Volontariato

Qui Galeropolis. La città carcere di La Paz in Bolivia

Si chiama San Pedro. All’interno tiene circa 1.500 detenuti, piazze, negozi. Vi entrano anche donne e bambini. Il racconto della nostra inviata Carmen Morrone

di Redazione

La Paz, Bolivia L?appuntamento è alle 9 in piazza San Pedro. Nonostante il traffico di La Paz, arrivo puntuale e padre Filippo Clementi è lì che m?aspetta. Filippo Clementi, 66 anni, sacerdote della diocesi tedesca di Eichstatt, vive in Bolivia da 23 anni ed è il cappellano delle carceri di San Pedro, l?istituto penitenziario più grande del Paese. In questo momento i detenuti sono circa 1.500, ma generalmente sono il doppio. Entriamo, davanti c?è un cancello alto. Dall?altra parte una fila di uomini che parlano con donne e bambini rimasti al di qua di un cordone di guardie. La cella numero 22 Filippo mi mostra un vestibolo sulla destra: si chiama la Posta ed è lì che si acquistano le celle. «Chi sta a San Pedro deve comprarsi una cella. Quando arriva e non ha soldi, dorme in cucina o è ospitato da qualcuno. Io stesso ho acquistato delle celle per metterci dentro chi è disperato: questa è l?ultima». E mi mostra un certificato che attesta che Filippo il 13 agosto 2002 ha acquistato la cella n. 22 della sezione di San Martin per 250 boliviani, meno di 40 euro in tutto. Battendo i tacchi e accennando un inchino, si presenta il tenente responsabile del carcere che mi fa qualche domanda e poi mi autorizza a entrare. Rimaniamo con alcune guardie che mi girano attorno, sembra che mi debbano dire qualcosa da un momento all?altro. Filippo apre la borsa, ci fruga dentro e inizia a lanciare caramelle e ogni guardia s?esibisce in piroette per acchiapparne una. Prima tappa del tour, la Muraglia, un corridoio lungo una trentina di metri e largo tre, stretto tra due pareti altissime in cui sono ricavate cinque celle. «Qui ci stanno quelli che per un certo periodo non vogliono o non possono vivere con gli altri», mi dice Filippo mentre io guardo il cielo. Già, la Muraglia ha per tetto il cielo. Il sonoro saluto di Filippo sveglia i detenuti che si precipitano fuori dalla celle e ci vengono a salutare. Filippo cerca ancora qualcosa nella sua borsa. «è vietato, ma per loro è l?unico modo?», e va verso il fondo del corridoio seguito da tutti. «Dammi il numero?» e li fa telefonare uno per uno dal suo cellulare. «Quando le cose di là non vanno bene, è sempre meglio star qui che morire», mi dice uno. Ed ecco Carlos Torniamo indietro di qualche passo. Ci viene incontro un omone tondo con una faccia simpatica: è Carlos, ci farà da guardia del corpo. M?accorgo che quello in cui sono appena entrata non è un cortile bensì una piazza. San Pedro è infatti un paese, con strade, piazze, negozi, in cui i detenuti girano liberamente, con l?unico limite del muro di cinta. Nella piazza-cortile ci sono molte persone che salutano il padre e si vogliono presentare. «Vedi questo è Francisco, è argentino», ci spiega Filippo. «Pensa che l?ho mandato all?ospedale, gli ho rotto il naso. L?ho trovato in camera di punizione e gli ho tirato un pugno alla spalla, ma lui si è spostato e si è fatto male. E questo è Pedro, il sacrestano che ci ha aperto la nostra chiesa. L?abbiamo restaurata noi, appena posso li faccio lavorare, così guadagnano qualche boliviano». Il furto del cemento Carlos c?interrompe e sul suo viso bonario vedo luccicare due occhi iniettati di sangue: «Hanno rubato il cemento». Per completare i lavori, mi racconta Filippo, ieri sera era stato chiuso a chiave in chiesa un sacco di cemento. «Qui sono tutti professionisti, le lampade della cappella le ho sostituite tre volte. Voglio vedere quanto durano le panche che stanno costruendo in falegnameria?». Chiedo a Filippo chi paga questi lavori e lui mi spiega che i soldi sono quelli del suo stipendio, del quale non si lamenta, vuoi perché è in marchi, vuoi perché i preti tedeschi son trattati bene. A San Pedro ci sono dieci quartieri. In quello chiamato Cancha c?