I simboli sono importanti nella vita delle persone e delle collettività, forniscono rappresentazione di sé comunicando la priorità dei valori. Per questo ogni cambio di ordine sociale, ogni rivoluzione politica comincia abbattendo i simboli del passato regime ed issando le nuove bandiere sui palazzi del potere.
Mentre il 3 giugno l’ISTAT rende noti i dati della disoccupazione che in Italia raggiunge il record storico di 3 milioni e mezzo di persone (ossia il più alto dal 1977, da quando vengono registrate le variazioni trimestrali), raggiungendo il nuovo picco del 46% tra i giovani, il giorno prima – il 2 giugno – la Festa della “Repubblica democratica fondata sul lavoro” anche quest’anno è stata celebrata con la “rassegna militare”. Ossia con quel simbolo bellico che evoca ed esalta la guerra ripudiata dalla Costituzione. L’ordine simbolico dei festeggiamenti contraddice così l’ordine dei valori costituzionali, indicando una priorità differente e contraddittoria.
Ancora una volta ad evidenziare questa cortocircuito assiologico sono state le reti civili che si occupano di disarmo, pace, servizio civile ed economia solidale le quali hanno celebrato la Festa della Repubblica promuovendo congiuntamente la Campagna per il disarmo e la difesa civile, ossia lanciando la proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione e il finanziamento del “Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta”. E’ una campagna che si prefigge di dare piena attuazione a due principi costituzionali che si sostengono reciprocamente: l’art 11 (“l’Italia ripudia da guerra, come strumento…e come mezzo…”) e l’articolo 52 (“la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”), entrambi mai applicati veramente. Nel primo caso perché le spese per l’apparato volto alla preparazione della guerra rappresentano l’unico capitolo sempre crescente nel bilancio dello Stato ed hanno portato il nostro Paese ad ingaggiarsi – negli ultimi 25 anni – in molti conflitti bellici e ad impegnarsi in spese mostruose come per gli F35; nel secondo caso perché per difesa si è sempre intesa solo quella armata, affidata ai militari, mentre la Corte Costituzionale ha riconosciuto pari dignità e valore alla difesa nonviolenta, anche attraverso l’istituto del Servizio Civile nazionale.
“La difesa civile, non armata e nonviolenta – scrivono i promotori della Campagna – è difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni”. Oggetto del disegno di legge sarà l’istituzione di un Dipartimento che comprenderà il Servizio Civile Nazionale, la Protezione Civile, i Corpi civili di pace e l’Istituto di ricerca sulla Pace e il Disarmo. Il finanziamento della nuova difesa civile avverrà grazie all’introduzione della ”opzione fiscale”, cioè della possibilità per i cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare il 6 per mille alla difesa non armata, che si andranno ad aggiungere alla parallela riduzione delle spese sostenute dal Ministero della Difesa relative all’acquisto di nuovi sistemi d’arma.
La campagna per il disarmo e la difesa civile non armata e nonviolenta è anch’essa un simbolo, perché attraverso lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia. Un simbolo coerente con i valori costituzionali. Non a caso la Campagna è stata presentata il 25 aprile 2014 in Arena di pace e disarmo; è stata lanciata in occasione del 2 giugno 2014, Festa della Repubblica e la raccolta delle 50.000 firme necessarie inizierà il 2 ottobre 2014, Giornata internazionale della Nonviolenza, e si concluderà dopo 6 mesi. Una questione di simboli. Civili.
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