Mondo

Queste elezioni fanno bene solo a Bush

Intervista a Lilli Gruber.

di Giuseppe Frangi

Vorrebbe proprio esserci Lilli Gruber il 30 gennaio a Bagdad. Essere lì nei panni di osservatrice, come aveva fatto in Palestina il 9 gennaio scorso, in occasione delle elezioni che hanno laureato Abu Mazen ad erede di Arafat. Invece non potrà presenziare. La Commissione europea ha detto che non ci sono le condizioni di sicurezza e che quindi il gruppo di 200 osservatori messo in campo a Gaza e dintorni dovrà questa volta restare a casa. «Una decisione che da sola dice tutto», incalza Lilli Gruber. «Se non ci sono condizioni per noi, come possono esserci per chi andrà a votare?» Lilli Gruber ha appena pubblicato un libro dedicato agli sciiti (L?altro Islam, Rizzoli): un lungo reportage, utilissimo per cercare di capire come sarà l?Iraq di domani. Che comunque vadano le cose sarà un Iraq in mano agli sciiti. Vita: Secondo lei, quindi, l?Iraq non è pronto per votare… Lilli Gruber: Decisamente no. Lo ha scritto anche il New York Times la settimana scorsa e io sono assolutamente d?accordo con la loro lettura: occorrerebbero altri due o tre mesi per permettere alla minoranza sunnita, cioè al 20% della popolazione, di rimettersi in gioco. Invece queste elezioni saranno completamente falsate. Per ammissione di tutti, a partire dallo stesso premier Allawi, in quattro province su 18 sembra sicuro che non si potrà garantire lo svolgimento delle elezioni. Peccato che non si dica che sono le quattro più importanti province del Paese dove abita la metà della popolazione. E peccato che non si dica che tra le quattro province c?è anche Bagdad, con i suoi 5 milioni di abitanti. Poi c?è un altro motivo che mi spinge a preferire un rinvio. Vita: Quale? Gruber: Che non ci saranno osservatori internazionali perché mancano le condizioni di sicurezza. Nessuno controllerà sulla regolarità del voto, dopo che per un problema del tutto simile l?Europa, con le sue pressioni, ha costretto l?Ucraina a tornare alle urne. Insomma, due pesi e due misure. Anche in Palestina si è potuto vigilare: c?erano ben 800 osservatori stranieri. In Iraq invece sarà un voto al buio, dove sarà possibile qualsiasi broglio. Una situazione davvero paradossale. Vita: Alla fine vincerà solo Bush? Gruber: Certo. Potrà proclamare il raggiungimento dell?Iraq freedom e pensare a sottrarsi dal pasticcio in cui si è infilato. Il 30 gennaio per Bush è una data obbligata. Che consentirà di pensare anche ad un ritiro senza perdere la faccia. Vita: E sugli altri sicuri vincitori, gli sciiti, che previsioni fa? Dal suo libro sembra emergere un?identità molto tollerante. Sarà davvero così? Gruber: Secondo me saranno dei buoni vincitori. La tradizione sciita irachena ha poco da spartire con quella iraniana, con la quale è sempre stata in dissenso. è una tradizione più laica, all?interno della quale solo piccole minoranze sognano una teocrazia sullo stile degli ayatollah. In Iraq nessuno pensa che il clero debba gestire gli affari civili oltra a quelli religiosi. Quindi il partito che vincerà, quello di Sistani, avrà un atteggiamento tollerante con tutte le minoranze, a iniziare dai sunniti. Nessuno ha interesse a gestire un Paese lacerato da una guerra civile. Tanto meno chi gestirà il processo costituente dal primo febbraio. Del resto la loro storia è una garanzia: si fonda su una secolare tradizione di contestazioni contro qualsiasi forma di potere costituito, che fosse l?impero ottomano, il colonialismo britannico, la monarchia o più tardi Saddam Hussein. Inoltre sono sempre stati attraversati da contraddizioni e da dibattiti profondi, che riflettono l?opposizione tra i quietisti e gli attivisti. Anche gli americani conoscevano questa caratteristica, ma hanno sbagliato l?analisi. Vita: In che senso? Gruber: Hanno puntato sugli sciiti laici e occidentalizzanti, per fare uno Stato filoamericano. La vicenda del loro primo candidato, Chalabi, è emblematica. In realtà non avevano considerato lo straordinario lavoro politico fatto dagli sciiti nel corso di generazioni: un lavoro incentrato sulla lotta all?oppressione straniera e su una maggiore giustizia sociale. Vita: Anche il fatto che gli sciiti si presentano con decine di partiti è garanzia di un pluralismo interno? Gruber: Sì, in parte. Anche se è un particolare che rende ancor più surreale questa scadenza elettorale. Immaginiamoci il votante in mezzo a quella confusione di sigle e di proposte. Mettiamoci nei loro panni: non hanno televisione perché l?elettricità c?è ancora per poche ore al giorno. Hanno molto spesso problemi a fare una vita pubblica. Come possono arrivare alle urne minimamente informati? Davvero saranno elezioni fasulle. Vita: Anche la minoranza cattolica sembra preferire un rinvio. Lo ha detto a chiare lettere il vescovo di Mosul, rapito e subito liberato il 18 gennaio. Forse temono di pagare i buoni rapporti avuti con Saddam? Gruber: Non penso proprio. Quello oramai è passato. E in un colloquio avuto recentemente con il nunzio a Bagdad, monsignor Filoni, l?ho sentito molto favorevole al voto. Sostiene che comunque si tratta di un fatto positivo, che comporterà una svolta importante per uscire dalla situazione di incubo in cui il Paese si trova. Ma soprattutto trovo che sia una prospettiva viziata quella che guarda all?Iraq solo attraverso la lente delle identità religiose. In quel Paese conta di più il collante tribale che non quello delle varie fedi. Ci sono grandi tribù in cui si trovano insieme sciiti e sunniti. Questo è l?Iraq.


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