è il campo da calcio e oggi è iniziato il campionato interno, in cui giocano sei squadre. «Ah italiana? Allora Ronaldo è andato via, eh? E Rivaldo?». Mi chiedo come facciano a essere così aggiornati sulle notizie sportive italiane. Padre Filippo mi indica le parabole sui tetti: «Con i soldi puoi avere la tv, ci sono celle bilocali con bagno privato, aria condizionata. È solo questione di soldi». Un intenso profumo di soffritto annuncia inequivocabilmente una cucina: «Qui preparano il cibo per molte sezioni, nelle altre i detenuti si cucinano da soli. Quello è il capo-cucina, un compito delicato, è lui che aggiunge il calmante, deve metterci la dose giusta, altrimenti? Se non li calmi un po? questi qui distruggono tutto». Filippo va di fretta: «Come si dice, non svegliar il can che dorme…». Ci sono delle scale, si sale e incontriamo dei bambini. «è normale, a San Pedro i figli vivono con i padri. Se la madre non c?è, o non li può mantenere, è meglio che vengano qua piuttosto che star per strada. La presenza dei bimbi è disumanizzante per loro, ma è umanizzante per i padri. Quelli che vanno a scuola, quando hanno le vacanze, finiscono tutti qui. Per questo stiamo costruendo un posto dove possano stare insieme. Giocare, imparare e socializzare fra loro». Toh, anche le donne All?entrata del quartiere di San Martin è visibile la struttura che ospiterà l?asilo di San Pedro. Qui incontriamo David, addetto alla vigilanza dei lavori, che chiede a Filippo cosa devono fare con Soria che ha rubato il cemento. Carlos e David vogliono punire il detenuto-ladro, ma Filippo chiede se hanno consultato Cicin. «Per ogni sezione c?è un mio delegato: raccolgono le richieste più varie, danno consigli e informazioni, insomma si autogestiscono». A ridosso di una parete assolata ci sono molte persone sedute e c?è qualche donna che si fa asciugare i capelli. Donne? «Sì, è un carcere maschile, ma è San Pedro, non San Vittore». San Pedro in effetti ha le voci, suoni e odori di una città. E, come in tutte le città, ci sono posti più o meno piacevoli, si passa da celle luminose a corridoi bui, dove le celle sono a due piani, ma strette e senza finestre. Cicin, mister Sorriso < in="" una="" di="" queste="" incontro="" feliz="" che="" si="" guadagna="" qualche="" boliviano="" tessendo="" braccialetti="" in="" cotone,="" poi="" venduti="" ai="" turisti="" nella="" bottega="" fuori="" dal="" carcere.="" insieme="" a="" borse,="" scatole="" fatte="" con="" i="" paletti="" dei="" gelati,="" portachiavi="" e="" anelli="" in="" resina="" trasparente.="" nelle="" vie="" e="" nelle="" piazze="" di="" san="" pedro="" ci="" sono="" negozi="" di="" alimentari,="" bar,="" c?è="" gente="" che="" passeggia,="" che="" legge,="" fa="" il="" bucato="" e="" costruisce="" muri.="" ogni="" 100="" metri="" c?è="" un="" piccolo="" cantiere.="" qui,="" dunque,="" mattoni="" e="" cemento="" sono="" merci="" ricercate.="" ci="" si="" fa="" incontro="" un="" uomo="" alto,="" grosso,="" che="" si="" presenta="" con="" uno="" sorriso="" smagliante,="" piuttosto="" raro="" qui="" e="" non="" perché="" siano="" tristi,="" ma="" perché="" cercano="" di="" nascondere="" i="" pochi="" denti="" rimasti.="" mister="" sorriso="" è="" cicin,="" che="" dal="" nome="" dovrebbe="" essere="" piccolo="" e="" gracile="" e="" che,="" con="" fare="" risoluto,="" parla="" del="" furto="" del="" cemento.