Mondo
“Qui a Donetsk la speranza di una vera tregua è nulla”
Intervista al reporter Danilo Elia dalla linea di frontiera dei combattimenti tra esercito ucraino e separatisti filorussi. "In questa guerra sparano tutti, non ci sono buoni o cattivi"
“In Ucraina non ci sono buoni o cattivi. Ci sono invece bambini che dal luglio scorso si nascondono con le loro famiglie nei sotterranei e vivono le giornate scandite dalle bombe sopra le teste”. Il reporter Danilo Elia, blogger e collaboratore di varie testate tra cui East e Osservatorio Balcani Caucaso, parla da Donetsk, una delle città simbolo di questa guerra fratricida che sta sconvolgendo il cuore dell’Europa, colpita quotidianamente da mezzi d’artiglieria.
Qual è la situazione in città?
In molte zone è spettrale, in altre le persone vanno nei negozi e nelle caffetterie come se niente fosse, anche per reagire di fronte a un dramma che dura da mesi. I supermercati sono quasi vuoti, i contanti scarseggiano, gli stipendi sono fermi. E bastano quattro fermate di pullman per passare da una zona relativamente sicura a una che rischia ogni giorno di trovarsi obici e granate nelle case, nei giardini.
Chi spara?
Tutte le parti coinvolte. Donetsk è oggi territorio controllato dalle milizie filorusse ma è in una zona di fuoco incrociato, e l’aeroporto, o quello che ne rimane, è la linea di frontiera. Comunque dipende dalle zone: ci sono aree in cui probabilmente c'è una prevalenza di colpi sparati dagli ucraini, altre in cui è più difficile dirlo. Ma di ogni situazione, come quella del bus colpito la scorsa settimana con 13 morti tra i civili, vanno cercate le responsabilità: cosa non facile, perché nessuno si prende la responsabilità degli attacchi. Resta il fatto che Donetsk ha visto dimezzare la sua popolazione iniziale, da un milione a 500 mila, e secondo dati Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico dell’Unione europea, ndr) la maggior parte è scappata dalla parte ucraina.
Perché vengono colpiti i civili?
Per quello che posso dire, nessuno attacca deliberatamente la popolazione. Piuttosto, è molto facile essere imprecisi quando si cerca di puntare a un obiettivo vicino a zone residenziali, soprattutto con i mortai difficili da mantenere fissi sul bersaglio prescelto al momento del colpo. E quello che succede, per esempio, nei quartieri a nord, e vicino alla fabbrica che è stata fatta esplodere due giorni fa dalle forze ucraine perché conteneva un arsenale dei separatisti: da una parte, a est, ci sono i filorussi, a ovest gli ucraini, ma in mezzo ci vivono dieci mila persone.
Cosa ne pensano gli abitanti di Donetsk dell’incontro di domani, mercoledì, tra il premier russo Putin e l’ucraino Poroshenko per trovare un’alternativa diplomatica alla guerra?
La gente non si aspetta niente da questi colloqui, perché sono già arrivate altre tregue che puntualmente non sono state rispettate, in primo luogo da Poroshenko, oramai non più visto come il capo della propria nazione ma un aggressore, a causa anche della forte propaganda messa in atto dai ribelli contro la presunta deriva nazista delle forze armate ucraine.
È reale questa deriva nazista dell’esercito ucraino?
No. Allo stesso modo non è corretto pensare ai filorussi come ai liberatori antifascisti di un popolo. È un modo sbagliato e nocivo di leggere il conflitto sbagliato, perché pur accettando che ci siano componenti nazionaliste, come del resto è venuto fuori, non vi è alcun indizio di deriva totalitaria del governo, così come delle forze armate, e le persone lo dicono apertamente. Dividere le parti in guerra in buoni e cattivi è una trappola, la situazione è molto complessa e non può avere uno sbocco immediato, anche per questo la difficile via diplomatica è l’unica auspicabile. Per il bene di una popolazione civile sempre più allo stremo.
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