Famiglia
Questi nostri figli, appena “nati” e già adolescenti
Storie e problemi di quattro famiglie adottive
C’è il problema della scuola, quello della lingua e soprattutto l’elaborazione di un passato spesso tribolato. «Ma non è detto che per noi sia più difficile» «Per quanto ti ci prepari, all’arrivo di un figlio non sei mai davvero pronto. Soprattutto quando irrompe nella tua vita con una personalità che si è formata lontano e addirittura a prescindere da te». Andrea ed Elisabetta Barbieri, coppia di medici bolognesi, sono stati catapultati dentro la dimensione genitoriale con l’adozione nel 2004 di Sara e Salomon, due fratellini etiopi, all’epoca di 9 e 11 anni. «Conosci a memoria le dinamiche comportamentali più comuni, le hai sentite raccontare milioni di volte dagli assistenti sociali, dagli psicologi e da chi ci è passato prima di te. Ma quando ti capita è sempre un’altra cosa», dice Elisabetta. Di preclusioni sull’età i coniugi Barbieri non ne hanno mai avute e quando il Ciai li ha contattati per sottoporgli l’abbinamento, non ci hanno pensato due volte: «Accogliere un neonato e un ragazzino prossimo all’adolescenza sono due cose molto diverse, ma non è detto che l’una sia più semplice dell’altra». «Noi siamo stati fortunati. La perdita dei genitori non ha cancellato in Sara e Salomon l’impronta positiva di un bene sperimentato nei primi anni di vita».
Da Gallarate a Ceccano, provincia di Frosinone. Da due mesi Alexssander vive con mamma Fabiana e papà Leone Di Mario (nella foto). «All’inizio avevamo dato ad AiBi la disponibilità ad adottare bambini al massimo di 10 anni. Poi ci abbiamo ripensato». E così si sono aperte le porte a questo ragazzino brasiliano di 11 anni. Una scelta felice. «Grazie anche alla nostra nipotina, di dieci anni, che lo ha subito agganciato e gli ha fatto un po’ da traino». E la scuola? «Lo abbiamo inserito in quarta elementare, perché malgrado l’età è ancora molto indietro con l’apprendimento e fatica a parlare l’italiano, ma in realtà dimostra una vivacità gioiosa: fortunatamente, malgrado le violenze subite non ha un carattere chiuso».
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