Non profit
Questo pazzo mondo che affama i contadini
In Occidente come nei Paesi in via di sviluppo. Così un comparto è finito ko
In un anno meno 26% il prezzo del grano e meno 24% quello del latte. Per il mondo agricolo è un crollo drammatico che mette a rischio il futuro Dimenticate le morbide fragranze di cui parla la pubblicità. Pensate al pane, semplicemente. A quel che serve per prepararlo. Al grano, innanzitutto, che i mercati valutano appena 14 centesimi al chilo e che a voi negli ultimi tempi è costato il 1.700% in più. Un balzo che la dice lunga sull’assedio e la condizione di marginalità dell’agricoltura. Italiana e non solo. Un comparto che un tempo era un settore primario e che oggi è considerato come una variabile di pochissimo conto. Del valore di pochi centesimi, appunto.
La bolla speculativa di due anni fa tra gennaio 2007 e febbraio 2008 fece alzare i prezzi dell’83% (stima Banca mondiale), colpendo – fra future, option e basis – anche le mega imprese agricole. Nei Paesi occidentali, Italia compresa, degenerò in una fortissima spinta inflazionistica; in quelli in via di sviluppo mise alla fame milioni di persone. Passata l’onda, sulla spiaggia è rimasto il corpo ansimante di un’agricoltura che non è più ancorata al territorio, di un cibo sempre più in balìa degli andamenti finanziari globali, di un consumo ormai dipendente dalle fluttuazioni di Borsa. Un fenomeno che accomuna Nord e Sud del mondo. E che marginalizza ulteriormente la produzione. A favore della finanza. Accade anche in questi giorni del resto. La denuncia è del Pime – Pontificio istituto missioni estere: a metà novembre il future sul prezzo del grano con scadenza marzo 2010 ha guadagnato il 2,9% alla Borsa di Chicago. In 50 giorni chi ha acquistato il titolo ha avuto un rendimento del 18% (e sono stati registrati 2 milioni di contratti di questo genere). Si capisce anche così perché Benedetto XVI al vertice Fao abbia sottolineato che «va scongiurato il rischio che il mondo rurale possa essere considerato, in maniera miope, come una realtà secondaria».
Un rischio per molti aspetti già diventato realtà. «Nel 1981, il 33% dei prestiti della Banca mondiale serviva a finanziare progetti agricoli», come spiega Luca Salvatici, dell’università del Molise. Che poi aggiunge: «Nel 2001 tale percentuale era scesa all’8%».
Dal canto suo sta muovendosi anche Coldiretti, che propone di rendere obbligatoria l’indicazione dell’origine del grano. L’associazione ha appena costituito l’holding Consorzi Agrari d’Italia (3 miliardi di fatturato, 1.300 punti vendita cui fanno riferimento 300mila imprese) e lavora per una filiera tutta italiana. «Uno strumento con il quale», chiarisce Mauro Tonello, a capo Unci-Coldiretti (Associazione delle cooperative agricole e di trasformazione agroindustriale aderenti all’Unci), «si tutelerà il risparmiatore, basandosi sulla trasparenza della filiera, sull’indicazione dell’origine in etichetta, sul legame del prodotto con il territorio».
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