare questa corruzione, che ci sia trasparenza sui proventi e che la gente sappia come vengono reinvestiti, quante di queste risorse economiche vanno a finanziare servizi sociali a vantaggio della popolazione. Questo oggi non avviene. Speriamo che questa enciclica dia un impulso anche nel nostro Paese perché le risorse siano meglio distribuite.

Nell’enciclica sociale il Papa richiama come criteri orientativi dello sviluppo la giustizia e la ricerca del bene comune. L’Africa è sintonia con questo messaggio?
Sin dall’ultimo sinodo africano, nel 1994, la chiesa in Africa ha deciso di fare passi avanti in cinque ambiti: l’annuncio, la giustizia e la pace, il dialogo, l’inculturazione del vangelo nei contesti locali e la comunicazione sociale. L’area della giustizia e della pace è quella che ha dato i frutti migliori. In quasi tutte le diocesi africane ci sono uffici di giustizia e pace, alcuni sono molto attivi e caratterizzano l’operato della chiesa cattolica in ambito sociale occupandosi di sviluppo e diritti umani, incalzando i governi sull’equa redistribuzione delle risorse, mettendo in evidenza problemi come la corruzione e proponendo delle soluzioni.
Il tema del prossimo sinodo africano, non a caso, è giustizia, pace e riconciliazione.

La società civile e la chiesa in Nigeria sono attive in questo ambito?
In Nigeria fortunatamente il movimento giustizia e pace si è diffuso in tutte le diocesi. Ognuna ha un gruppo giustizia e pace e durante le elezioni c’è stata una vasta operazione di controllo e di advocacy nei confronti dei politici, che non sempre è stata ben accolta perché questi gruppi sollevavano questioni scomode. Il governo ha messo in piedi due comitati contro la corruzione, le frodi e le appropriazioni indebite dei proventi del petrolio. Alcune persone sono state portate davanti alla legge.
I gruppi giustizia e pace hanno chiesto che a queste commissione sia dato più potere in modo che possano proseguire nel loro lavoro. Non è facile perché alcuni politici che fanno parte del governo sono parte di questo sistema di corruzione.

Il Papa parla dela necessità di umanizzare il mercato e la società. Questo vale anche per l’Africa?
Nella sua enciclica il Papa non condanna il capitalismo, ma il capitalismo senza limiti e senza regole che soffoca l’umanità. Ci devono essere limiti e il principale consiste nei diritti e nella dignità di ogni essere umano. Dignità è avere il diritto di lavorare senza essere sfruttati, in Africa significa anche accesso ai beni della terra e alle risorse comuni. È il diritto di ogni persona di vivere in modo pieno.

Lei si è fatto promotore di un documento presentato al G8 da vescovi e ong cattolice del nord e Sud del mondo, “Per un’agenda di speranza”. Cosa chiedete al G8?

Di fronte alla crisi ci sono delle questioni chiave che rischiano di essere tralasciate, quelle che riguardano la povertà, la mancanza di accesso alle cure sanitarie, la fame. Il nostro documento serve a richiamare queste priorità. Al G8 si parlerà della crisi economica. Noi sottolineamo che i Paesi ricchi sono strutturati per affrontarla mentre quelli poveri mancano di questi strumenti, quindi rischiano di essere travolti. Anche per quanto riguarda i cambiamenti climatici i poveri subiscono le conseguenze di qualcosa che non hanno causato.

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