Mondo

Qui Belgrado, dove la pace passa per gli ultimi degli ultimi

Una telefonata a Emiliano Bos

di Emanuela Citterio

Pronto, Emiliano Bos, che aria si respira lì a Belgrado? C?è preoccupazione per ciò che sta accadendo in Macedonia, dove è riesplosa la violenza per gli scontri fra il governo macedone e i ribelli albanesi. Anche nella valle di Presevo, nel sud della Serbia, è attivo un esercito di liberazione albanese. La pace qui sembra proprio un traguardo difficile da raggiungere. Perché, a 28 anni, sei partito per la Serbia? Sono qui per conto della Caritas italiana, che sta cercando di aiutare la Caritas locale a rispondere ai bisogni della popolazione più povera. Ho dato la mia disponibilità per un anno, e seguo alcune iniziative per migliorare le condizioni di vita degli anziani e dei malati mentali, che qui sono davvero gli ultimi fra gli ultimi. Come vive la gente in Serbia? L?emergenza alimentare è stata in qualche modo superata. Sta iniziando un lento processo di ricostruzione, per recuperare 12 anni di politica sciagurata da parte di Milosevic. Non si tratta solo di consegnare il dittatore, per un bisogno collettivo di punirlo, ma di rivedere il funzionamento della società e delle istituzioni. A chi indirizzate gli aiuti? Pur agendo attraverso la Chiesa cattolica, il nostro intervento non è rivolto solo ai cattolici, che qui sono la minoranza. Operiamo per i serbi, i rifugiati croati e bosniaci e gli sfollati dal Kossovo. Sei contento di questa esperienza? Moltissimo, per la crescita a livello umano, per le amicizie che si sono create in questi mesi, e perché la mia curiosità trova ampio spazio in cui muoversi. Qui siamo in un osservatorio privilegiato per osservare una realtà che sta cambiando molto, e che cambierà anche il volto dell?Europa. In Italia non ci rendiamo conto di quanto ciò che sta accadendo qui ci riguardi da vicino.


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