="" filippo="" non="" ha="" voglia="" di="" decidere="" e="" prende="" tempo.="" in="" quel="" momento="" un="" uomo="" dalla="" pelle="" rossa="" si="" fa="" largo="" tra="" gli="" altri,="" è="" agitatissimo="" e="" vuole="" parlare="" con="" filippo.="" mi="" spiegano="" che="" questa="" mattina="" deve="" uscire,="" ma="" deve="" sapere="" quanto="" deve="" pagare="" la="" prigione.="" «il="" soggiorno="" a="" san="" pedro="" ha="" un="" costo="" per="" ogni="" giorno="" di="" detenzione="" e,="" quando="" la="" pena="" è="" finita,="" deve="" essere="" saldato.="" si="" va="" dai="" 200="" ai="" mille="" boliviani,="" dipende="" da="" tante="" cose».="" la="" contrattazione="" continuerà="" a="" lungo,="" l?uomo="" dalla="" pelle="" rossa="" ci="" segue="" per="" un="" bel="" pezzo="" lamentandosi="" con="" carlos="" che="" ha="" deciso="" la="" cifra.="" filippo="" però="" tira="" dritto.="" «sono="" già="" le="" 11,="" devo="" far="" lezione="" a="" chonchocorito.="" vuoi="" venire?="" lì="" ci="" sono="" i="" drogati,="" isolati="" da="" tutti="" gli="" altri.="" la="" droga="" arriva="" lo="" stesso,="" la="" lanciano="" dai="" tetti,="" ma="" loro="" sono="" romantici="" e="" dicono="" che="" arriva="" dal="" cielo».="" per="" accedere="" alla="" loro="" sezione="" è="" necessario="" passare="" per="" un="" posto="" di="" polizia="" speciale.="" le="" guardie="" hanno="" l?aria="" assonnata="" ma="" si="" svegliano="" al="" lancio="" delle="" caramelle="" da="" parte="" di="" filippo:="" la="" scena="" è="" un="" po?="" ridicola.="" chonchocorito="" è="" un="" gran="" cortile="" attraversato="" da="" panni="" stesi.="" «è="" il="" loro="" lavoro,="" lavano="" le="" divise="" delle="" guardie="" e="" il="" divano="" che="" stanno="" pulendo="" è="" quello="" di="" un="" ufficio».="" i="" ragazzi="" stanno="" aspettando="" il="" professor="" filippo,="" ma="" la="" mia="" presenza="" scombina="" la="" lezione="" e="" iniziano="" a="" fare="" domande="" sulla="" giustizia="" italiana.="" «in="" italia="" se="" rubi="" una="" pecora="" vai="" in="" carcere?="" io="" ho="" preso="" una="" pecora="" perché="" avevo="" fame="" e="" sono="" qui="" da="" tre="" anni».="" ho="" davanti="" a="" me="" dei="" professionisti,="" come="" li="" chiama="" filippo,="" abili="" nelle="" domande="" e="" nelle="" risposte,="" ma="" mi="" rendo="" anche="" conto="" che="" qui="" diritti="" e="" procedure="" sono="" assai="" relativi.="">Il girone dei pessimi Ultima tappa, la Gruglia. «È il posto dove mettono i peggiori, i più indisciplinati», mi spiega Filippo. Questa sezione è isolata da un posto di controllo e di nuovo assisto al rito del lancio delle caramelle. «Jesus, Jesus, svegliati! Ho portato ospiti». La Gruglia è un corridoio corto e stretto e sembra terremotato. «Sono loro che rompono tutto, sono violenti, quando gli gira spaccano anche i muri». «Ma no, si rompono da soli»: la voce alle nostre spalle è di Jesus, un ragazzo che è il sosia del cantante Jamiroquai. «Questo è il più ribelle, riesce ad arrampicarsi sino in cima alla parete e scivolare dall?altra parte per stare insieme agli amici! La parete è ruvida, ma trovare appigli per scalarla sembra impossibile. Le mani grosse e piene di ferite di Jesus ci riescono. Filippo prende il cellulare e gli fa fare una telefonata. Torniamo da Carlos che ci ha invitato a pranzo. Ci porta in una vera trattoria, con cuoco e cameriere e quattro tavoli. «Allora per il ladro che ha portato via il cemento dalla chiesa cosa farete?», chiedo a Filippo. Lui abbozza un sorriso e poi serio: «Si arrangeranno, hanno le loro leggi, non puoi andargli contro».


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