Pedagogia
Qui e ora, le coordinate da riscoprire nell’educare
Spazio e tempo non sono dimensioni accessorie, ma essenziali costitutive dell’educazione, dal momento che ogni relazione si gioca in esse. Oggi però sono cambiate le strutture di spazio e tempo. Per questo in educazione è urgente porsi il tema della "soglia"
di Vanna Iori
Le relazioni educative si giocano sempre nel tempo e nello spazio. Queste due dimensioni non sono accessorie, ma essenziali e propriamente costitutive dell’educazione. Ogni evento educativamente significativo avviene in uno spazio-luogo che non è solo quello fisico-geometrico ma è un mondo in cui i colori, le forme, le dimensioni, le caratteristiche visive e tattili rivestono importanza, anche quando non siano frutto di intenzionalità pedagogica ma di occasionalità.
Per esempio le zone morbide di un asilo nido sono realizzate intenzionalmente per creare angoli di intimità con sé stessi o di decantazione delle emozioni. Questo include necessariamente il tempo, poiché all’angolo morbido corrisponde un tempo della quiete, che scorre più lentamente.
La relazione educativa è per sua natura spazializzata non solo per il fatto di essere collocata o contenuta in uno spazio, ma anche perché è la qualità stessa della relazione a modificare i vissuti di questo spazio, rendendolo luminoso o buio, aperto o imprigionante, caldo di accoglienza o gelido di solitudine, minaccioso o armonioso. Lo spazio educativo è quindi modificato dai vissuti che lo animano e lo trasformano.
Allo stesso modo l’educazione è sempre temporalità. Ma il tempo dell’esperienza formativa non è rettilineo e uniforme, non è misurabile oggettivamente perché non scorre in modo omogeneo come le lancette dell’orologio: ha ritmi diversi a seconda dei diversi vissuti delle nostre situazioni esistenziali. A maggior ragione sul piano educativo ogni relazione si situa sempre nel “qui e ora”, ma scorre incessantemente costruendo la formazione che è trans-formazione poiché avviene nel cambiamento che, dal passato, che non possiamo eliminare dalle nostre memorie, apre al futuro, al progetto, alla speranza o anche al timore del futuro.
Il tempo dell’esperienza formativa non è rettilineo e uniforme, non è misurabile oggettivamente perché non scorre in modo omogeneo come le lancette dell’orologio: ha ritmi diversi a seconda dei diversi vissuti delle nostre situazioni esistenziali
Il tempo dell’educare comprende quindi una pluralità di tempi interiori che sempre meno, nel mondo attuale, coincidono con le cesure esterne che delimitano le diverse tappe socialmente stabilite dei percorsi formativi. I cicli scolastici, l’inizio dell’attività lavorativa, il matrimonio, la scelta procreativa, il pensionamento sono tutti passaggi modificati oggi nella loro fisionomia estrinseca e sempre meno corrispondenti alla dimensione temporale vissuta. La Neet generation per esempio, i giovani che non studiano e non lavorano, sono descritti sul piano sociale come una vistosa interruzione di progettualità e perdita di futuro. C’è dunque, a fronte dei coetanei delle generazioni precedenti, un cambiamento dei cicli prefigurati per i tempi dell’attività formativa e lavorativa, divenute entrambe sempre più precarizzate. Ciò rendere evidente che i tempi “geometrici” del ciclo della vita normato dall’organizzazione sociale sono scanditi in cicli oggettivamente condivisi, ma i vissuti dei singoli giovani in attesa di lavoro (o che hanno rinunciato a cercarlo) ci dicono che, nella dimensione vissuta, i tempi personali assumono qualificazioni diverse in relazione alla risonanza emotiva dei diversi soggetti.
Sono cambiate le strutture di spazio e tempo. Pensiamo alla famiglia che è il primo luogo dello spazio educativo. Oggi è spesso luogo dei conflitti, persino delle violenze e degli abusi e caratterizzato da chiusura e autoreferenzialità. Un isolamento abitativo a cui corrisponde un’insularità psicologica, affettiva, sociale e politica. E questo pone il tema dell’esterno, della soglia. Un tema di speciale rilevanza pedagogica è quindi individuabile nelle strategie d’integrazione, di socializzazione e di responsabilizzazione reciproca. Il territorio non è soltanto un luogo geografico, fisico, ma è un luogo denso di vissuti, emotivamente significativi, determinati dalle relazioni. Le occasioni d’incontro possono portare a «costruire» la comunità nell’apertura all’alterità, alla comunicazione, all’incontro, alla solidarietà sociale, dove l’educazione all’etica della responsabilità presieda alla costruzione delle reti comunitarie.
Per quanto riguarda poi la temporalità, il tempo «soggettivo» è divenuto sempre più segmentato in una molteplicità di esperienze, spesso imprevedibili, che richiedono una notevole capacità di rapido adeguamento alle trasformazioni in corso.
Le tre dimensioni prioritarie della temporalità sul piano educativo, tempo passato della memoria, dell’esperienza presente e dell’apertura al futuro, hanno cambiato il loro senso. Lo scorrere della vita educativa si snoda quindi attraverso un passato sempre ripreso (nella storia personale e collettiva) ed un futuro in cui sempre si «pro-getta» in quanto continuo autosuperamento nel divenire. È il progetto educativo che dà senso all’azione presente. Situata nella visione del futuro, l’educazione si apre ai versanti della possibilità, del poter-essere. L’orientamento verso il progetto dirige i passi dell’educazione che è sempre “movimento verso”, fondato su un telos, un fine, che riconosce nell’oltre l’orientamento del proprio procedere.
Le azioni educative sono sempre nel tempo futuro della progettualità, ma non possono mai prescindere dal tempo passato della memoria, dal condizionamento di “ciò che è stato”, da cui deriva ogni progetto di “ciò che sarà”
Le azioni educative sono sempre nel tempo futuro della progettualità, ma non possono mai prescindere dal tempo passato della memoria, dal condizionamento di “ciò che è stato”, da cui deriva ogni progetto di “ciò che sarà”.
Recuperare il futuro e il possibile nella pedagogia significa richiamare la dimensione operativo-trasformatrice dell’educazione, il poter-essere in modo diverso, potere guardarsi, nell’interazione delle relazioni educative, con sguardo rinnovato ogni giorno. Abbiamo il compito, in questo mondo stravolto, di trovare nuove categorie per accompagnare i bambini e i giovani in questo percorso.
Vanna Iori, pedagogista, è ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano. Foto di Akram Huseyn su Unsplash
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