Welfare

Questa riforma s’ha da fare

Tra poche settimane i disabili italiani potrebbero avvalersi di una nuova legge che garantisce loro un più facile accesso al lavoro. Ma Confindustria non ci sta

di Antonietta Nembri

È del 1968 la legge sul collocamento obbligatorio dei disabili, una legge di ampie garanzie, ma vere solo sulla carta. Solo sulla carta infatti è rimasto il 15 per cento di occupati che avrebbero dovuto trovare un posto di lavoro in base a questa legge nelle aziende sopra i 35 dipendenti. Il motivo? Non si è mai superata la soglia del 3,5 per cento di occupati per azienda. Troppo facile per le imprese rimandare al mittente il disabile ricevuto. Più comodo era pagare una multa. Gli imprenditori hanno sempre vissuto questa legge come un onere assistenziale da pagare e mai come un?occasione per poter avere tra i propri dipendenti una risorsa in più. Anche perché la chiamata numerica, cioè non nominale e in base a curriculum e abilità specifiche, recapitava alle aziende il disabile come un pacco postale. Ora, dopo trent?anni, una nuova legge (il ddl n. 4110) è in dirittura d?arrivo, ed è una proposta innovativa: se ne sta discutendo alla Camera; al Senato, poi, potrà essere esaminata solo dalla Commissione competente direttamente in sede legislativa. Con questa proposta l?Italia si mette in linea con le altre nazioni europee. La percentuale di collocamento obbligatorio scende dal 15 al 7%, ma viene ampliato il numero delle aziende interessate. Per la prima volta, infatti, vengono inserite anche le piccole e medie imprese, da 15 a 35 dipendenti, che sono tenute all?assunzione di una persona in base alla chiamata finalmente nominale. Una novità positiva secondo Livia Consolo, presidente del Consorzio Gino Mattarella, che sottolinea «la necessità che siano proprio le piccole e medie imprese a partecipare attivamente all?inserimento mirato delle persone svantaggiate». Una delle principali novità riguarda l?introduzione della chiamata ?mirata?. In pratica gli uffici regionali che si occuperanno del settore dovranno redigere per ogni disabile una scheda personale nella quale sono segnalati il profilo professionale e l?eventuale necessità di un percorso formativo di accompagnamento all?attività. Inoltre la competenza del collocamento obbligatorio passa completamente alle regioni. È prevista poi la possibilità per il disabile di trascorrere, prima dell?ingresso in azienda, un periodo in una cooperativa di tipo B. Non si tratta però di una scappatoia per l?imprenditore, anche perché questo passaggio è previsto solo in caso di effettiva necessità di un accompagnamento al lavoro e attraverso una convenzione tra impresa e cooperativa della durata di un anno rinnovabile solo per un secondo. Una buona legge, insomma, a cui però non mancano gli oppositori. Confindustria, ad esempio, storce il naso anche se il relatore della legge, il cristiano sociale Carlo Stelluti, tranquillizza: «Se un?azienda ha 18 dipendenti non deve automaticamente assumere il diciannovesimo. Solo quando avrà la necessità di aumentare la forza lavoro e dovrà scegliere un lavoratore tra le persone iscritte al collocamento obbligatorio che risponda alle caratteristiche che cerca». Lascia perplessi constatare che il documento di Confindustria porti anche la firma del presidente di un?associazione come l?Anmic (l?Associazione degli invalidi civili): viene da chiedersi da dove nasca questa contrarietà. Forse l?autonomia data alle regioni e il passaggio al collocamento mirato sono i primi tasselli per lo smantellamento di tanti carrozzoni nazionali, anche associativi, che vivono solo se si perpetua una logica assistenziale. L’ok dei volontari: l’opinione di Franco Bomprezzi* Quello dell?integrazione lavorativa delle persone disabili è un problema irrisolto da almeno quattro legislature. Esiste ora un testo che potrebbe rappresentare un passo avanti notevole. Durissima è stata l?opposizione di Confindustria, in particolare rispetto a quel numero di posti di lavoro che dovrebbero essere riservati agli invalidi civili, disposizione che già esiste nella normativa vigente ma che è prevalentemente disattesa. C?è chi fra le associazioni dei disabili ha ritenuto di accodarsi a Confindustria; gli altri, più coerentemente, ritengono di dover difendere una legge anche quando non tutti i suoi contenuti corrispondono alle aspettative, proponendo emendamenti. Siamo certi che la riforma del collocamento, se ci sarà la volontà di applicarla, potrà consentire ai disabili di dimostrare le loro abilità manuali e intellettuali, trasformandoli da assistiti a contribuenti. Vista poi la presa di posizione a favore di Confindustria di Anmic riteniamo sia opportuno che almeno gli interlocutori istituzionali sappiano che il mondo delle disabilità non è rappresentato solo da quelle entità che si arrogano troppo spesso il diritto di parlare, agire e assumere impegni in nome e per conto di tutti i disabili. La verità è assai più amara. Sulle divisioni e sulla debolezza delle associazioni, un certo mondo imprenditoriale ha costruito in questi anni il progressivo e sistematico smantellamento dei diritti di cittadinanza dei disabili. È giunto il momento di chiudere un?epoca e di aprire una nuova fase storica di riforme. *presidente Unione italiana lotta alla distrofia


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