Mondo

Qui ci vuole un nuovo patto fiscale

L’insistenza estiva di Prodi sul tema fiscale ha un merito: evidenziare la crisi, irreversibile, del patto fiscale tra Stato e cittadini. In anteprima l'editoriale di VITA Magazine, in edicola!

di Riccardo Bonacina

L?insistenza estiva di Prodi sul tema fiscale e la sua richiesta di aver a disposizione persino i pulpiti per invitare i cittadini a pagare le tasse, ha almeno avuto il merito di evidenziare quanto sia seria e irreversibile la crisi del patto fiscale tra Stato e cittadini. Benjamin Franklin sostenne che la morte e i tributi sono le uniche certezze dell?uomo: il quale, dunque, vuole capire perchè deve pagare. Ecco il cuore del problema: oggi al cittadino italiano (sia esso imprenditore o dipendente, partita Iva o Cococo), non è chiaro perché debba lavorare per sette mesi l?anno al solo scopo di versare tributi allo Stato. E non ne vede i benefici ma solo gli sprechi. È questa una evidenza di rilievo innanzi tutto psicologico oltre che istituzionale. A sciogliere i nodi psicologici e istituzionali non servono certo finanziarie come quella del 2007 che ha aumentato gli scaglioni di reddito e ingarbugliato detrazioni e deducibilità finendo per colpire più i poveri che i ricchi. Non servono le fantasmagorie sul tesoretto, l?insistenza sulle pensioni di chi già lavora e ne ha già diritto, le dimenticanze prima e i pasticci consumati poi sull?unica misura di sussidiarietà fiscale del nostro ordinamento: il 5 per mille che per effetto del tetto di spesa si ridurrà ad un 3,5 per mille. A sciogliere i nodi non è titolato un governo che ha stabilito il record delle poltrone e un potere pubblico che ripete che ?i soldi non ci sono? senza mai spiegare come usa le risorse che ha. Per sciogliere i nodi psicologici e istituzionali sul patto fiscale tra Stato e cittadini bisognerebbe capire, che al di là dei celoduristi inviti allo sciopero fiscale, siamo di fronte ad una questione molto delicata che ha davvero a che fare con la democrazia perché il sistema Stato-territorio-ricchezza è andato in frantumi e messo in crisi dalla globalizzazione. Oggi si vota per l?elezione al parlamento, ma poi i parlamenti non hanno più la sovranità fiscale che avevano sino a dieci anni fa: oggi c?è l?Ue, il Wto, i mercati capaci di bruciare 300 miliardi di euro di risparmi in un sol giorno. Le grandi ricchezze possono facilmente scappare dai territori, si può votare in Italia e poi pagare le imposte altrove, con il solo spostamento della sede legale della propria attività. Il modello di welfare che era stato costruito sul presupposto che lo Stato fosse in grado di catturare le ricchezze dei territori è andato per sempre in crisi. Oggi la leva fiscale più che finanziare il welfare si accanisce sui ceti medio bassi restituendo pochissimo, e male. Occorrerebbe una politica capace di voltare radicalmente pagina per garantire con la leva fiscale i diritti costituzionali (la Corte costituzionale tedesca, per esempio, ha stabilito che le risorse destinate al mantenimento dei figli non sono disponibili perché sono utilizzate per un dovere costituzionale) e per restituire brandelli di sovranità fiscale ai cittadini (il 5 per mille, appunto). Il cardinal Bertone, segretario di Stato Vaticano, rispondendo in maniera neppure troppo indiretta alle sollecitazioni di Prodi, ha detto: «È un dovere pagare le tasse quando dettate da leggi giuste». Come scriveva Ezio Vanoni, il ministro delle Finanze che dal 1948 al 1953 ripristinò l?erario devastato dalla guerra: «Le leggi che portano aliquote troppo elevate finiscono per sacrificare diversi valori essenziali della vita morale e politica di un Paese. Si sacrifica tante volte la possibilità di sviluppo economico ma, soprattutto, si sacrifica il sostanziale contenuto morale della vita del Paese perché chi è obbligato a sacrifici che superano la sua capacità di sopportazione, ricorre a tutti gli artifici per sottrarsi a questo sacrificio e quindi svuota dal di dentro la legge». Chi lo spiega a Visco?

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